Cassazione toga nera

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 13 marzo 2014, n. 11953

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PRESTIPINO Antonio – Presidente
Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere
Dott. LOMBARDO Luigi – rel. Consigliere
Dott. VERGA Giovanna – Consigliere
Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari in data 14.1.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Dr. Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Dr. Stabile Carmine, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26.3.2012, il G.U.P. del Tribunale di Bari, in esito a giudizio abbreviato, dichiaro’ (OMISSIS) e (OMISSIS) responsabili del delitto di estorsione aggravata (in danno dell’imprenditore edile (OMISSIS)) e, concesse le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante, li condanno’ alle pene di legge.
Avverso tale pronunzia gli imputati proposero gravame, ma la Corte di Appello di Bari, con sentenza del 14.1.2013, confermo’ la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore di (OMISSIS), deducendo:
1) la violazione e l’erronea applicazione degli articoli 56 e 629 c.p., per avere i giudici di merito qualificato il fatto contestato come estorsione consumata, piuttosto che come tentativo di estorsione, non dando cosi’ il dovuto rilievo alla circostanza dell’intervento dei Carabinieri che indusse l’imputato a disfarsi subito della somma ricevuta dalla p.o.;
2) la violazione dell’articolo 628 c.p., comma 3, n. 1, e articolo 441 c.p.p., per essere stato l’imputato condannato per il delitto di estorsione aggravato dalla circostanza delle “piu’ persone riunite”, nonostante che tale aggravante non fosse stata contestata col provvedimento conclusivo delle indagini preliminari, ma solo nell’ambito del giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria, e cio’ in violazione del disposto dell’articolo 441 c.p.p.;
3) la mancanza e illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata, con riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6, nonostante l’offerta reale di euro 700 effettuata dall’imputato in favore della p.o..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile per manifesta infondatezza.
Le Sezioni Unite di questa Corte suprema hanno affermato il principio di diritto secondo cui, “in tema di estorsione, il delitto deve considerarsi consumato, e non solo tentato, allorche’ la cosa estorta venga consegnata dal soggetto passivo all’estorsore, e cio’ anche nelle ipotesi in cui sia predisposto l’intervento della polizia giudiziaria che provveda immediatamente all’arresto del reo ed alla restituzione del bene all’avente diritto” (Cass., Sez. Un., n. 19 del 27/10/1999 Rv. 214642; conf. Sez. 2, n. 27601 del 19/06/2009 Rv. 244671; Sez. 2, n. 1619 del 12/12/2012 Rv. 254450).
Nel caso di specie, e’ pacifico che gli imputati, tra cui l’odierno ricorrente, trascinarono la p.o. ( (OMISSIS)) all’interno del (OMISSIS), ove si impossessarono del denaro estorto (strappandolo di mano al (OMISSIS)), prima che intervenissero i Carabinieri.
Essendo i militari intervenuti dopo l’impossessamento della somma da parte degli imputati, non e’ dubbio che l’estorsione si sia consumata, a prescindere dal tempo per il quale sia durato il possesso del denaro da parte dei rei.
2. Il secondo motivo di ricorso e’ infondato.
Con tale motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 628 c.p., comma 3, n. 1, e articolo 441 c.p.p., e la conseguente nullita’ della sentenza impugnata, per essere stato il (OMISSIS) condannato per il delitto di estorsione aggravato dalla circostanza delle “piu’ persone riunite”, pur essendo stata tale aggravante contestata dal pubblico ministero non ab origine col provvedimento di esercizio dell’azione penale, ma successivamente – in via suppletiva – nell’ambito del giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria richiesto dall’imputato.
Com’e’ noto, la disposizione dell’articolo 441 c.p.p., comma 1, esclude l’applicazione al giudizio abbreviato della disciplina relativa alla “modificazione dell’imputazione” dettata dall’articolo 423 c.p.p. per l’udienza preliminare; e la giurisprudenza di questa Corte ha gia’ avuto modo piu’ volte di affermare che, nel corso di un giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria, non e’ applicabile la disposizione di cui all’articolo 423 c.p.p. in tema di modifica dell’imputazione, sicche’ il riconoscimento di una circostanza aggravante che non avrebbe potuto essere oggetto di una contestazione suppletiva determina la nullita’ della sentenza pronunciata all’esito di tale giudizio (Cass., Sez. 6, n. 13117 del 19/01/2010 Rv. 246680; Sez. 3, n. 35624 del 11/07/2007 Rv. 237293; Sez. 4, n. 12259 del 14/02/2007 Rv. 236199).
Nel caso di specie, dal primo verbale del giudizio abbreviato (datato 19.3.2012) risulta che, presenti gli imputati e assistiti dai loro difensori di fiducia, “il P.M., con l’accordo dei difensori, integra l’imputazione contestando agli imputati: “reato previsto e punito dall’articolo 110 c.p. e articolo 629 c.p., comma 2 agendo in concorso e riuniti tra loro…”, il resto come gia’ riportato nella richiesta di rinvio a giudizio. Le parti prendono atto…”. Nella sentenza di primo grado, poi, il giudice riconosce la sussistenza dell’aggravante delle piu’ persone riunite contestata all’udienza camerale del 19.3.2012 “nulla opponendo i difensori, che hanno quindi accettato tale integrazione della imputazione estorsiva, che e’ stata tenuta presente anche in sede di arringa difensiva conclusiva”.
Orbene, posto che il P.M. non avrebbe potuto effettuare la contestazione suppletiva della suddetta aggravante nell’ambito del giudizio abbreviato non condizionato e posto che la violazione della citata norma dell’articolo 441 c.p.p. importa la nullita’ in parte qua della sentenza (ossia limitatamente alla ritenuta aggravante), questa Corte e’ chiamata a stabilire di quale tipo di nullita’ si tratti e a quale regime tale nullita’ sia sottoposta.
La Corte di Appello ha respinto l’eccezione di nullita’ della sentenza di primo grado formulata come motivo di appello, ritenendo la nullita’ sanata ai sensi dell’articolo 182 c.p.p., comma 2, atteso che la contestazione suppletiva e’ intervenuta “nulla opponendo” gli imputati presenti e i loro difensori. Ma, secondo il ricorrente, la nullita’ in questione avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio dal giudice, essendo ininfluente il consenso o l’inerzia dei difensori.
E’ chiaro che la prima soluzione (quella adottata dalla Corte di Appello) sottintende la qualificazione della nullita’ de qua come nullita’ a regime intermedio ai sensi dell’articolo 180 c.p.p.; la seconda (quella proposta dal difensore ricorrente) come nullita’ assoluta ai sensi dell’articolo 179 c.p.p..
Il Collegio ritiene che la nullita’ in parte qua della sentenza che, concludendo il giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria, riconosca la sussistenza di una aggravante contestata in via suppletiva dal P.M. in violazione del disposto dell’articolo 441 c.p.p., comma 1, sia una nullita’ di ordine generale a regime intermedio.
A tale conclusione la Corte perviene rilevando l’impossibilita’ di qualificare la nullita’ in questione come nullita’ di ordine generale ai sensi dell’articolo 178 c.p.p., lettera b) siccome dipendente alla violazione di norme concernenti “l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale” (la sola violazione – tra quelle di cui alla lettera b) relative all’attivita’ del pubblico ministero – richiamata dall’articolo 179 c.p.p. per individuare le figure di nullita’ assoluta).
E infatti, la nullita’ concernente “l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale” e’ posta a tutela delle prerogative dell’organo pubblico titolare dell’azione penale e – correlativamente – a salvaguardia del fondamentale “principio della domanda”, che e’ a base del processo e che vuole che il giudice decida su un thema da altri fissato (“ne procedat iudex ex officio”).
Ne deriva che la nullita’ concernente “l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale” sussiste ove il giudice si pronunci su fatti o su circostanze fattuali non contestate dal P.M.; essa, invece, non sussiste ove l’iniziativa del pubblico ministero vi sia stata, ma e’ stata male esercitata.
Orbene, se il pubblico ministero provvede – come nel caso di specie -a formulare contestazioni suppletive in violazione del disposto dell’articolo 441 c.p.p., comma 1 e’ evidente che il bene giuridico che viene leso non e’ costituito dalle prerogative del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale ne’ dal fondamentale principio processuale che ripudia il giudice che proceda d’ufficio. Infatti, il pubblico ministero non ha visto invadere da altri i suoi compiti istituzionali, ne’ il giudice ha pronunciato ex officio.
Se il pubblico ministero provvede a formulate contestazioni suppletive in violazione del disposto dell’articolo 441 c.p.p., comma 1, il bene giuridico che risulta leso e’, invece, costituito dal complesso delle facolta’ e dei poteri che la legge attribuisce all’imputato e al suo difensore e che sono implicite nel “diritto di difesa”, i quali trovano presidio nella disposizione di cui all’articolo 178 c.p.p., lettera c).
Invero, la nuova contestazione “a sorpresa” del pubblico ministero viola il diritto di difesa e lede le prerogative dell’imputato e dei suoi difensori, i quali hanno optato per il giudizio abbreviato sulla base di una determinata imputazione e vedono poi il giudice chiamato a pronunziarsi su una imputazione diversa rispetto a quella da essi considerata ai fini della scelta del rito.
Cio’ vuoi dire che la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 441 c.p.p. e’ una nullita’ di carattere generale che discende dall’articolo 178 c.p.p., lettera c), ossia dalla disposizione che specificamente sanziona le violazioni del “diritto di difesa”.
Eppero’, l’articolo 179 c.p.p. prevede che, tra le nullita’ di ordine generale di cui all’articolo 178 c.p.p., lettera c), costituiscono nullita’ assolute solo quelle “derivanti dalla omessa citazione dell’imputato o di assenza del difensore nei casi in cui ne e’ obbligatoria la presenza”. Tutte le altre nullita’ di ordine generale previste dall’articolo 178 c.p.p., lettera c) ricadono nel regime di cui all’articolo 180 c.p.p. e sono soggette alla sanatoria ivi prevista nonche’ alle sanatorie generali di cui agli articoli 182 e 183 c.p.p.
In tale regime ricade, dunque, anche la nullita’ pro’ parte della sentenza derivante dalla irrituale contestazione suppletiva effettuata dal pubblico ministero, che e’ soggetta alle suddette sanatorie.
Pertanto, nel caso di specie, gli imputati e i loro difensori avrebbero potuto certamente opporsi alla irrituale contestazione suppletiva del pubblico ministero e pretendere che il giudizio abbreviato si svolgesse sul thema decidendum tracciato dalla originaria imputazione. Ma essi – con una insindacabile scelta di opportunita’ – non si sono opposti; anzi hanno consentito espressamente alla contestazione suppletiva dell’aggravante mentre questa veniva effettuata e hanno svolto la discussione finale senza formulare alcuna eccezione di nullita’. Ne deriva che la nullita’ in questione risulta sanata, non essendo stata eccepita dalla parte presente prima del compimento dell’atto (articolo 182 c.p.p., comma 2).
In definitiva, puo’ formularsi il seguente principio di diritto: “Nel corso di un giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria, poiche’ – ai sensi dell’articolo 441 c.p.p., comma 1 – non e’ applicabile la disposizione di cui all’articolo 423 c.p.p. in tema di modificazione dell’imputazione, il pubblico ministero non puo’ procedere alla contestazione suppletiva di eventuali aggravanti; nel caso in cui, in violazione dell’articolo 441 c.p.p., comma 1, il pubblico ministero proceda alla contestazione suppletiva di una aggravante e il giudice ne riconosca la sussistenza, si determina la nullita’ della sentenza in parte qua, nullita’ che e’ a regime intermedio ed e’, pertanto, sanabile ai sensi dell’articolo 182 c.p.p., comma 2, non potendo essere dedotta dalla parte che vi ha assistito senza eccepirla”.
Ne consegue il rigetto del motivo di ricorso.
3. L’ultimo motivo di ricorso e’ inammissibile.
Il ricorrente si duole della mancanza e illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata, con riferimento al diniego dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6 nonostante l’offerta reale di euro 700 effettuata dall’imputato in favore della p.o..
Eppero’ la Corte territoriale ha spiegato che l’offerta di risarcimento non solo non risulta essere stata accettata dalla p.o., ma non appare neppure adeguata rispetto all’entita’ degli effetti dannosi patiti dal (OMISSIS), anche sotto il profilo psichico.
Tale motivazione non e’ manifestamente illogica ne’ contraddittoria ed e’, pertanto, incensurabile in sede di legittimita’.
4. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto va condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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