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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II

SENTENZA 16 settembre 2014, n. 19488

Ritenuto in fatto

Con atto di citazione in riassunzione notificato il 13-1-1997 Z.M.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Velletri B.A.R. chiedendo dichiararsi l’esponente unica proprietaria dell’immobile sito in (omissis) , ordinarsi la cessazione delle molestie e delle turbative, dichiararsi l’inesistenza di ogni diritto in capo alla convenuta, ed infine condannarsi quest’ultima alla restituzione delle chiavi ed al risarcimento dei danni; a sostegno della domanda l’attrice assumeva che la B. si era impossessata illegittimamente del suddetto immobile.
La convenuta costituendosi in giudizio sosteneva di occupare legittimamente l’immobile in questione rivendicandone le proprietà quale erede di S.B. in virtù di testamento olografo pubblicato l’8-2-1994; in proposito sosteneva la regolarità del trasferimento dell’immobile dalla Z. al S. con la scrittura privata del (omissis), avendo tra l’altro l’acquirente corrisposto alla venditrice l’intera somma concordata per la compravendita.
Il Tribunale adito con sentenza del 21-7-2001 dichiarava la Z. unica proprietaria dell’immobile suddetto e l’inesistenza di diritti della convenuta sullo stesso, condannava la B. al rilascio del bene mediante consegna delle relative chiavi all’attrice ed al risarcimento del danno in favore di quest’ultima per il mancato uso dell’immobile dal gennaio 1996.
Proposto gravame da parte della B. cui resisteva la Z. la Corte di Appello di Roma con sentenza del 9-4-2008, in accoglimento della impugnazione, ha rigettato la domanda avanzata dalla Z. nei confronti della B. .
Per la cassazione di tale sentenza la Z. ha proposto un ricorso articolato in tre motivi cui la B. ha resistito con controricorso

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1350 c.c. e contraddittoria ed insufficiente motivazione, censura la sentenza impugnata per avere erroneamente interpretato la scrittura privata del (omissis) intervenuta tra l’esponente ed il S. del seguente tenore: ‘io sottoscritta Z.M.G. …, ricevo dal Sig. S. la somma di lire 2.000.000 per la vendita di una casa di mia proprietà sita in (omissis) . Detta somma dichiaro essere acconto del costo della casa che è di lire 3.600.000’; invero la Corte territoriale ha ritenuto che nell’atto ‘pur mancando la dizione vende,…non sembra potersi dubitare che, sotto il profilo oggettivo, l’espressione ‘ricevo per la vendita’ è interpretabile sia come ‘ricevo per l’avvenuta vendita’, che il Tribunale ha ritenuto pattuita solo verbalmente, sia come ‘ricevo quale corrispettivo per la vendita che effettuo’; in realtà, non potendosi riscontrare nella fattispecie “l’animus obligandi’ o una chiara ed univoca volontà di concludere il contratto, la scrittura privata suddetta deve considerarsi un documento non idoneo al trasferimento della proprietà di un immobile, non potendosi ravvisare nello stesso l’atto richiesto ‘ad substantiam’ per la validità del contratto ai sensi dell’art. 1350 c.c..

Con il secondo motivo la Z. , deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1350-1362 e seguenti c.c. nonché contraddittoria ed insufficiente motivazione, rileva che la Corte territoriale, ai fini della interpretazione della sopra menzionata scrittura privata, ha valorizzato il comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto, tenuto dalle parti, ed il livello culturale delle stesse desumibile dagli atti; inoltre ha avuto riguardo anche alle dichiarazioni rese nel corso dell’interrogatorio libero da parte dell’esponente; orbene tale ricorso ai criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. alla ricerca di una supposta volontà negoziale diretta alla conclusione del contratto è illegittimo, considerato che nella specie, per la validità del contratto, era richiesta la forma scritta ‘ad substantiam’.

Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1350 c.c. – 1362 e seguenti c.c. nonché motivazione contraddittoria ed insufficiente, rileva che comunque erroneamente la Corte territoriale ha richiamato come criterio interpretativo della volontà delle parti una dichiarazione resa dall’esponente in sede di interrogatorio (con la quale la Z. avrebbe riconosciuto di aver ‘venduto’ l’immobile per cui è causa) e, in generale, il comportamento delle parti; invero secondo l’orientamento di questa Corte deve escludersi che la manifestazione scritta della volontà di uno dei contraenti potesse essere sostituita o integrata da una dichiarazione confessoria resa dall’altra parte.

La Z. inoltre rileva che il giudice di appello, nel valorizzare la suddetta dichiarazione dell’esponente, ha omesso di considerare altri elementi emersi nel procedimento idonei a condurre ad un diverso convincimento; in proposito la ricorrente evidenzia anzitutto che anche la B. , in sede di interrogatorio reso all’udienza del 10-11-1999, aveva dichiarato di aver proposto in passato un ricorso per la declaratoria di acquisto per usucapione dell’immobile in questione, così riconoscendo di non esserne proprietaria in virtù di una valida scrittura privata; inoltre nel suo testamento olografo il S. , preteso dante causa della B. , aveva indicato specificatamente l’unico immobile di sua proprietà senza menzionare quello per cui è causa, riconoscendo in tal modo di non esserne proprietario; infine il livello culturale delle parti (elemento pure richiamato dalla sentenza impugnata) da un lato non poteva giustificare la mancata adozione delle forme di legge, dall’altro era idoneo a sminuire le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dalla Z. in riferimento alla pretesa vendita.

Gli enunciati motivi, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono fondati nei termini che saranno ora chiariti.

La Corte territoriale, premessa la trascrizione del testo della scrittura privata del (omissis) intervenuta tra la Z. ed il S. come sopra già riprodotto, scrittura provata seguita dalle firme delle parti e da tre successive dichiarazioni di ricevuta sottoscritte dalla Z. per il complessivo importo di lire 1.450.000, ha ritenuto che, pur mancando in detta scrittura la dizione ‘vende’, come rilevato dal Tribunale, l’espressione ‘ricevo… per la vendita’ era interpretabile sia come ‘ricevo per l’avvenuto vendita’, sia come ‘ricevo quale corrispettivo per la vendita che effettuo’; ha quindi affermato che, nel dubbio, la volontà delle parti doveva essere individuata secondo i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c., alla luce del comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto tenuto dalle parti stesse nonché alla stregua dei principi di interpretazione di buona fede (art. 1366 c.c.) e di conservazione del contratto (art. 1367 c.c.); in proposito ha valorizzato il non elevato livello culturale delle parti desumibile dai loro scritti, compreso il testamento del S. , e la circostanza che la Z. , fino alla morte del S. , che era nel possesso dell’immobile per cui è causa, non aveva avanzato alcuna pretesa, nemmeno con riguardo al rimanente suo credito di lire 150.000, evidenziando che tali circostanze potevano indurre a ritenere che il comune intento delle parti, manifestato con la scrittura in questione, fosse quello di compravendere il bene.

ti giudice di appello ha inoltre considerato assorbente il rilievo che la Z. , in sede di risposta al libero interrogatorio disposto nel giudizio di primo grado per l’udienza del 7-4-1999, aveva dichiarato: ‘nel 1978 ho venduto il suddetto immobile con scrittura privata al Sig. S.B. che mi aveva dato un acconto rimanendo debitore della somma di L 250.000’; infatti tale dichiarazione, di indubbio valore confessorio, costituiva interpretazione autentica dell’intento negoziale perseguito dalle parti con la scrittura privata del (omissis).

Tale convincimento non può essere condiviso.

Occorre muovere dalla premessa che nella fattispecie, vertendosi in tema di compravendita immobiliare, l’atto deve essere stipulato, ai sensi dell’art. 1350 n. 1 c.c., in forma scritta richiesta ‘ad substantiam’; tale esigenza comporta che l’atto scritto suddetto deve essere rappresentato non da un qualsiasi documento da cui risulti la precedente stipulazione, ma da uno scritto che contenga la manifestazione della volontà di concludere il contratto e che sia posto in essere al fine specifico di manifestare tale volontà (Cass. 29-10-1994 n. 8937; Cass. 12-11-2013 n. 25424); pertanto per poter ritenere che tra la Z. ed il S. (dante causa della B. ) fosse intervenuta una compravendita dell’immobile per cui è causa, occorreva accertare che nella scrittura privata del (omissis) le parti avessero voluto effettivamente porre in essere tale contratto.

Orbene la sentenza impugnata, all’esito di tale indagine, non è giunta ad una conclusione certa in tal senso, avendo affermato, come già esposto, che le espressioni utilizzate nell’atto potessero legittimamente condurre a ritenere alternativamente sia che le parti avessero fatto riferimento ad un precedente accordo verbale circa la suddetta vendita, sia che esse invece avessero voluto concludere il contratto con la scrittura privata menzionata; la Corte territoriale ha quindi ritenuto di poter accertare l’effettiva volontà delle parti valorizzando, in conformità dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c., elementi estrinseci alla scrittura, quali il comportamento delle parti stesse anche successivo alla conclusione del contratto ed il loro modesto livello culturale; infine ha considerato decisive le dichiarazioni rese dalla Z. in sede di interrogatorio libero, conferendo ad esse valore confessorio in ordine alla volontà delle parti di stipulare la compravendita dell’immobile per cui è causa con la scrittura privata del (omissis).

Tale impostazione peraltro non è conforme al principio di diritto sopra richiamato secondo il quale, ai fini della configurabilità dell’atto scritto richiesto ‘ad substantiam’ per la validità di una compravendita immobiliare, occorre che in esso risulti inequivocabilmente la manifestazione specifica della volontà di concludere il suddetto contratto, con la conseguenza che non è possibile ricorrere ad elementi esterni all’atto scritto per accertare l’esistenza di tale volontà, quali appunto in particolare, nella fattispecie, la sopra richiamata dichiarazione della Z. , cui è stata attribuita valenza confessoria decisiva in ordine alla avvenuta stipulazione della compravendita in oggetto; in proposito è stato ripetutamele affermato da questa Corte – proprio sulla base del principio che per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà immobiliare, per i quali è richiesta la forma scritta ‘ad substantiam’, l’atto scritto costituisce lo strumento necessario ed insostituibile per la valida manifestazione della volontà produttiva del negozio – che la manifestazione scritta della volontà di uno dei contraenti non può essere sostituita da una dichiarazione confessoria dell’altra parte, non valendo tale dichiarazione né quale elemento integrante il contratto, né – quand’anche contenga il preciso riferimento ad un contratto concluso per iscritto – come prova del medesimo (Cass. 28-5-1997 n. 4709; Cass. 18-6-2003 n. 9687; Cass. 7-4-2005 n. 7274).

In accoglimento del ricorso quindi la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Roma per procedere ad un nuovo esame della controversia onde accertare, all’esito unicamente della interpretazione del contenuto della scrittura privata del (omissis), se con tale atto la Z. ed il S. avessero voluto o meno stipulare la compravendita dell’immobile per cui è causa; il giudice di rinvio procederà anche alla pronuncia sulla spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

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