Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 19 novembre 2015, n. 23669

Svolgimento del processo

G.V. , con atto di citazione del 2 aprile 2004, conveniva davanti al Tribunale di Sondrio, B.R. ed premesso che in data 25 febbraio 2003 le parti stipulavano un contratto preliminare di compravendita di un immobile siti in Comune di Teglia, che in data 4 maggio 2003 la stessa attrice era stata immessa nel possesso dell’immobile ed aveva provveduto alle volture delle utenze domestiche e del pagamento delle quote condominiali, che la sig.ra B. , promittente venditrice, nonostante più volte sollecitata non provvedeva a convocare la promissaria acquirente presso il notaio per la stipula del definitivo. La promissaria acquirente aveva inviato una formale convocazione senza esito positivo. L’attrice aveva già versato la somma di Euro 35.164,57 ed in giudizio offriva formalmente di pagare il saldo del prezzo pattuito; chiedeva che venisse pronunciata sentenza ai sensi dell’art. 2932 cc che tenesse luogo al contratto definitivo non concluso.
Si costituiva in giudizio la convenuta, eccependo la carenza di legittimazione attivo dell’attrice stante non riferibilità della sottoscrizione del documento indicato quale contratto preliminare alla persona dell’attrice, quale promissaria acquirente.
Il Tribunale di Sondrio con sentenza n. 372 del 2005 accoglieva la domanda dell’attrice e trasferiva la proprietà dell’unità immobiliare di cui si dice subordinando l’efficacia del predetto trasferimento al pagamento della somma di Euro 3.569,60 quale residuo prezzo.
Avverso tale sentenza proponeva appello B.R. , chiedendo che venisse dichiarato nullo il contratto preliminare di vendita di cui si dice perché la sottoscrizione apposta in calce a tale contratto non corrispondeva quella della sig.ra G. e, dunque, la riforma della sentenza di primo grado.
Resisteva l’appellata, la quale chiedeva la conferma della sentenza impugnata. La Corte di Appello di Milano con sentenza n. 139 del 2010 rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese giudiziali del grado. Secondo la Corte di Milano la decifrabilità della sottoscrizione non sarebbe requisito di validità dell’atto ove l’autore sia identificabile nelle sue generalità dal contesto dell’atto medesimo e la mancanza di leggibilità non impedisca di riferire la sottoscrizione a quel soggetto. Qualora le indicazioni prece denti la sottoscrizione consentono -come nel caso in esame- di individuare al provenienza dell’atto la sigla deve considerarsi equipollente alla firma per esteso.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da B.R. con ricorso affidato a due motivi. G.V.M.C. ha resistito con controricorso. In prossimità dell’udienza pubblica le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. .

Motivi della decisione

Deve premettersi che il ricorso in esame non è soggetto alla normativa di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ. relativa al c.d. “quesito di diritto”. Tale norma è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 ed è stata abrogata ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d). Sicché, in virtù del comma secondo dell’art. 27 del D.legs. 40/2006 l’art. 366 bis è applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto n. 40/2006, cioè dal 2 marzo 2006, ed in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58, comma quinto, fino alla sua abrogazione cioè, fino al 4 luglio 2009.
1.= Con il primo motivo del ricorso B.R. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1350 cc e dell’art. 2702 cc. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.). Secondo la ricorrente, avrebbe sbagliato la Corte di appello di Milano nell’affermare che la decifrabilità della sottoscrizione non sarebbe requisito di validità dell’atto ove l’autore sia identificabile nelle sue generalità dal contesto dell’atto medesimo e la mancanza di leggibilità non impedisca di riferire la sottoscrizione a quel soggetto, perché ai sensi dell’art. 2702 cc la sottoscrizione sarebbe un requisito essenziale per fare acquistare al documento l’efficacia probatoria.
Piuttosto, andrebbe ritenuto che la scrittura privata sia da ritenere sottoscritta nella sola ipotesi in cui il segno grafico riporti l’indicazione del nome e cognome e, pertanto, una scrittura privata, in difetto della sottoscrizione apposta, secondo i criteri dinanzi indicati, deve ritenersi sfornita dalla medesima. La produzione in giudizio del contratto preliminare da parte della sig.ra G. non potrebbe avere efficacia probatoria perché la sig.ra B. aveva revocato il suo consenso con raccomandata dell’8 marzo 2004.
1.1.= Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile per mancato rispetto del principio di autosufficienza.
Come è stato già affermato da questa Corte, in più occasioni: la produzione in giudizio, di una scrittura privata ad opera della parte, indicata nel corpo dalla scrittura, che non l’aveva sottoscritta (ma lo stesso può essere detto per il caso in cui i segni grafici della sottoscrizione non sono leggibili) costituisce equipollente della mancata sottoscrizione contestuale (o rende decifrabili i segni grafici che compongono la sottoscrizione illeggibile) e, pertanto, perfeziona, sul piano sostanziale o su quello probatorio, il contratto in essa contenuto, purché la controparte del giudizio sia la stessa che aveva già sottoscritto il contratto e non abbia revocato, prima della produzione, il consenso prestato e l’atto sia stato prodotto al fine di invocare l’adempimento delle obbligazioni da esso scaturenti (cass. n. 13103 del 23/12/1995 e cass. n 11409 del 16/05/2006).
Alla luce di questi principi, correttamente, e con motivazione adeguata e sufficiente, la Corte di Milano ha ritenuto che la produzione del contratto da parte della G. e il riconoscimento da parte di B.R. della propria sottoscrizione comportava che la scrittura privata facesse piena prova della provenienza delle dichiarazioni da parte dei sottoscrittori senza che ne potesse essere accertata la veridicità della sottoscrizione attraverso strumenti probatori quali la perizia grafologica. D’altra parte, non vi è dubbio che la produzione della scrittura in giudizio e la corrispondenza tra la persona che ha prodotto la scrittura e la persona indicata nel corpo della scrittura, siano elementi sufficienti a rendere decifrabile i segni grafici che compongono una sottoscrizione illeggibile. E, per la stessa ragione, correttamente, la Corte di appello di Milano ha ritenuto che, accertata la riferibilità della firma al contraente sottoscrittore G.V. , sarebbe stato incongruo e non pertinente parlare di riconoscimento, perché il riconoscimento concerne, piuttosto, la propria sottoscrizione in un documento prodotto da controparte, mentre, nel caso di specie era la stessa G. che produceva il documento e, l’odierna appellante, parte contro la quale la scrittura era stata prodotta, non era abilitata da nessuna norma o principio a mettere in dubbio la firma di controparte.
1.1.a).= La censura è inammissibile nella parte in cui viene richiamata una raccomandata dell’8 marzo 2004, con la quale la B. avrebbe revocato il proprio consenso ancor prima della produzione della scrittura privata nel giudizio da parte della G. , perché non è stato riprodotto, né richiamato, l’esatto contenuto di tale documento né è stato specificato se tale documento (e/o raccomandata) sia stato fatto valere nel giudizio di appello, e/o l’eccezione sia stata riproposta in appello, posto che risulta dal contesto della sentenza impugnata che il Tribunale aveva già ritenuto ininfluente ai fini della efficacia del contratto preliminare, la revoca del consenso di cui alla lettera della B. dell’8 marzo 2004 e l’attuale ricorrente non ha specificato se tale decisione sia stata censurata in appello. Come è stato affermato da questa stessa Corte in altra occasione (Cass. n. 18506 del 25/08/2006), che qui si intende ribadire: qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito.
2= Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 214-215-221 e ss c.p.c.. e 355 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.). Secondo la ricorrente avrebbe sbagliato la Corte di Milano nel ritenere inammissibile la richiesta di querela di falso proposta dalla sig.ra B. , per difetto di interesse, perché non avrebbe tenuto conto che la contestazione della autenticità della sottoscrizione della parte che produce la scrittura privata può avvenire solo mediante al proposizione di querela di falso che trova il solo limite della carenza dell’interesse ad agire. Ora, la signora B. , accertato che nel corso del giudizio G. aveva espressamente riconosciuto come propria la sottoscrizione apposta al preliminare azionato, non poteva fare altro che proporre querela di falso al fine di accertare la non riferibilità della sottoscrizione apposta alla scrittura privata azionata al suo autore apparente e di conseguenza far dichiarare la nullità del preliminare azionato. Piuttosto, sarebbe, secondo al ricorrente, principio affermato da questa Corte che sarebbe legittimato a proporre querela di falso chiunque abbia interesse a contrastare l’efficacia probatoria di un documento munito di fede privilegiata in relazione ad una pretesa che su di esso si fondi.
2.1.= Anche questo motivo è infondato.
Va qui osservato che la querela di falso può riguardare sia un falso materiale e sia un falso ideologico, con la specificazione che la falsità materiale può investire il profilo estrinseco del documento (si parla di c.d. falsità materiale), ovvero nella sua “genuinità”, manifestandosi sia nelle forme della contraffazione (ad es. la formazione del documento da parte di chi non ne è l’autore apparente) che dell’alterazione (ad es. la modifica del documento originale). Si parla di falsità ideologica, quando invece la falsità concerne la verità del documento, ossia l’enunciazione falsa del suo contenuto, la quale può formare oggetto di querela di falso, limitatamente per ciò che concerne l’estrinseco del documento, come nel caso dell’atto pubblico del notaio che falsamente attesta la veridicità di una dichiarazione compiuta innanzi a lui (cfr. Cass. n. 2857/1979; Cass. n.47/1988). Ora, nel caso in esame, la querela di falso di cui la B. ne chiedeva l’ammissibilità non integrava gli estremi di nessuna delle due ipotesi di falsità, né del falso materiale e neppure del falso ideologico perché, come ha avuto modo di chiarire la Corte di appello, l’appellante non contestava la falsità materiale del contenuto del documento, cioè, in altri termini, che le dichiarazioni contenute in quel documento fossero riconducibili alla persona che aveva sottoscritto, né contestava la propria sottoscrizione (cosa che avrebbe potuto fare perché la parte contro cui è prodotta una scrittura privata può optare tra la facoltà di disconoscerla e la possibilità di proporre querela di falso). Piuttosto, nel caso in esame, la B. contestava la genuinità, della sottoscrizione altrui, o, in altri termini, che i segni grafici che componevano la – sottoscrizione della controparte fossero imputabili alla persona indicata nel corpo della scrittura privata rispondente alla persona della G. .
Epperò, come è stato chiarito dalla stessa Corte distrettuale, nessuna norma o principio abilita un contraente a mettere in dubbio la firma di controparte seppure non leggibile e, comunque, nel caso di specie, la produzione della scrittura di cui si dice nel giudizio da parte della persona indicata nel corpo della scrittura e la cui sottoscrizione era illeggibile, aveva perfezionato, sul piano sostanziale e su quello probatorio, il contratto in essa contenuto.
Pertanto, la sig.ra B. , come ha chiarito la stessa Corte di Milano, comunque, non aveva interesse alla proposizione della querela di falso sia perché non vi era norma che l’abilitasse e sia perché risultava acclarato che, comunque, i segni grafici della sottoscrizione illeggibile appartenevano alla G. .
In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

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