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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 2 aprile 2015, n. 13928

 

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Ciro – Presidente

Dott. GALLO Domenico – Consigliere

Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere

Dott. BELTRANI Serg – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 243/2014 TRIB. LIBERTA’ di MILANO, del 08/08/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

sentite le conclusioni del PG Dott. Massimo Galli, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Rilevata la regolarita’ degli avvisi di rito.

RITENUTO IN FATTO

Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Milano, adito ex articolo 324 c.p.p., ha confermato il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente emesso in data 8.7.2014 dal GIP della stessa citta’ nei confronti di (OMISSIS), in atti generalizzato, in riferimento ai reati di cui agli articoli 640 bis e 483 c.p., (come da dettagliate imputazioni provvisorie riportate in epigrafe del provvedimento impugnato).

Contro tale provvedimento, l’indagato (personalmente) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo il seguente motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

– inosservanza e/o erronea applicazione dell’articolo 640 quater c.p., e articolo 321 c.p.p., nonche’ del Decreto Legislativo n. 28 del 2011, articolo 23, comma 3, e del Decreto Ministeriale 5 maggio 2011, articolo 21, (c.d. IV Conto Energia), con conseguente erronea quantificazione del profitto sottoponibile a sequestro per equivalente.

All’odierna udienza camerale, celebrata ai sensi dell’articolo 127 c.p.p., si e’ proceduto al controllo della regolarita’ degli avvisi di rito; all’esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, e questa Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato e va rigettato.

Il ricorrente ha espressamente indicato di voler lamentare in questa sede (f. 2 del ricorso) “unicamente la fallacia del conteggio del profitto scaturito dal reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche”.

Al ricorrente si contesta di aver ricevuto la c.d. tariffa incentivante con contributo maggiorato nella misura del 10% per l’energia prodotta da pannelli solari di provenienza industriale Europea, laddove sarebbe stata falsamente dichiarata l’origine comunitaria di 18 pannelli.

Cio’ premesso, il ricorrente lamenta che, ai fini della quantificazione dell’importo da sequestrare in vista della futura confisca per equivalente, si sia tenuto conto dell’intera somma percepita, e non soltanto della maggiorazione in misura pari al 10%, poiche’, a suo avviso, la tariffa incentivante di base gli sarebbe comunque allo stato dovuta.

In senso contrario, peraltro, il Tribunale ha correttamente (nonostante i contrari e diffusi rilievi difensivi, apprezzabilmente articolati, ma ciononostante infondati) valorizzato quanto previsto dal Decreto Ministeriale 5 maggio 2011, articolo 21, che prevede, per i casi in cui risulti accertata la non veridicita’ di dati, documenti o dichiarazioni, resi dai soggetti responsabili ai fini dell’ottenimento delle tariffe incentivanti di cui allo stesso Decreto Ministeriale, la decadenza dal diritto alla tariffa incentivante con ripetizione di quanto in ipotesi gia’ indebitamente percepito: “e del resto l’incolpazione e’ quella di aver, in concorso, posto in essere artifici e raggiri al fine di indurre l’ente pagatore GSE ad erogare la tariffa incentivante e, per 18 sui 26 impianti, anche la maggiorazione del 10%, apparendo chiaro, sulla scorta dell’articolo sopra citato del Decreto Ministeriale 5 maggio 2011, che la non veridicita’ di qualsivoglia dato rappresentato, attestato, certificato, nell’ambito della procedura volta all’ottenimento della tariffa incentivante, e’ destinata a cagionare la perdita del diritto all’intero e non solo alla eventuale maggiorazione” (ultima pagina della motivazione del provvedimento impugnato, purtroppo non numerata, come sarebbe opportuno per migliore ordine espositivo).

Invero, questo essendo l’insieme delle disposizioni applicabili in materia, in fase cautelare la prognosi sulla eventuale futura decadenza dal diritto alla tariffa incentivante, coeteris pari bus, appare non soltanto legittima, ma doverosa.

Il rigetto del ricorso comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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