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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza  2 luglio 2014, n. 15095

Svolgimento del processo

Così la sentenza impugnata riassume lo svolgimento del processo.
«Con atto di citazione notificato in data 1.6.2000 la sig.ra I.A. conveniva in giuditiio davanti al Tribunale di Milano il V.S.D. e la madre V.M.A., nella qualità di eredi di R.V.A., chiedendo la declaratoria di nullità del testamento olografo redatto dal de cuius, pubblicato in Milano dal notaio Emanuele Ferraci il 13.1.2000, perché privo di data, e della simulazione della vendita, al nipote V.I.D., dell’immobile sito in Milano, via Plinio 7 e la conseguente nullità del negozio dissimulato di donazione per difetto di forma. In subordine, chiedeva l’accertamento della lesione della quota di legittima spettante all’istante, a seguito della predetta donatone, anche quale negotium mixtum cum donatione con le conseguenti statuitiioni. Instaurato il contraddittorio, i convenuti contestavano il fondamento della domanda, chiedendone il rigetto. Ammesse ed espletate la prova orale e ctu estimativa dell’immobile di via Plinio 7, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 8810 in data 13.7.2004, depositata in data 16.7.2004 dichiarava la nullità del testamento olografo, perché privo di data, rigettando le altre domande, compensando tra le parti le spese processuali. Il primo giudice riteneva, tra l’altro, che la simulatone della compravendita immobiliare potesse essere provata soltanto per iscritto con la controdichiarazione e non a me, o di testimoni e presunzioni, e che la compravendita eventualmente dissimulante una donazione ed intesa ad eludere le disposizioni sulla riserva di quote del patrimonio ereditario in favore dei legittimari, non poteva essere considerato negozio illecito che rendesse operativa l’eccezione di cui all’ars. 1417 c.c.»
2. La Corte territoriale accoglieva in parte l’appello della signora I.A., ritenendo simulata la vendita, dissimulante una donazione indiretta, da ritenersi, a sua volta, valida per essere sufficiente la forma richiesta per la vendita, senza la necessità della presenza all’atto di due testimoni. Al riguardo, la Corte di merito qualificava terzo la signora Imelda ai fini della prova della simulazione dell’atto, avendo ella agito in riduzione della donazione ai fini della reintegrazione della quota di legittima; riteneva la simulazione della vendita per la mancata prova del pagamento del prezzo in relazione alle condizioni economiche dell’acquirente, che aveva all’epoca 22 anni e godeva di una retribuzione minima, nonché sulla base di alcune dichiarazioni testimoniali. La Corte territoriale poi qualificava il negozio intervenuto fra le parti come donazione indiretta «in quanto nel trasferire gratuitamente l’immobile al nipote si reali l’arricchimento senza corrispettivo dell’altro contestatario» e concludeva che ai fini della validità, quanto alla forma necessaria, è sufficiente la forma scritta necessaria per il «nego o metitio», e non già quella richiesta per la donazione (atto pubblico con la presenza di due testimoni).
3. Impugna tale decisione I.A., che formula due motivi di ricorso. Resistono con controricorso gli intimati. La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. I motivi del ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso si deduce: «Impugnazione ex art. 360, comma primo, n. 3 c p. c per avere giudice dell’appello rigettato la domanda di nullità della donazione in violazione delle norme sulla forma del contratto (art. 782 c. c. e L 16.2.1913, n. 89), ritenendo valido il negozio dissimulato con falsa applicazione dell’ad. 1417 c. c. per avere la Corte X Appello qualificato come donazione indiretta il negozio dispositivo dell’immobile di Via Plinio 7».
Osserva la ricorrente che la Corte territoriale, avendo qualificato “donazione indiretta” il negozio di trasferimento dell’immobile, ha errato nel “confondere” «la simula ione… con la donazione indiretta e il cosiddetto negotium mixtum cum donatione». Si trattava di una donazione vera e propria e non di una donazione indiretta, che «si configura quando le parti, per raggiungere l’intento di liberalità, anziché utili tiare lo schema nego ‘ le all’uopo apprestato dalla legge, ossia il contratto di donazione, ne adottano un altro, caratterizzato da causa diversa (nella specie, contratto di compravendita) con cui convive la liberalità». Rileva la ricorrente che «nella donazione indiretta attuata mediante una compravendita (vendo a 100 ciò che vale 200) pur intendendo avvantaggiare l’acquirente, il contratto stipulato non solo ha la struttura apparente della vendita, negozio a titolo oneroso, ma resta tale anche sostanzialmente, con effettivo scambio di prestati ioni – anche se non proporzionate. Al contrario, nella compravendita dissimulante una donatone il contratto effettivamente voluto dalle parti ha solo causa gratuita poiché non viene versato alcun prezzo». Nel caso in questione, le parti «… “sotto forma di contratto oneroso, hanno inteso stipulare un contratto gratuito, per cui la dichiarazione concernente il prezzo non corrisponde a realtà” il negozio intercorso tra il de cuius ed il nipote è quindi una dona ione vera e propria, dissimulata sotto l’apparenza di una vendita, e come tale nulla per difetto della forma ad substantiam prevista dalla legge» e cioè «la forma dell’atto pubblico con testimoni (art. 782 c. c. e L 16.2.1913, n. 89)».
Viene formulato il seguente quesito: «se la donazione immobiliare (ossia l’atto dispositivo completamente gratuito) dissimulata sotto l’apparenza di una vendita debba – ai fini della validità – osservare tutte le norme dettate in tema di donazione (art. 782 c. c. e Legge 16 febbraio 1913 n. 89), non trovando nel caso applicazione la disciplina della c. d. donazione indiretta di cui all’art. 809 c. c. »
1.2 Col secondo motivo di ricorso si deduce: «Impugnazione ex art. 360, comma primo, n. 3 e n. 5 c p. c. violazione delle norme sul principio della domanda (arlt. 99, 112 cp. c.), per avere il giudice dell’appello rigettato la domanda di nullità della donazione riproposta in appello sull’erroneo rilievo che la relativa statuizione del Tribunale non sarebbe stata fatta oggetto di specifico motivo d’appello — rilevabilità d’ufficio della nullità (1421 c. c)».
La Corte d’Appello, in relazione alla domanda di nullità del negozio di donazione, ha affermato: «relativamente all’assenta nullità del negozio dissimulato di donazione per difetto di forma, il Tribunale ha affermato, senza alcun motivo specifico di appello al riguardo, la liceità di tale negozio e inoperante l’eccezione di cui all’ari. 1417 c.c.». Osserva la ricorrente che «la domanda di nullità è stata esplicitamente riproposta in secondo grado ai sensi dellaart. 346 c.p. c. Il Tribunale l’aveva rigettata “a monte”, motivando – come si è visto – sulla questione della prova sulla domanda di simulazione (risolta poi in senso opposto dalla Corte d’Appello). Quindi l’atto d’appello non poteva fare oggetto d’esame una “motivazione” che non era stata svolta da parte del Tribunale. Tuttavia, l’atto d’appello ha ugualmente ribadito i motivi di nullità dell’atto, ancorché sinteticamente (v. pag. 8: “Ora, l’atto (dissimulato) di donazione posto in essere tra le parti è comunque nullo per difetto di forma ad substantiam (art. 782 c. c. e Legge 16 febbraio 1913 n. 89) in quanto stipulato in assenza dei testimoni». In ogni caso, «la dedotta nullità comunque potrebbe e dovrebbe essere rilevata d’ufficio dall’organo giudicante ai sensi dell’ad. 1421 c. c in ogni stato e grado del processo, quando, esattamente come nel caso di specie, il motivo di nullità sia stato allegato dalla parte interessata, la relativa declaratoria sia stata fatta oggetto di specifica domanda, non siano necessari ulteriori indagini difatti e sulla stessa non si sia formato giudicato interno».
Viene formulato il seguente quesito: «se la nullità del negozio per vizio di forma, fatta oggetto di domanda nel corso del giudizio, sia comunque rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo».
2. Il ricorso è fondato e va accolto quanto al primo motivo, restando assorbito il secondo, per quanto di seguito si chiarisce. 2.1 – Nel caso in questione è risultato accertato che non vi fu alcun pagamento del prezzo. La Corte territoriale ha correttamente ritenuto che intervenne un negozio simulato (vendita dissimulante una donazione), ma ha ritenuto che ai fini della validità della donazione, negozio effettivamente voluto dalle parti, non fosse necessaria la forma prevista dall’art. 782 cod. civ., essendo sufficiente quella prevista per l’atto di vendita.
Al riguardo, occorre rilevare in primo luogo che la forma richiesta per la validità della donazione è quella dell’atto pubblico (art. 782 cod. civ.), redatto con le formalità previste da un notaio (art. 2699 cod. civ.). La legge notarile al riguardo prevedeva all’art. 48 quanto segue: «Per tutti gli atti tra vivi, eccettuate le donazioni e i contratti di matrimonio, la parte o le parti che sappiano leggere e scrivere, hanno facoltà di rinunziare di comune accordo alla assistenza dei testimoni all’atto. Il notaro farà espressa menzione di tale accordo in principio dell’atto». A seguito della modifica introdotta dall’art. 12, comma 1, lett. c), L. 28 novembre 2005, n. 246 il testo dell’art. 48 è del seguente tenore: «1. Oltre che in altri casi previsti per legge, è necessaria la presenta di due testimoni per gli atti di donazione, per le convenzioni matrimoniali e le loro modificazioni e per le dichiarazioni di scelta del regime di separatone dei beni nonché qualora anche una sola delle parli non sappia o non possa leggere e scrivere ovvero una parte o il notaio ne richieda la presenta. Il notaio deve fare espressa menzione della presenta dei testimoni in principio dell’atta». In entrambi i casi, la legge notarile prevedeva e prevede espressamente la necessaria presenza dei due testimoni per gli atti di donazione. Quindi, ai fini della validità della donazione occorre l’atto pubblico con la presenza di due testimoni.
La Corte territoriale ha invece ritenuto che l’atto simulato (vendita) integrasse una donazione indiretta, la cui validità è assicurata, quanto alla forma, d’adozione di quella necessaria per la validità dell’fatto mezzo (la vendita).
La Corte territoriale ha però errato sul punto, posto che era stata accertata la simulazione relativo nella quale, negozio voluto dalle parti era la donazione. Di qui, la necessità, ai fini della validità del contratto, del rispetto della relativa forma, di cui si è detto, restando in mancanza tale atto invalido, come dalla ricorrente eccepito e richiesto.
2.2-I1 secondo motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo.
3. L’accoglimento del ricorso determina la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che pronuncerà anche sulle spese.

P.Q.M.

La corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che deciderà anche sulle spese.

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