Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 23 aprile 2015, n. 8303

 

Svolgimento del processo

 

 

Con atto notificato in data 26 e 28.11.2001 S.L. citava a comparire innanzi al tribunale di Bergamo M.A. e B.G. .
Esponeva che con scrittura privata in data 2.1.1998 le convenute si erano obbligate a vendere per il prezzo di lire 200.000.000 ad ella attrice – socia e legale rappresentante della “Manzoni Blindate” s.r.l. – il piano superiore dello stabile di loro proprietà sito alla via (OMISSIS) , piano superiore già concesso in locazione con contratto siglato in data 21.1.1985 alla “Manzoni Blindate” (all’epoca avente forma di s.n.c.); che a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento del 4.4.2001 aveva accettato la promessa di vendita, destinata ad aver seguito a far data dal 2.1.2003, di della scadenza del contratto di locazione; che nondimeno le convenute, ancorché avessero intimato alla “Manzoni Blindate” disdetta per finita locazione, non avevano inteso far luogo alla stipula del contratto definitivo.
Chiedeva che l’adito giudice pronunciasse sentenza ex art. 2932 c.c. atta a produrre, a decorrere dal 2.1.2003, gli effetti del contratto non concluso.
Costituitesi, le convenute instavano per il rigetto dell’avversa domanda.
All’uopo disconoscevano le sottoscrizioni a loro nome figuranti in calce alla scrittura recante la promessa di vendita e riservavano la proposizione di querela di falso.
Invocata, ex latere actoris, la verificazione della scrittura, disposta c.t.u., l’ausiliario concludeva per l’autenticità delle sottoscrizioni.
All’udienza del 4.2.2003, fissata per la precisazione delle conclusioni, le convenute proponevano querela di falso.
Con sentenza non definitiva n. 1158/2003 il tribunale adito, acclarata l’autografia delle sottoscrizioni, rigettava la querela di falso.
Con sentenza definitiva n. 402/2004 trasferiva a S.L. la piena proprietà dell’immobile sito alla via (omissis) condizionatamente al pagamento della somma di Euro 103.291,40 ad M.A. e a B.G. .
Successivamente all’introduzione del giudizio civile M.A. e B.G. sporgevano in data 15.1.2002 denuncia – querela in danno di S.L. per falso in scrittura privata e tentata truffa aggravata. Deducevano che le sottoscrizioni a loro nome figuranti in calce alla scrittura erano state contraffatte con ogni probabilità dalla S. , al fine di acquistare a prezzo irrisorio la proprietà dell’immobile, il cui valore era pari a circa il quadruplo del prezzo asseritamente concordato.
Decretata in data 15.4.2003 l’archiviazione del procedimento penale originato dalla denunzia – querela, le convenute venivano rinviate a giudizio per il reato p. e p. dall’art. 368 c.p..
Con sentenze n. 818/2008 e n. 1823/2009 il tribunale di Bergamo assolveva M.A. e B.G. dal reato di calunnia per insussistenza del fatto ad esse ascritto.
Nelle more M.A. e B.G. proponevano appello avverso la sentenza non definitiva n. 1158/2003 ed avverso la sentenza definitiva n. 402/2004.
S.L. resisteva ad ambedue i gravami.
Con sentenza n. 388/2010 la corte di Brescia accoglieva l’appello esperito avverso la sentenza non definitiva n. 1158/2003 e per l’effetto dichiarava la falsità della scrittura in data 2.1.1998, ne ordinava la cancellazione integrale e condannava S.L. a rimborsare alle appellanti le spese di ambedue i gradi di giudizio.
Con sentenza n. 387/2010 la corte di Brescia accoglieva l’appello esperito avverso la sentenza definitiva n. 402/2004 e per l’effetto rigettava la domanda ex art. 2932 c.c. spiegata in prime cure da S.L. e la condannava a rimborsare alle appellanti le spese del doppio grado.
Sia con la sentenza n. 388/2010 sia con la sentenza n. 387/2010 la corte distrettuale premetteva che la controversia andava risolta alla luce delle sentenze n. 818 e n. 1823 pronunciate dal tribunale di Bergamo in data 27.3.2008 e 6.7.2009, sentenze con cui, rispettivamente, M.A. e B.G. erano state assolte dal delitto di calunnia a loro ascritto in concorso in relazione ed in conseguenza di quanto affermato con la denuncia sporta in data 15.1.2002; che, in particolare, con le medesime sentenze il tribunale di Bergamo aveva accertato che le sottoscrizioni a nome della M. e della B. , “apposte in calce alla scrittura in questione, anche ove ritenute autentiche, sarebbero state apposte per sovrapposizione rispetto a un foglio che nascondeva il testo del preliminare” (così sentenza d’appello n. 388/2010, pagg. 6- 7; così sentenza d’appello n. 387/2010, pagg. 11 -12); che a tale convincimento il giudice penale era pervenuto “in base non solo ai rilievi di ordine grafotecnico contenuti nella consulenza acquisita e confermata testimonialmente dal perito (…), ma anche alle (…) considerazioni di ordine logico basate su elementi probatori acquisiti nel corso del giudizio” (così sentenza d’appello n. 388/2010, pag. 7; così sentenza d’appello n. 387/2010, pag. 12).
Indi la corte territoriale esplicitava, con la sentenza n. 388/2010, che nella fattispecie ricorrevano i presupposti di cui all’art. 654 c.p.p. perché la sentenza penale esplicasse “efficacia piena di giudicato nella presente causa civile, nella quale si dovrà quindi accogliere la querela di falso proposta dalle appellanti B. e M. e conseguentemente dichiarare la falsità della scrittura privata in data 2 gennaio 1998 fatta valere dalla S. ” (così sentenza d’appello n. 388/2010, pag. 8); con la sentenza n. 387/2010, che nella fattispecie ricorrevano i presupposti di cui all’art. 654 c.p.p. perché la sentenza penale esplicasse “efficacia piena di giudicato nella presente causa civile, nella quale si dovrà quindi decidere sul presupposto che il preliminare azionato dalla S. sia giuridicamente inesistente, in quanto mai consapevolmente sottoscritto dalla M. e dalla B. ” (così sentenza d’appello n. 387/2010, pag. 13); che, invero, la sentenza penale era “stata pronunciata a seguito di dibattimento, nel quale la S. si era costituita parte civile” (così sentenza d’appello n. 388/2010, pag. 8; così sentenza d’appello n. 387/2010, pag. 13); che, inoltre, sia nel giudizio civile sia nel giudizio penale oggetto di controversia erano gli stessi fatti materiali ovvero la genuinità della scrittura privata, “quale presupposto indispensabile, in civile, per la valutazione della fondatezza o meno della querela di falso proposta da parte della B. e della M. , in penale, della condanna o meno delle medesime per il reato di calunnia nei confronti della S. ” (così sentenza d’appello n. 388/2010, pag. 8) nonché “quale presupposto indispensabile, in sede civile, per la valutazione della esistenza o meno del preliminare di vendita posto dalla S. a fondamento della propria azione ex art. 2932 c.c., in sede penale, della condanna o meno delle medesime [B. e M. ] per il reato di calunnia nei confronti della S. ” (così sentenza d’appello n. 387/2010, pag. 13); che, conseguentemente, “l’assoluzione delle imputate, per non aver commesso il fatto, sulla base dell’accertata manipolazione della scrittura in questione” (così sentenza d’appello n. 388/2010, pag. 8; così sentenza d’appello n. 387/2010, pag. 13), faceva stato ai fini “dell’accoglimento della querela di falso e della conseguente declaratoria di falsità del documento” (così sentenza d’appello n. 388/2010, pag. 9) nonché ai fini “della pronuncia sull’azione proposta dalla S. per l’attuazione, iussu iudicis, dell’obbligo a contrarre fondato sul preliminare 2 gennaio 1998, che la M. e la B. , per quanto accertato dal giudicato penale, non hanno sottoscritto” (così sentenza d’appello, pag. 14).
Esplicitava ulteriormente la corte bresciana (sia con la sentenza n. 388/2010 sia con la sentenza n, 387/2010) che destituito di fondamento era l’assunto dell’appellata secondo cui la quaestio della autenticità delle sottoscrizioni a nome della M. e della B. era coperta da giudicato in difetto di espressa impugnazione sul punto; che, difatti, “la sentenza impugnata non contiene alcuna pronuncia in ordine alla questione della veridicità delle sottoscrizioni delle appellanti né in dispositivo (…) e neppure in motivazione” (così sentenza n. 388/2010, pag. 9); che, d’altra parte, in tema di verifica dell’autenticità della scrittura privata, “la consulenza grafologica ha una limitata consistenza probatoria, non suscettiva di conclusioni obiettivamente ed assolutamente certe” (così sentenza d’appello n. 388/2010, pag. 9; così sentenza d’appello n. 387/2010, pag. 14), sicché è “indispensabile (…) che il giudice (…) valuti l’autenticità della sottoscrizione dell’atto (…) anche in correlazione a tutti gli altri elementi concreti sottoposti al suo esame” (così sentenza d’appello n. 388/2010, pag. 9; così sentenza d’appello n. 387/2010, pag. 14); che, in ogni caso, le appellanti avevano “fin dall’inizio della causa espressamente contestato, non tanto l’autenticità delle proprie sottoscrizioni in calce al preliminare, quanto piuttosto la riferibilità ad una loro consapevole volontà della stesura dell’accordo” (così sentenza d’appello n. 388/2010, pag. 10; così sentenza d’appello n. 387/2010, pag. 15); che, dunque, prive di rilievo erano le circostanze – sulle quali il primo giudice aveva fondato la propria decisione – per cui M.A. e B.G. avevano negato di aver rilasciato a S.L. o ad altri un foglio firmato in bianco ovvero per cui non avevano dedotto né comunque provato che il loro consenso fosse stato in qualche modo carpito con inganno o estorto con violenza.
Avverso la sentenza n. 388/2010 ed avverso la sentenza n. 387/2010 della corte d’appello di Brescia ha proposto separati ricorsi S.L. . Con entrambi preliminarmente ha domandato disporsi la riunione del procedimento scaturito dal ricorso esperito avverso la sentenza n. 387/2010 a quello scaturito dal ricorso proposto avverso la sentenza n. 388/2010; indi ha chiesto sulla scorta, e con l’uno e con l’altro ricorso, di quattro motivi la cassazione della sentenza n. 388/2010 e della sentenza n. 387/2010 con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese.
M.A. ha depositato controricorso sia nel procedimento iscritto al n. 29610/2010 R.G. sia nel procedimento iscritto al n. 29613/2010 R.G.; ha chiesto (con entrambi i controricorsi) dichiararsi inammissibili ovvero rigettarsi gli avversi ricorsi con il favore delle spese del grado di legittimità.
B.G. , del pari e nel procedimento iscritto al n. 29610/2010 R.G. e nel procedimento iscritto al n. 29613/2010 R.G., ha depositato controricorso; ha chiesto in via preliminare la riunione del procedimento scaturito dal ricorso esperito avverso la sentenza n. 387/2010 a quello scaturito dal ricorso proposto avverso la sentenza n. 388/2010; indi ha chiesto rigettarsi gli avversi ricorsi con il favore delle spese del grado di legittimità.
Con comparsa ex art. 302 c.p.c. in data 22.12.2014 si è costituita – sia nel procedimento iscritto al n. 29610/2010 R.G. sia nel procedimento iscritto al n. 29613/2010 R.G. – L.C. in qualità di unica erede di B.G. , deceduta il (…).
S.L. ha depositato – e nel procedimento iscritto al n. 29610/2010 R.G. e nel procedimento iscritto al n. 29613/2010 R.G. – memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso iscritto al n. 29610/2010 R.G. la ricorrente deduce in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3), c.p.c. “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. per avere la Corte d’Appello di Brescia attribuito nel giudizio civile piena efficacia di giudicato alle sentenze penali del Tribunale di Bergamo nn. 818/08 e 1823/09” (così ricorso iscritto alti. 29610/2010,pag. 29).
Adduce che “l’appello proposto dalle sigg.re M. e B. è stato accolto essenzialmente per un unico motivo: l’aver attribuito piena efficacia di giudicato alle sentenze penali n. 818/08 e n. 1823/09” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 30); che in tal guisa la corte distrettuale ha disatteso i principi da sempre affermati da questa Corte di legittimità con riferimento al disposto dell’art. 654 c.p.p., articolo che “esclude la validità erga omnes dell’accertamento dei fatti effettuato in sede penale e riduce fortemente l’area di applicazione del giudicato penale nei giudizi civili e amministrativi, introducendo sostanzialmente il principio della separazione dei giudizi” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 31); che, in ogni caso, la corte territoriale ha fatto applicazione dell’art. 654 c.p.p., benché non sussistessero i requisiti dalla medesima norma postulati; che, in particolare, difettava qualsivoglia “rapporto di pregiudizialità tra le due fattispecie civile e penale perché oggetto del giudizio penale non era il falso in scrittura privata, ma la calunnia originata dall’archiviazione dell’accusa di falso in scrittura privata” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 34); che, al contempo, “la previsione dell’art. 654 c.p.p. non può mai riguardare i giudizi aventi ad oggetto il reato di calunnia: reato rispetto al quale, per ragioni evidenti, si vuole escludere l’autorità di giudicato anche rispetto allo stesso giudizio penale a carico del calunniato” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pagg. 34 – 35); che “avrebbero semmai potuto e dovuto produrre effetti esclusivamente gli accertamenti compiuti in sede penale nel giudizio di falso che era stato iscritto a carico della S. ed era stato originato dalla denuncia (…) delle signore B. e M. : procedimento (…) concluso con decreto di archiviazione” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pagg. 37 – 38); che, invero, ben avrebbe dovuto la corte bresciana valutare gli esiti delle dichiarazioni testimoniali assunte nell’ambito di tal ultimo procedimento e, segnatamente, le dichiarazioni rese dai testimoni Ma.Li. , L.A. e P.F. .
Con il secondo motivo del ricorso iscritto al n. 29610/2010 R.G. la ricorrente deduce in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3), c.p.c. “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. con riferimento alle limitazioni civilistiche alla prova” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 61) nonché in relazione all’art. 360, 1 co., n. 5), c.p.c. vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione alle prove e ai relativi provvedimenti assunti nel giudizio civile” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 61).
Adduce che “l’errata applicazione dell’art. 654 c.p.p. ha comportato l’effetto di dare rilevanza a prove in ordine alle quali i giudici di merito si erano già pronunciati sulla loro ininfluenza” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 62); che invero la corte d’appello con ordinanza del 26.11.2003 aveva confermato la decisione del primo giudice in ordine all’ininfluenza delle prove ex adverso invocate ai fini della querela di falso; che dunque “la Corte bresciana si è ritenuta vincolata non solo al giudicato penale in tema di calunnia (primo errore grave) ma addirittura (…) alla valutazione, recepita acriticamente, del giudice penale delle prove raccolte nel dibattimento (secondo errore grave)” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 72); che, “così decidendo la Corte bresciana ha del tutto ignorato che nel giudizio civile alla stessa sottoposto le prove erano state espletate: non solo è stata disposta c.t.u., ma è stata anche esclusa l’ammissibilità delle prove per testi” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 72); che, “in particolare le prove a cui il giudice penale ha dato ingresso appaiono inammissibili in sede civile ex art. 244 c.p.c.” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 73) ed “è principio generale che le prove raccolte in altri processi non sono ammissibili, se non come semplici indizi” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 73); che “anche in punto di consulenza grafica la Corte territoriale riproduce acriticamente il ragionamento del giudice penale che aveva preferito la tesi del consulente di parte della difesa delle sig.re M. e B. (…), rispetto a quella del (…) nominato C.T.U. nel giudizio civile di primo grado” (così ricorso iscritto al n, 29610/2010, pag. 73); che, in tal guisa, è “ravvisabile un ulteriore vizio della sentenza dato dall’erronea interpretazione dell’art. 233 c.p.p. in quanto è evidente il differente ruolo del consulente tecnico di parte rispetto a quello di perito del giudice e di testimone” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 192): “la Corte d’Appello Civile ha fatto propria in modo acritico la valutazione del Giudice penale che, nell’autonomo giudizio di calunnia, aveva preferito le tesi del consulente di parte della difesa rispetto a quelle del dr. P. che era stato sentito come testimone avendo svolto le funzioni di C.T.U. nella causa civile di primo grado” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pagg. 192 – 193); che “l’erronea applicazione dell’art. 233 c.p.p. emerge con evidenza ove si consideri, tra l’altro, che nell’autonomo giudizio per calunnia (…) il Giudice penale (…) avrebbe dovuto (…) al più disporre perizia ex art. 233, co. 2, c.p.p.” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 194), avendo reputato plausibile la tesi del consulente di parte; che “l’error in judicando appare ancor più evidente ove si consideri che sia il Tribunale penale nel processo per calunnia, sia la Corte d’Appello Civile con l’impugnata sentenza, nulla dicono in merito ai risultati della perizia grafica del C.T.U. P. ” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 194).
Con il terzo motivo del ricorso iscritto al n. 29610/2010 R.G. la ricorrente deduce in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3), c.p.c. violazione dell’art. 2702 c.c., in relazione all’art. 360, 1 co., n. 5), c.p.c. vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia sulla questione della accertata veridicità delle sottoscrizioni delle sig.re B. e M. ” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 194).
Adduce che, contrariamente a quanto affermato dalla corte distrettuale, B.G. e M.A. avevano specificamente contestato non già la riferibilità dell’accordo alla loro consapevole volontà, quanto l’autenticità delle sottoscrizioni a loro nome in calce al preliminare; che in tal senso deponevano sufficientemente le conclusioni dalle controparti rassegnate nella comparsa con cui avevano provveduto a costituirsi nel giudizio di primo grado introdotto con l’azione ex art. 2932 c.c.; che del resto la B. e la M. avevano in comparsa riservato la proposizione della querela di falso e “solamente all’esito positivo del procedimento di verificazione (…) all’udienza del 04.02.2003 (…) hanno dichiarato di proporre querela di falso nei confronti del documento datato 02.01.1998” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 215); che risultava “così privo di logicità il tentativo fatto dalla Corte territoriale di inficiare il valore delle dichiarazioni rese dalle sig.re B. e M. di non aver mai firmato fogli in bianco, come invece le stesse hanno dichiarato in sede di interrogatorio nella causa di sfratto n. 2856/01” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 223), dichiarazioni “che, invece, rendono assolutamente plausibile il fatto che questo documento, effettivamente sottoscritto dalle M. e B. , fosse stato firmato a seguito delle lunghe trattative intercorse tra le parti circa la vendita dell’immobile” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 230); che, d’altro canto, “la Corte di merito sembra non comprendere che dal momento in cui le M. e B. decidono di proporre querela di falso per riempimento absque pactis necessariamente danno per pacifico l’autenticità delle loro sottoscrizioni” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 230); che in questo senso era “da intendere il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado sul punto irrevocabilità dell’accertamento dell’autenticità delle sottoscrizioni a seguito della proposizione della querela di falso finalizzata a contestare la verità del contenuto del documento” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 232); che, d’altronde, “dal principio normativo di cui all’art. 2702 c.c. discende che può essere impugnata con la querela di falso la provenienza delle dichiarazioni della scrittura privata la cui sottoscrizione è già riconosciuta (o verificata legalmente)” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 233).
Con il quarto motivo del ricorso iscritto al n. 29610/2010 R.G. la ricorrente deduce in relazione all’art. 360, 1 co., n. 5), c.p.c. vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia derivante dal travisamento del fatto compiuto dal giudice penale” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 234).
Adduce che “dalle trascrizioni delle dichiarazioni testimoniali rese dai sigg.ri L. e S. all’udienza del 13.02.2008 nel giudizio penale per calunnia (…) emerge, in realtà, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice penale e dalla Corte d’Appello, l’assoluta concordanza tra quanto dichiarato dai medesimi sul punto in esame” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 235); che “parimenti non vi è alcun contrasto, contrariamente a quanto riportato nella (…) sentenza impugnata, in relazione all’importo indicato in contratto preliminare di lire 800.000.000 e la dichiarazione del L. circa il valore delle migliorie eseguite dalla Manzoni Blindate” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 285); che, ancora, contrariamente a quanto assunto dalla corte territoriale, la conoscenza da parte del difensore dì ella ricorrente “dell’esistenza della scrittura privata del 02.01.1998 avviene in un momento successivo rispetto alla lettera 02.01.98 redatta dallo stesso legale in replica alla lettera di disdetta dal contratto di locazione del 19.12.1997” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 296); che, del resto, il testo della scrittura privata recante il preliminare di compravendita era stato direttamente redatto da ella ricorrente “senza l’intervento e il suggerimento del legale, come dalla stessa ammesso e confermato dal sig. L.A. in sede di testimonianza nel giudizio penale” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 300); che anche l’affermazione della corte bresciana circa la mancata prova del pagamento della somma di lire 160.000.000 “risulta apodittica e anch’essa frutto della acritica ricezione del convincimento del giudice penale” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 301); che, invero, “il pagamento della somma di lire 160 milioni a cui si riferisce la Corte territoriale non riguarda i 200 milioni convenuti con la scrittura del 02.01.98 ma, bensì, è parte dell’ulteriore importo di lire 200 milioni che la sig.ra S. e le sigg.re M. – B. avevano concordato che venisse pagato in nero mediante il versamento di rate di 40 milioni l’una a cadenza annuale nell’arco temporale di cinque anni dal 02.1.1998 al 02.01.02, salvo l’ultima rata di 40 milioni che non è stata più versata quando, inaspettatamente, le originarie convenute – appellanti non hanno più voluto onorare l’accordo” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 302).
Con il primo motivo la ricorrente del ricorso iscritto al n. 29613/2010 R.G. deduce in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3), c.p.c. “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. per avere la Corte d’Appello di Brescia attribuito nel giudizio civile piena efficacia di giudicato alle sentenze penali del Tribunale di Bergamo nn. 818/08 e 1823/09” (così ricorso al n. 29613/2010, pag. 29).
Prospetta le medesime circostanze e ragioni addotte con il primo motivo del ricorso iscritto al n. 29610/2010 R.G..
Con il secondo motivo del ricorso iscritto al n. 29613/2010 R.G. la ricorrente deduce in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3), c.p.c. “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. con riferimento alle limitazioni civilistiche alla prova” (così ricorso iscritto al n. 29613/2010, pag. 61) nonché in relazione all’art. 360, 1 co., n. 5), c.p.c. vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia in merito alle prove e relativi provvedimenti assunti nel giudizio civile” (così ricorso iscritto al n. 29613/2010, pag. 61).
Prospetta le medesime circostanze e ragioni addotte con il secondo motivo del ricorso iscritto al n. 29610/2010 R.G..
Con il terzo motivo del ricorso iscritto al n. 29613/2010 R.G. la ricorrente deduce in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3), c.p.c. violazione dell’art. 2702 c.c., in relazione all’art. 360, 1 co., n. 5), c.p.c. vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia sulla questione della accertata veridicità delle sottoscrizioni delle sig.re B. e M. ” (così ricorso iscritto al n. 29613/2010, pag. 197).
Prospetta le medesime circostanze e ragioni addotte con il terzo motivo del ricorso iscritto al n. 29610/2010 R.G..
Con il quarto motivo del ricorso iscritto al n. 29613/2010 R.G. la ricorrente deduce in relazione all’art. 360, 1 co., n. 5), c.p.c. vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia derivante dal travisamento del fatto compiuto dal giudice penale” (così ricorso iscritto al n. 29613/2010, pag. 237).
Prospetta le medesime circostanze e ragioni addotte con il quarto motivo del ricorso iscritto al n. 29610/2010 R.G..
Va previamente disposta la riunione del procedimento scaturito dal ricorso iscritto al n. 29613/2010 R.G. esperito avverso la sentenza n. 387/2010 a quello scaturito dal ricorso iscritto al n. 29613/2010 R.G. proposto avverso la sentenza n. 388/2010.
Pur al di là dell’identità soggettiva sussistono evidenti ragioni di connessione oggettiva.
Al riguardo si tenga conto che l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 c.p.c., essendo volto a garantire l’economia ed il minor costo del giudizio, oltre alla certezza del diritto, trova applicazione anche in sede di legittimità, sia in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi sia, a maggior ragione, in presenza di sentenze pronunciate in grado di appello in un medesimo giudizio, legate l’una all’altra da un rapporto di pregjudizialità e impugnate, ciascuna, con separati ricorsi per cassazione (cfr. Cass. 31.10.2011, n. 22631; cfr. Cass. 4.4.1997, n. 2922; cfr. inoltre Cass. 19.1.1979, n. 402, secondo cui l’opportunità di disporre o meno la riunione di più cause connesse costituisce oggetto di un giudizio assolutamente discrezionale).
Va in via paramenti preliminare dato atto della irritualità della costituzione di L.C. , quale unica erede di B.G. .
Al riguardo riveste senza dubbio valenza l’insegnamento espresso da questa Corte a sezioni unite.
Ovvero l’insegnamento secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, poiché l’applicazione della disciplina di cui all’art. 110 c.p.c. non è espressamente esclusa per il processo di legittimità, né appare incompatibile con le forme proprie dello stesso, il soggetto che ivi intenda proseguire il procedimento, quale successore a titolo universale di una delle partì già costituite, deve allegare e documentare, tramite le produzioni consentite dall’art. 372 c.p.c., tale sua qualità, attraverso un atto che, assumendo la natura sostanziale di un intervento, sia partecipato alla controparte – per assicurarle il contraddittorio sulla sopravvenuta innovazione soggettiva consistente nella sostituzione della legittimazione della parte originaria – mediante notificazione, non essendone, invece, sufficiente il semplice deposito nella cancelleria della Corte, come per le memorie di cui all’art. 378 c.p.c., poiché l’attività illustrativa che si compie con queste ultime è priva di carattere innovativo (cfr. Cass. sez. un. 22.4.2013, n. 9692; cfr. anche Cass. 31.3.2011, n. 7441, secondo cui nel caso di morte della parte durante il giudizio di legittimità, avvenuta dopo la sua costituzione in giudizio mediante deposito del ricorso o del controricorso, il successore ha facoltà di intervenire nel giudizio, con un atto avente natura sostanziale di atto di intervento (nel quale può essere rilasciata la procura a difensore iscritto nell’albo speciale) che deve essere notificato alla controparte, in vista dell’assicurazione del contraddittorio sulla nuova manifesta legittimazione, non potendo l’intervento detto aver luogo con il mero deposito di un atto nella cancelleria della Suprema Corte e stante l’esigenza di assicurare a tale atto una forma simile a quella del ricorso e del controricorso).
Ovvero l’insegnamento secondo cui, ulteriormente, qualora, la parte intimata (e poi deceduta) non abbia, nei termini, proposto e depositato il controricorso, l’erede può soltanto partecipare alla discussione orale, conferendo al difensore procura notarile, ma l’eventuale costituzione irrituale del medesimo è sanata se le controparti costituite non formulino eccezioni (cfr. Cass. sez. un. 22.4.2013, n. 9692; cfr. anche Cass. 31.3.2011, n. 7441, secondo cui la nullità derivante dall’omissione della notificazione è sanata se le controparti costituite accettino il contraddittorio senza eccezioni).
Su tale scorta si rileva quanto segue.
Innanzitutto, che B.G. aveva provveduto alla rituale notifica – nel rispetto del termine di cui all’art. 370, 1 co., c.p.c. – ed al rituale deposito – nel rispetto del termine di cui all’art. 370, 3 co., c.p.c. – del controricorso.
Altresì, che L.C. intervenuta con comparsa in data 22.12.2014 ha documentato – con certificato di morte rilasciato dal Comune di Bergamo in data 4.3.2013 – il decesso in data 4.3.2013 di B.G. e – con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà in data 22.12.2014 – la sua qualità di unica erede legittima, in quanto figlia, della controricorrente.
Inoltre, che, quantunque L.C. non abbia provveduto a notificare alle controparti, segnatamente a S.L. , la comparsa con cui ha spiegato intervento ed i documenti allegati, tuttavia le medesime controparti, segnatamente S.L. , non hanno formulato contestazioni di sorta, in tal guisa accettando il contraddittorio. In particolare S.L. nulla ha eccepito in proposito né nelle memorie ex art. 378 c.p.c. depositate in data 15.1.2015 né nel corso dell’udienza dì discussione.
Ancora, che L.C. ha conferito ius postulandi all’avvocato Riccardo Carnevali, all’avvocato Giovanni Vezzoli ed all’avvocato Edoardo Cesari mercé procura speciale a margine della comparsa di costituzione ex art. 302 c.p.c. in data 22.12.2014.
Alla stregua di tal ultimo rilievo la costituzione di L.C. deve considerarsi invalida e tamquam non esset.
Invero va ribadito l’insegnamento a sezioni unite di questa Corte secondo cui nel giudizio di cassazione la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, stante il tassativo disposto dell’art. 83, 3 co., c.p.c., che implica la necessaria esclusione dell’utilizzabilità di atti diversi da quelli suindicati; pertanto, se la procura non è rilasciata contestualmente a tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal 2 co. dello stesso articolo, cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata (cfr. Cass. (ord.) sez. un. 12.6.2006, n. 13537, secondo cui, ulteriormente, non può pervenirsi ad una conclusione diversa nel caso in cui debba sostituirsi il difensore nominato con il ricorso, deceduto nelle more del giudizio, non rispondendo alla disciplina del giudizio di cassazione il deposito di atti redatti dal nuovo difensore su cui possa essere apposta la procura speciale; cfr, anche Cass. 24.11.2010, n. 23816).
Si soggiunge che nel caso di specie non rileva, ratione temporis, l’inciso “ovvero della memoria di nomina del nuovo difensore, in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato”, inserito nel corpo del 3 co. dell’art. 83 c.p.c. dall’art. 45, 9 co., lett. a), legge 18.6.2009, n. 69, in vigore dal 4.7.2009 ed applicabile, ex art. 58, 1 co., legge n. 69/2009, ai giudizi instaurati successivamente a tale data (cfr. Cass. (ord.) 26.3.2010, n. 7241, secondo cui nel giudizio di cassazione, il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c., secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore dell’art. 45 della legge n. 69/2009 ovvero dopo il 4 luglio 2009, mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, 2 co., c.p.c.).
Destituito di fondamento è sia il primo motivo del ricorso iscritto al n. 29610/2010 R.G. sia il primo motivo del ricorso iscritto al n. 29613/2010 R.G..
È sufficiente reiterare gli insegnamenti di questa Corte alla cui stregua, se è vero che il codice di procedura penale del 1988 detta la regola, innovativa e generale, dell’autonomia tra il giudizio civile ed il giudizio penale, nondimeno di tale regola le norme di cui agli artt. 651 e ss. c.p.p. costituiscono altrettante eccezioni; alla cui stregua, inoltre, gli artt. 651, 652, 653 e 654 c.p.p. individuano tre categorie di giudizi, quella (civile e amministrativa) dei giudizi di “danno”, quella dei giudizi “disciplinari” e quella genericamente qualificabile come “altri giudizi civili e amministrativi”; alla cui stregua, ancora, nell’ambito di tal ultima categoria la sentenza di assoluzione o di condanna fa indifferentemente stato, tout court, sui fatti accertati dal giudice penale e rilevanti ai fini della decisione (cfr. Cass. 2.8.2004, n. 14770); alla cui stregua, più esattamente, il giudicato penale ha autorità, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., nel giudizio civile diverso da quello risarcitorio, quando oggetto del giudizio civile è un diritto o un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti che sono oggetto del giudizio penale e la legge civile non ponga limitazione alla prova “della posizione soggettiva controversa” (cfr. Cass. sez. lav. 13.1.2003, n. 314; Cass. 19.3.2002, n. 3961).
Su tale scorta è indubitabile che il buon esito dell’acro ex ari. 2932 c.c. che S.L. ebbe ad esperire in danno di B.G. e di M.A. , ossia il riconoscimento del buon fondamento del diritto potestativo azionato ai sensi dell’art. 2932 c.c., e, simmetricamente, il buon esito della querela di falso incidentalmente spiegata dalle originarie convenute fossero ancorati al riscontro della autenticità materiale o meno della scrittura intestata “Ponteranica 02 gennaio 1998”, recante la promessa di vendita del piano superiore dello stabile di via (OMISSIS) e con in calce le sottoscrizioni a nome di B.G. ed M.A. e, quindi, al riscontro della storica veridicità o meno degli stessi fatti sostanzianti l’imputazione per il delitto di cui agli artt. 110 e 368 c.p. elevata in danno delle asserite originarie promittenti venditrici.
È indubitabile, cioè, che i medesimi fatti rilevassero sia in sede penale sia in sede civile.
Sulla medesima scorta è indubitabile, altresì, che nel giudizio di falso la prova della falsità del documento impugnato con apposita querela deve essere fornita dal querelante, che può valersi di ogni mezzo ordinario di prova e, quindi, anche delle presunzioni (cfr. Cass. 17.6.1998, n. 6050; Cass. 6.7.1983, n. 4571).
In questo quadro le affermazioni segnatamente di cui alla sentenza n. 818/2008 pronunciata dal tribunale di Bergamo – sezione penale – all’esito dell’istruttoria dibattimentale, nell’ambito del procedimento promosso a carico di M.A. per il reato di calunnia ascrittole in concorso con B.G. e con la costituzione di parte civile di S.L. , non possono non fare “stato” nella vicenda civile de qua agitur nel cui seno sono contrapposte le medesime parti.
Il riferimento, in particolare, è all’affermazione a tenor della quale “il giudizio penale ha, per contro, consentito di accertare non solo che le sottoscrizioni apposte in calce alla scrittura non sono autentiche (cfr. dichiarazioni Si.Da. , cui l’imputata si era rivolta, prima di risolversi alla denuncia, sul dubbio che potesse essere stata fraudolentemente indotta ad apporre la propria firma sul documento), ma addirittura che, se anche lo fossero, le stesse, od almeno quella di M.A. , sarebbero state apposte per sovrapposizione rispetto a foglio che nascondeva il testo del preliminare (cfr. dichiarazioni C.A. e sua consulenza tecnica acquisita alla udienza in data 13 febbraio 2008)” (così sentenza n. 818/2008 del tribunale di Bergamo – sezione penale – pag. 3).
È da escludere, pertanto, che la corte di Brescia abbia disatteso i principi affermati da questa Corte di legittimità con riferimento al disposto dell’art. 654 c.p.p. ovvero che ne abbia fatto applicazione nonostante l’insussistenza delle condizioni dalla medesima disposizione prefigurate.
L’esito infausto del primo motivo adotto con ambedue i ricorsi assorbe e rende vana la disamina e del secondo e del quarto motivo e dell’uno e dell’altro ricorso.
Le statuizioni penali di assoluzione fanno “stato” in questa sede.
Il che travolge e rende sterile qualsivoglia censura in ordine alla selezione dei mezzi di prova ed alla valutazione degli esiti probatori.
E ciò, ben vero, a prescindere dal rilievo ulteriore per cui la deduzione di un vizio di motivazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789).
Destituito di fondamento è il terzo motivo e del ricorso iscritto al n. 29610/2010 R.G. e del ricorso iscritto al n. 29613/2010 R.G..
È fuor di dubbio che M.A. e B.G. hanno esperito in prime cure in via incidentale querela di falso.
Su tale scorta, al cospetto specificamente della prospettazione della ricorrente secondo cui “la Corte di merito sembra non comprendere che dal momento in cui le M. e B. decidono di proporre querela di falso per riempimento absque pactis necessariamente danno per pacifico l’autenticità delle loro sottoscrizioni” (così ricorso iscritto al n. 29610/2010, pag. 230), basta ribadire l’insegnamento di questo Giudice del diritto secondo cui il valore di prova legale della scrittura privata riconosciuta, o da considerarsi tale, è limitato alla provenienza della dichiarazione del sottoscrittore e non si estende al contenuto della medesima, sicché la querela di falso è esperibile nei casi di falsità materiale per rompere il collegamento, quanto alla provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione (cfr. Cass. 2.6.1999, n. 5383).
Pertanto, la circostanza che fosse stata acclarata l’autenticità delle sottoscrizioni a nome della M. e della B. di certo nessuna preclusione valeva a generare ai fini della proposizione della querela di falso e, conseguentemente, ai fini del riscontro, mercé la querela, della falsità materiale della scrittura recante la promessa di vendita del piano superiore dello stabile di via (OMISSIS) .
La ricorrente, giacché soccombente, va condannata a rimborsare a ciascuna delle controricorrenti le spese del presente grado di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

P.Q.M.

 

La Corte così provvede:
dispone riunirsi il procedimento scaturito dal ricorso iscritto al n. 29610/2010 R.G. a quello scaturito dal ricorso iscritto al n. 29613/2010 R.G.;
rigetta ambedue i ricorsi in tal guisa riuniti;
condanna S.L. a rimborsare ad M.A. le spese del presente grado di legittimità, che si liquidano in Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario, i.v.a. e cassa come per legge;
condanna S.L. a rimborsare a B.G. le spese del presente grado di legittimità, che si liquidano in Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario, i.v.a. e cassa come per legge.

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