Le massime

1. L’ordinamento non prevede specifici valori-limite per le immissioni olfattive, le quali non rientrano nell’ambito della disciplina dell’inquinamento atmosferico, il reato di cui all’art. 674 cod. pen. è configurabile anche nel caso in cui tali immissioni provengano da un impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ.; limite che funge da criterio di legittimità delle emissioni ai sensi della seconda parte dello stesso art. 674 cod. pen.

2. La fattispecie prevista dall’art. 674 cod. pen. è costruita dal legislatore intorno alla condotta di emissione, che si configura ordinariamente come istantanea, in mancanza di specifici elementi di fatto dai quali desumere la sua permanenza.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II PENALE

SENTENZA 26 settembre 2012, n.37037

 

Ritenuto in fatto

 

1. – Con sentenza del 7 marzo 2011, la Corte d’appello di Trieste ha – per quanto qui rileva – confermato la sentenza del Tribunale di Pordenone del 21 dicembre 2009, con la quale gli imputati erano stati condannati, per il reato di cui all’art. 674 cod. pen., perché, quali soci amministratori di una società semplice avente ad oggetto l’allevamento avicolo, provocavano emissioni di polveri ed effluenti gassosi, provenienti da capannoni destinati all’attività di impresa e atti ad offendere e molestare le persone dimoranti nelle vicinanze (dal novembre 2004, con permanenza in atto). La Corte territoriale ha anche confermato la condanna generica al risarcimento dei danni in favore delle parti civili e le relative provvisionali.

2. – Avverso la sentenza l’imputato G. ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

2.1. – Con un primo motivo di impugnazione, si denunciano la violazione della norma incriminatrice, il travisamento di prove decisive e la contraddittorietà della motivazione, perché la Corte d’appello, pur dando atto che l’impianto di abbattimento delle polveri e degli odori era stato autorizzato con delibera della giunta regionale, aveva ritenuto comunque configurabile il reato di cui all’art. 674 cod. pen., attribuendo valore alle dichiarazioni rese dai testimoni nel corso del dibattimento, che facevano riferimento al cattivo odore e dilatando impropriamente, in via interpretativa, il concetto di polveri ricomprendendovi anche ‘piumino’ e segatura. Precisa la difesa che erano state prodotte in udienza le domande presentate dall’azienda agricola per ottenere l’autorizzazione integrata ambientale e le relazioni di analisi delle emissioni in atmosfera eseguite da un laboratorio specializzato, dalle quali risultava che i valori di emissione erano inferiori ai valori-limite. Erroneamente – secondo la prospettazione difensiva – la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto delle risultanze di tali relazioni, limitandosi ad osservare che si trattava di campionamenti di una sola giornata e che l’impianto non era stato sottoposto ad alcun controllo preliminare da parte della Regione ai fini del rilascio dell’autorizzazione. La difesa prosegue osservando che, dalle relazioni tecniche prodotte, elaborate da esperti rinoanalisti, emergeva che i valori delle concentrazioni di ammoniaca e delle altre sostanze odorigene erano di molto inferiori a quelli indicati come molesti dalle principali normative Europee, in mancanza di valori limite per gli odori vigenti in Italia.

2.2. – Si denunciano, in secondo luogo, la violazione dell’art. 2043 cod. civ. e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa la legittimazione a costituirsi parte civile del ‘Comitato di salvaguardia dietro Castello’, in quanto associazione di protezione dell’ambiente non riconosciuta ed avente carattere meramente locale. Secondo la prospettazione difensiva, tale comitato, in considerazione dei suoi scopi di associazione di protezione ambientale, non aveva alcuna legittimazione a costituirsi parte civile, perché il bene-interesse tutelato dalla norma incriminatrice non è l’ambiente ma l’incolumità delle persone. Né vi sarebbe un’adeguata motivazione circa l’entità del danno morale liquidato come provvisionale, non essendo sufficiente il potenziale discredito subito dal Comitato, ed essendo contraddittori i riferimenti della sentenza a danni causati dall’inerzia degli enti pubblici e non, quindi, dagli imputati.

2.3. – Si deducono, in terzo luogo, l’erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen. e la contraddittorietà della motivazione relativamente alla continuazione, sul rilievo che il Tribunale, pur dando per scontato che l’immissione di polveri avviene usualmente solo alla fine del ciclo di allevamento dei polli, aveva ritenuto permanente il reato, a fronte di una pluralità di episodi sganciati fra loro. La difesa evidenzia che l’imputato G. ha uno specifico interesse all’accoglimento del mezzo di gravame, perché, con atto del 23 maggio 2007, aveva ceduto le sue quote di partecipazione nella società, cessando così da ogni incarico e da ogni responsabilità.

3. – La sentenza è stata impugnata personalmente anche dall’imputato P. .

3.1. – Si prospetta, in primo luogo, la nullità del decreto di citazione a giudizio, per omessa notificazione alla parte offesa, sul rilievo che il Tribunale disponeva di tutti gli elementi idonei a circoscrivere il capo di imputazione, indicando le norme extra penali integrative della fattispecie astratta di cui all’art. 674 cod. pen., e ad individuare le persone offese legittimate alla costituzione come parte civile, fra le quali doveva obbligatoriamente annoverarsi il Ministero dell’ambiente – per la previsione di cui all’art. 311 del d.lgs. n. 152 del 2006, in presenza di una fonte di inquinamento ambientale. Per la difesa dell’imputato, la mancata rinnovazione della notifica del decreto che dispone il giudizio al Ministro dell’ambiente sarebbe, in altri termini, causa di nullità dello stesso.

3.2. – Con un secondo motivo di gravame, si sollevano censure analoghe a quelle proposte dal coimputato e riportate sub 2.1., richiamandosi il principio giurisprudenziale secondo cui il reato di cui all’articolo 674 cod. pen. non sarebbe configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da un’attività regolarmente autorizzata.

3.3. – Si rilevano, in terzo luogo, la mancata assunzione di prova decisiva, per l’omessa audizione dei testi Pu. , F. e C. , e la carenza di motivazione sul punto.

3.4. – Con un quarto motivo di impugnazione, si deducono la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto all’interpretazione dei dati strumentali acquisiti a dibattimento relativamente alla presenza di odore di ammoniaca nell’aria, perché la Corte d’appello non avrebbe spiegato la ragione per cui, a fronte di una scarsa concentrazione di ammoniaca, le parti offese affermavano comunque di sentirne l’odore. Sarebbe stata erroneamente interpretata, sul punto, anche la deposizione del teste B. .

3.5. – Con una quinta censura, si deducono l’erronea applicazione dell’articolo 100 cod. proc. civ. e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla legittimazione a costituirsi parte civile del ‘Comitato di salvaguardia dietro Castello’ e all’esistenza e alla quantificazione del danno, sulla base di argomenti analoghi a quelli riportati sub 2.2. A ciò, si aggiunge – sempre per la difesa – la mancanza di prova del danno asseritamente subito dagli altri singoli soggetti costituitisi parte civile.

3.6. – Si deducono, in sesto luogo, la mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla gradazione della pena, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla misura della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria. Sotto tale ultimo profilo, si rileva che, per la natura sostanziale e non processuale dell’istituto, il giudice avrebbe dovuto applicare la disciplina previgente.

3.7. – Si rileva, in settimo luogo, la manifesta illogicità della motivazione quanto alla mancata dichiarazione di prescrizione del reato da parte del Tribunale, trattandosi di fattispecie istantanea, consumata, al più, anteriormente al 28 marzo 2005 e, dunque, nella vigenza del vecchio regime prescrizionale.

3.8. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la difesa dell’imputato P. ribadisce quanto già dedotto in ricorso e chiede che venga sottoposta alle sezioni unite di questa Corte la questione se il reato di cui all’art. 674 cod. pen. sia configuratane per le immissioni olfattive provenienti da un impianto munito di autorizzazione ai fini dell’inquinamento atmosferico.

4. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, il ‘Comitato di salvaguardia dietro Castello’ ribadisce la sua legittimazione alla costituzione di parte civile e la risarcibilità del danno, anche morale, subito.

5. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, le parti civili Ri..Po. , S..C. , E..R. , Z.E. , G..B. , O..Z. , Z.E. , M..C. , O..B. , D.R.I. , M..Z. , O..D.R. , V..Z. , C.G. , S..M. , An..Po. hanno chiesto il rigetto dei ricorsi, evidenziando che l’autorizzazione integrata ambientale richiesta dalla società degli imputati è stata negata proprio in considerazione delle molestie olfattive prodotte.

6. – All’udienza di discussione di fronte a questa Corte il comune difensore di tutte le parti civili ha depositato conclusioni scritte, con le quali chiede il rigetto dei ricorsi quanto alle statuizioni civili, e note spese.

 

Considerato in diritto

 

7. – I ricorsi sono parzialmente fondati.

7.1. – Deve preliminarmente procedersi alla disamina del motivo di ricorso sub 3.1. perché esso attiene alla nullità del decreto di citazione a giudizio, per omessa notificazione al Ministero dell’ambiente, da ritenersi persona offesa – ex art. 311 del d.lgs. n. 152 del 2006 – in presenza di una fonte di inquinamento ambientale.

Il motivo è manifestamente infondato.

Come correttamente rilevato dalla Corte d’appello, l’imputato non ha interesse a far valere la mancata notificazione alla persona offesa del decreto di citazione a giudizio, perché tale notificazione è prevista dall’art. 552, comma 3, cod. proc. pen., nell’esclusivo interesse di quest’ultima. Trova, pertanto, applicazione l’art. 182, comma 1, cod. proc. pen., che esclude la deducibilità delle nullità relative alla citazione in giudizio da parte di chi non vi è interesse.

7.2. – I motivi sub 2.1., 3.2., 3.3., 3.4., 3.8. devono essere trattati congiuntamente, perché attengono alla sussistenza del reato sotto il profilo oggettivo.

Deve preliminarmente essere esaminata la questione se il reato di cui all’art. 674 cod. pen. sia configurabile per le immissioni olfattive provenienti da un impianto munito di autorizzazione ai fini dell’inquinamento atmosferico e che abbia rispettato i relativi valori-limite.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, poiché, l’ordinamento non prevede specifici valori-limite per le immissioni olfattive, le quali non rientrano nell’ambito della disciplina dell’inquinamento atmosferico, il reato di cui all’art. 674 cod. pen. è configurabile anche nel caso in cui tali immissioni provengano da un impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ.; limite che funge da criterio di legittimità delle emissioni ai sensi della seconda parte dello stesso art. 674 cod. pen. (sez. 3, 14 luglio 2011, n. 34896; sez. 3, 24 marzo 2011, n. 15592, Rv. 250868; sez. 3, 4 novembre 2011, n. 2377/2012, Rv. 251903; sez. 3, 27 marzo 2008, n. 19206, Rv. 239874; sez. 1, 27 marzo 2008, n. 16693, Rv. 240117; sez. 3, 09 ottobre 2007, n. 2475, Rv. 238447; sez. 3, 9 ottobre 2007, n. 2475, Rv. 238447).

Né a tale conclusione può obiettarsi – come fa la difesa dell’imputato P. con il motivo sub 3.8. – che questa Corte ha, in altre pronunce, affermato che la configurabilità del getto pericoloso di cose è esclusa in caso di immissioni provenienti da attività autorizzata o disciplinata dalla legge e contenute nei limiti normativi o dell’autorizzazione (ex multis, sez. 3, 21 ottobre 2010, n. 40849; sez. 3, 13 luglio 2011, n. 37495), perché tali pronunce non fanno riferimento alla specifica fattispecie dell’immissione di odori molesti, ma a casi nei quali l’immissione provocata rientrava, per tipologia, nell’ambito dell’inquinamento atmosferico, in presenza di regolare autorizzazione e del rispetto dei valori limite imposti.

Nel caso in esame, trovano, dunque, applicazione i seguenti principi, più volte enunciati dalla giurisprudenza sopra richiamata: a) l’evento del reato consiste nella molestia, che prescinde dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c.; b) se manca la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica ma consistano nel riferimento a quanto oggetti va mente percepito dagli stessi dichiaranti.

Da quanto riportato, in punto di fatto, nella sentenza impugnata, si desume che tali principi sono stati applicati correttamente, perché; a) il rispetto dei valori limite fissati per le emissioni inquinanti in atmosfera e la presenza dell’autorizzazione richiesta dal d.P.R. n. 203 del 1988 (disciplina applicabile ratione temporis) risultano pacifici, ma devono essere ritenuti irrilevanti; b) l’odore di ammoniaca nell’aria dovuto alle deiezioni degli animali è stato riconosciuto distintamente da una pluralità di soggetti; c) l’ammoniaca era, come accertato dall’Agenzia regionale per l’ambiente, presente in più momenti nell’aria in concentrazioni assai rilevanti; d) i rilievi circa la mancanza di significative emissioni di streptococchi non sono dirimenti, perché non escludono le immissioni di odori ampiamente rilevate dalle analisi tecniche espletate e dai testimoni. Con specifico riferimento alla concentrazione di ammoniaca rilevata, la sentenza impugnata afferma, richiamando quanto già ampiamente accertato dal Tribunale, che, nelle postazioni di rilevamento, per tutti i giorni delle misurazioni, sono state riscontrate concentrazioni medie di ammoniaca che inducono a ritenere che l’attività di allevamento sia la fonte delle molestie olfattive lamentate dei residenti; con la conseguenza che, per il 22% del tempo di rilevazione, le immissioni hanno superato i limiti di salubrità dell’aria e hanno travalicato significativamente la soglia di tossicità corrispondente agli standard tecnico-scientifici internazionalmente riconosciuti. La stessa sentenza precisa, altresì, che le immissioni non hanno carattere sporadico e/o occasionale, ma raggiungono ciclicamente picchi di concentrazione elevata di ammoniaca, in corrispondenza di precise fasi operative, individuabili soprattutto nel periodo di svuotamento e di rimozione delle lettiere, in corrispondenza della destinazione dei polli al macello. La stessa pronuncia prosegue, poi (alle pagine 13 e 14) ad analizzare le immissioni di polveri e confuta puntualmente tutti i rilievi difensivi di carattere tecnico-scientifico.

Quanto alla sussistenza del reato, la motivazione in questione risulta, dunque, pienamente sufficiente e logicamente coerente, perché richiama e fa proprie le conclusioni raggiunte dal Tribunale, escludendo la plausibilità delle ricostruzioni alternative proposte dalle difese. E ciò, anche con riferimento allo specifico profilo -oggetto di doglianza sub 3.3. – della rinnovazione parziale dell’istruttoria per l’audizione dei testi indicati dalla difesa e per l’espletamento di perizia, perché la Corte d’appello, sulla corretta premessa dell’eccezionalità dell’istituto della rinnovazione dibattimentale in secondo grado, ha puntualmente rilevato che tale rinnovazione appare nel caso di specie superflua, alla stregua dell’esaustività documentazione in atti e delle deposizioni raccolte.

Ne deriva l’infondatezza dei motivi di doglianza sopra richiamati.

7.3. – Del pari infondati sono i motivi sub 2.2. e 3.5., relativi alla motivazione della sentenza circa: a) la legittimazione del ‘Comitato di salvaguardia dietro Castello’ a costituirsi parte civile; b) l’entità dei danno morale liquidato come provvisionale, non essendo sufficiente il potenziale discredito subito dal Comitato ed essendo contraddittori i riferimenti della sentenza a danni causati dall’inerzia degli enti pubblici; c) l’entità del danno morale liquidato come provvisionale alle altre parti civili.

Sotto il primo profilo, nessun rilievo può essere attribuito all’affermazione della difesa secondo cui il comitato in questione sarebbe un’associazione diretta alla tutela dell’ambiente, con la conseguenza che non potrebbe essere considerata ente esponenziale del diverso interesse alla salute. Tale affermazione risulta, infatti, del tutto sfornita di prova, a fronte di una documentata attività del Comitato stesso, che appare diretta proprio alla tutela contro le immissioni oggetto di causa. Più in generale, deve rilevarsi che la motivazione della sentenza censurata, che si pone in continuità con quella di primo grado sul punto, risulta corretta e coerente, perché prende le mosse dalla constatazione che il Comitato in questione è portatore dell’interesse specifico della collettività sociale residente nel territorio investito dalle immissioni per la quale si procede e ne fa conseguire che la sua legittimazione a costituirsi parte civile sussiste pienamente, anche con riferimento al danno morale. Né a tale conclusione potrebbe obiettarsi che il riconoscimento della legittimazione soggettiva del Comitato provocherebbe una proliferazione dei risarcimenti, perché tale questione attiene al diverso profilo della liquidazione del danno; liquidazione nella quale il giudice civile dovrà, evidentemente, tenere conto dell’esigenza di evitare duplicazioni, per quei soggetti che abbiano richiesto il risarcimento del danno sia a titolo individuale sia come componenti del predetto Comitato. Né si pone in contraddizione con le conclusioni raggiunte dalla Corte d’appello il riferimento -contenuto nella sentenza – alla necessità del Comitato di attivarsi presso enti pubblici per denunciare la situazione e richiedere l’adozione di interventi adeguati di salvaguardia, perché tale riferimento non esclude – contrariamente a quanto prospettato dalle difese – il rilevato nesso causale tra il danno accertato e le condotte degli imputati.

Quanto, poi, alla motivazione sull’entità della provvisionale liquidata, deve rilevarsi che questa risulta sufficiente, perché fa riferimento all’entità delle condotte tenute dagli imputati e al criterio equitativo, da applicarsi ex artt. 1226 e 2056 cod. civ. E ciò, a prescindere dall’assorbente considerazione che – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte – non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (ex plurimis, sez. 4, 23 giugno 2010, n. 34791, Rv. 248348; sez. 5, 25 maggio 2011, n. 32899, Rv. 250934).

Ne deriva l’integrale conferma delle statuizioni civili.

7.4. – Vanno invece accolti i motivi sub i motivi sub 2.3. e 3.7., perché il fatto deve essere qualificato come reato continuato.

La fattispecie prevista dall’art. 674 cod. pen. è, infatti, costruita dal legislatore intorno alla condotta di emissione, che si configura ordinariamente come istantanea, in mancanza di specifici elementi di fatto dai quali desumere la sua permanenza.

Nel caso in esame, in particolare, la sentenza non affronta, sotto tale aspetto, il profilo – evidenziato dai ricorrenti – della ciclicità delle emissioni. Da quanto riportato alla pagina 14 della motivazione, emerge, anzi, che la Corte d’appello ha ritenuto che le immissioni abbiano carattere ciclico e si verifichino in particolare alla fine dell’allevamento, quando avvengono la vendita dei volatili e lo svuotamento e la pulizia delle lettiere, con la conseguenza che il riferimento (contenuto alla successiva pagina 15) alla permanenza in atto del reato può essere inteso solo nel senso che le immissioni cicliche sono continuate anche dopo la contestazione e non, invece, nel senso che vi sia un’unica condotta.

Ne consegue che la Corte distrettuale avrebbe dovuto, ai fini della determinazione della pena e ai fini del computo dell’eventuale prescrizione di alcuni degli episodi di reato: collocare nel tempo, con sufficiente precisione, tali episodi; individuare fra di essi il più grave; procedere, conseguentemente, alla determinazione della pena-base e degli aumenti di pena per gli episodi minori.

7.5. – La qualificazione del fatto come reato continuato e non come reato permanente ha rilevanti conseguenze ai fini della prescrizione.

7.5.1. – Quanto alla posizione dell’imputato G. , risulta dagli atti che, a far data dal 23 maggio 2007, egli aveva ceduto le sue quote di partecipazione alla società, cessando così da ogni incarico e da ogni responsabilità. La prescrizione deve essere, dunque, dichiarata con riferimento a tutti gli episodi a lui contestati, non risultando sospensioni della prescrizione stessa, e dovendosi procedere a ritroso dalla data odierna. Sono, in altri termini, prescritti gli episodi commessi fino al 28 maggio 2007 e, cioè, fino ad una data successiva rispetto alla cessazione della qualità di socio-amministratore dell’imputato. Si tratta, infatti, di fattispecie contravvenzionale per la quale è previsto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 157, primo comma, 160, 161 cod. pen., un termine massimo complessivo di 5 anni (ed era previsto, fino alla modifica del regime prescrizionale ad opera della legge n. 251 del 2005, entrata in vigore l’8 dicembre 2005, un termine massimo complessivo di 4 anni e 6 mesi).

Con riferimento all’imputato G. , la sentenza impugnata deve essere, dunque, annullata senza rinvio, per essere il reato estinto per prescrizione.

7.5.2. – Quanto alla posizione dell’imputato P. , la prescrizione deve essere dichiarata, limitatamente al periodo più risalente nel tempo, non risultando sospensioni della prescrizione stessa e dovendosi procedere a ritroso dalla data odierna, per cui risultano certamente prescritti – allo stato degli atti – gli episodi commessi fino al 28 maggio 2007.

Con riferimento all’imputato P. , la sentenza impugnata deve essere, dunque, annullata, limitatamente ai fatti commessi fino al 28 maggio 2007, per essere gli stessi estinti per prescrizione. Il ricorso deve, invece, essere rigettato con riferimento ai fatti successivi. La sentenza impugnata deve, parimenti, essere annullata con rinvio, in riferimento alla determinazione della pena per lo stesso P. , in mancanza dell’individuazione, da parte del Tribunale dell’episodio più grave e degli episodi-satellite ai fini della determinazione della pena base e degli aumenti per la continuazione.

7.5.3. – Con riferimento a tale ultima posizione, deve, peraltro, essere dichiarato inammissibile, per manifesta infondatezza, il motivo di ricorso sub 3 6, nella parte in cui si riferisce alle circostanze attenuanti generiche.

Dalla semplice lettura della sentenza impugnata, risulta, infatti, che la stessa è correttamente motivata, in quanto precisa che le circostanze attenuanti generiche non possono essere concesse, perché gli imputati hanno perseverato nella loro condotta, protratta nel tempo e di rilevante gravità, pur avendo già riportato una condanna per gli stessi fatti commessi fino al novembre 2004.

Quanto alle doglianze specificamente riferite alla determinazione della pena, proposte con lo stesso motivo sub 3.6., le stesse devono, invece, intendersi assorbite dalla pronuncia di annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente a tale determinazione.

8. – In conclusione, qualificato il fatto come reato continuato, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, con riferimento all’imputato G.R. , per essere il reato interamente estinto per prescrizione, e, con riferimento all’imputato P.M. , limitatamente ai fatti commessi fino al (omissis) , per essere gli stessi estinti per prescrizione. La sentenza va, invece, annullata, con rinvio, limitatamente alla determinazione della pena per P.M. ; determinazione alla quale la Corte d’appello procederà tenendo conto dei principi enunciati ai precedenti punti 7.4., 7.5., 7.5.2. I ricorsi vanno rigettati nel resto, con conferma delle statuizioni civili e conseguente condanna degli imputati, in solido tra loro, alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili, liquidate al comune difensore in complessivi Euro 5000,00, oltre accessori di legge.

 

P.Q.M.

 

Qualificato il fatto come reato continuato, annulla senza rinvio la sentenza impugnata, con riferimento all’imputato G.R. , per essere il reato estinto per prescrizione, e, con riferimento all’imputato P.M. , limitatamente ai fatti commessi fino al (omissis) , per essere gli stessi estinti per prescrizione.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla determinazione della pena per P.M. , con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Trieste.

Rigetta nel resto i ricorsi.

Conferma le statuizioni civili e condanna gli imputati, in solido tra loro alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili, che liquida in complessivi Euro 5000,00, oltre accessori di legge.

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