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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza  29 aprile 2014, n. 17901 

Fatto e diritto

1. Con sentenza del 28/02/2013, la Corte di Appello di Reggio Calabria, dichiarava non doversi procedere nei confronti di P.D. per il reato di appropriazione indebita di somme di denaro ai danni di I.A. protrattosi nel periodo compreso tra il gennaio 2001 ed il luglio 2003, perché estinto per prescrizione, e revocava le statuizioni civili in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, il suddetto reato si era prescritto già durante il giudizio di primo grado.
2. Avverso la suddetta sentenza, la parte civile I.A. ha proposto ricorso per cassazione deducendo la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui aveva ritenuto che il reato si fosse prescritto durante il giudizio di primo grado. La Corte, infatti, non aveva considerato che, in realtà, così come ritenuto dal primo giudice, il ricorrente solo nel 2006 aveva avuto esatta contezza del danno complessivo subito per l’omesso versamento, da parte della P., dei tributi e dei contributi previdenziali, come si desumeva sia dalla dichiarazione rilasciata dall’imputata in data 05/05/2004, sia dalle dichiarazioni rese dal commercialista dr S. che aveva affermato che il ricorrente lo aveva incaricato di accertare presso gli uffici delle Entrate l’effettiva situazione, solo nel 2006. Fino ad allora il ricorrente non aveva avuto alcuna certezza della circostanza che la P. si era appropriata delle somme che lui le consegnava perché provvedesse al pagamento dei tributi e contributi, in quanto la P., una volta che gli uffici finanziari gli avevano notificato le cartelle esattoriali, l’aveva rassicurato dicendogli che dipendeva tutto da un disguido dei suddetti uffici.
3. La Corte, nel disattendere quanto ritenuto dal primo giudice – che aveva fatto decorrere la data di consumazione del reato da una riunione avvenuta nel 2007 alla quale aveva partecipato l’imputata e nel corso della quale costei aveva sottoscritto un documento nel quale dichiarava “di essere pronta a sistemare l’intera faccenda debitoria” – ha motivato la sentenza nei seguenti termini: «Il primo giudice riteneva che a tale momento bisognava fare riferimento per la decorrenza della prescrizione, considerato che in quel momento la persona offesa aveva avuto conoscenza certa e precisa del fatto criminoso. In realtà, dalla stessa sentenza impugnata si deduce che la parte offesa già nel 2003 si era resa conto che qualcosa nel suo rapporto con la commercialista non funzionava, in quanto aveva subito in quella data il fermo amministrativo dell’autovettura per una cartella esattoriale non pagata, e per la quale aveva corrisposto la somma alla P., che ammontava a euro 3500. Nel 2004 gli era stata notificata altra cartella esattoriale di euro 22.000, per tributi per i quali aveva già dato alla P. le somme necessarie al pagamento. Dopo aver preso visione di tale richiesta di pagamento i rapporti si erano incrinati e aveva deciso di trasferire la contabilità ad altro professionista. Dichiarava, però, che solo nel 2006 aver avuto esatta contezza de! danno complessivo procurato dalla P. per l’omesso versamento dei tributi e dei contributi previdenziali. Appare evidente dunque che la parte civile, si era resa conto già da tempo degli ammanchi procurati dalla professionista, ciononostante aveva preferito attendere prima di sporgere la denuncia. In realtà, l’accertamento della complessiva posizione contributiva poteva essere effettuato nel 2004, nel momento in cui aveva affidato la contabilità un nuovo commercialista».
4. La questione di diritto che pone il presente procedimento consiste nello stabilire se, ai fini della determinazione del momento consumativo del reato di appropriazione indebita, influisca o no la conoscenza che la parte offesa abbia dell’interversione del possesso effettuato dall’agente.
Una giurisprudenza minoritaria e risalente (peraltro fatta propria da entrambi i giudici di merito), ritiene che «in terna di appropriazione indebita l’evento del reato si realizza nel luogo e nel tempo in cui la manifestazione della volontà dell’agente di fare proprio il bene posseduto giunge a conoscenza della persona offesa, e non nel tempo e nel luogo in cui si compie l’azione»: Cass. 48438/2004 Rv. 230354; Cass. 1119/1999 riv 212976.
Questa Corte, però, ritiene di aderire alla dottrina e alla giurisprudenza assolutamente maggioritarie, le quali, in modo unanime sostengono che il reato di appropriazione indebita è un reato a consumazione immediata che si verifica nel momento (e nel luogo) in cui l’agente tiene consapevolmente un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso ed incompatibile con il diritto del proprietario: sotto questo profilo, quindi, è del tutto irrilevante la conoscenza che ne abbia la parte offesa, elemento questo che, invece, pacificamente viene in rilievo ai fini del diverso problema della decorrenza del termine per proporre la querela ex art. 124 cod. pen. “dal giorno della notizia”: ex plurimis Cass. 22127/2013 riv 256055; Cass. 29451/2013 riv 257232; Cass. 26774/2010 riv 247955; Cass. 39873/2006 riv 235234; Cass. 26440/2002 riv 222657.
Pertanto, nel caso di specie, la sentenza impugnata, sebbene con diversa motivazione, va confermata in quanto dalla medesima si desume che l’interversione del possesso era risultata pacifica dalla circostanza che l’Amministrazione finanziaria aveva inviato le cartelle esattoriali e la P., a fronte delle richieste di chiarimenti della parte offesa, aveva risposto che si trattava di un disguido: quindi, quantomeno nel periodo indicato dalla Corte territoriale, erano pacificamente avvenute, da parte della P., ripetute appropriazioni di somme di denaro appartenenti all’Idone; il che comporta che il reato si era perfezionato sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo (come desumibile dalle risposte date dalla P. alla parte offesa).
Irrilevante, ai fini della prescrizione, deve ritenersi la circostanza che il ricorrente a quella data non avesse ancora maturato la certezza dell’appropriazione proprio perché si tratta di un requisito che non fa parte degli elementi costitutivi del reato.
Il ricorso, in conclusione, dev’essere respinto alla stregua del seguente principio di diritto: «Il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa e, cioè nel momento in cui l’agente compia un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria. Di conseguenza, ai fini della consumazione del reato e della decorrenza del termine previsto per la prescrizione, è irrilevante il momento in cui la persona offesa venga a conoscenza della manifestazione di volontà dell’agente di appropriarsi della cosa, elemento questo che, invece, rileva al diverso fine della decorrenza del termine per la proposizione della querela».
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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