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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 30 gennaio 2014, n. 2094

Svolgimento del processo

1. – Con ricorso per denuncia di nuova opera depositato il 13 giugno 1997, Z.F. e M. si rivolsero al Pretore di Rovigo, sez. distaccata di Adria, per sentir ordinare ai signori P.I. e F.G. di cessare la costruzione di un manufatto ad uso garage a distanza di mt. 4 dal confine anziché alla distanza di mt. 5 imposta dal regolamento edilizio del Comune di Taglio di Po e, dopo aver ottenuto ordinanza del Pretore in data 1 settembre 1997, con ricorso ex art. 669 octies cod.proc.civ. notificato in data 1 ottobre 1997 chiedevano la condanna dei predetti confinanti ad arretrare alla distanza di mt. 5 dal confine il garage al piano terra e l’abitazione al piano primo.
Con ricorso ex art. 691 cod.proc.civ., depositato il 23 luglio 1998, Z.F. e M. convennero innanzi allo stesso Pretore P.I. e F.G. denunciando violazione dell’ordinanza resa in data 1 settembre 1997.
2. – Con sentenza depositata il 29 ottobre 2002 il Tribunale di Rovigo sez. distaccata di Adria, decidendo sui procedimenti riuniti,
dichiarò cessata la materia del contendere sulla domanda proposta dagli attori ex art. 619 cod.proc.civ., e condannò i convenuti a demolire la porzione di fabbricato ed in particolare il terrazzo-aggetto posto al primo piano dell’immobile sito nel Comune di taglio di Po alla (OMISSIS) fino alla distanza di mt. 5 dal confine della proprietà degli attori sul rilievo che, nonostante il diverso avviso del c.t.u., il tramezzo non costituiva un mero aggetto, non rilevante al fine del calcolo delle distanze, ma era stabilmente incorporato nell’immobile e dotato di copertura/tetto ad esso sovrastante idonea a renderlo un corpo unico e chiuso.
Il P. e la F. proposero appello avverso tale sentenza.
3. – La Corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata il 30 agosto 2006, rigettò il gravame, osservando, tra l’altro, che, se è corretto il principio che rimette alle determinazioni dello strumento urbanistico non solo le prescrizioni sulle distanze, bensì anche l’indicazione delle opere edilizie che ad esse soggiacciono, tuttavia, nel caso di specie a torto gli appellanti pretendevano di ricondurre le opere da essi eseguite al dettato dell’art. 101 del regolamento edilizio, che esclude dalla superficie coperta e perciò dal calcolo delle distanze gli aggetti senza sovrastanti corpi chiusi. Nel caso di specie, la persistente solida struttura del pregresso edificio, seppure sussumibile nel concetto di terrazzo, non presentava i caratteri di un semplice aggetto, privo di volume, ma, come evidenziato dalla descrizione anche fotografica della c.t.u., risultava costituito da un piano di calpestio, da un parapetto in muratura e da una stabile copertura sovrastante e degradante lateralmente che indubbiamente concorrevano alla creazione di un volume rispetto al quale l’apertura valorizzata dagli appellanti appariva integrare piuttosto i caratteri di una parete ideale.
4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono il P. e la F. , sulla base di due motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resistono con controricorso Z.F. e M. .

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto. La censura viene dedotta sotto due distinti paradigmi, quello sostanziale e quello processuale. Sotto il primo profilo, si fa valere la violazione dell’art. 873 cod.civ., denunciandosi la violazione del criterio determinativo della distanza degli edifici stabilito dal Regolamento Edilizio, fonte regolatrice primaria in tema di rapporto di vicinato edilizio, secondo cui non concorrono alla formazione della superficie coperta gli aggetti senza sovrastanti corpi chiusi con sbalzi fino a mt. 1,40. Si fa presente che, nella specie, il terrazzo creato con l’arretramento della parete dirimpettaia non ha alcun corpo chiuso sovrastante ed ha sbalzo di mt. 1,10, pari alla differenza tra la distanza originaria di mt. 3,90 e quella attuale di mt. 5, ed è irrilevante ai fini del calcolo delle distanze: sicché l’appello andava accolto.
Sotto il profilo processuale, si deduce violazione dell’art. 116 cod.proc.civ. La motivazione della sentenza impugnata, che ha disposto la demolizione del terrazzo, non sarebbe correlata con il motivo dell’appello, riguardante solo il tetto del terrazzo-aggetto, che si sosteneva non formare superficie coperta, e che si escludeva, pertanto, violasse il regime delle distanze disciplinato dal Regolamento Edilizio. Il gravame era stato rigettato perché, calando dal tetto la parete ideale, si sarebbe creato volume e quindi un edificio a distanza non legale: ma la parete reale era stata portata, con l’arretramento, al rispetto della distanza di legge.
La illustrazione del motivo, nel suo duplice profilo, si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod.proc.civ., applicabile nella specie ratione temporis: “Dica e stabilisca la Corte se il regime di vicinato edilizio sia regolato, anche per quanto attiene alla definizione e ai metodi di misurazione degli elementi geometrici di riferimento delle previsioni e disposizioni, dal REC”; “Dica e stabilisca la Corte se esista correlazione tra il petitum, che chiedeva la riforma della sentenza nel solo punto in cui condannava alla demolizione del tetto del terrazzo, e il decisum, che rigetta l’appello perché il terrazzo, completato che sia con la parete ideale, costituisce edificio che deve stare a 5 metri dal confine”.
2. – La censura, nella sua duplice articolazione, risulta in parte inammissibile, in parte priva di fondamento.
2.1. – Deve, anzitutto, osservarsi, quanto al primo quesito, che esso risulta del tutto inconferente – e la relativa doglianza, di conseguenza, inammissibile – non trattandosi, nella specie, di porre in discussione in via generale l’applicabilità della normativa di cui al Regolamento Edilizio, ma, come esattamente rilevato nel controricorso, ove, appunto, viene sollevata eccezione di inammissibilità, di determinare il criterio applicativo dell’art. 873 cod.civ. alla luce dell’art. 101 del predetto Regolamento.
2.2. – La norma citata esclude l’obbligo di rispetto delle distanze per gli aggetti senza sovrastanti corpi chiusi, cioè, evidentemente, aggetti aventi funzione esclusivamente ornamentale.
Al riguardo, questa Corte ha chiarito che in tema di distanze legali fra edifici, mentre non sono a tal fine computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale,di rifinitura od accessoria di limitata entità, come la mensole, le lesene, i cornicioni, le grondaie e simili,rientrano nel concetto civilistico di “costruzione” le parti dell’edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (c.d. “aggettanti”) che, seppure non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato. D’altra parte, agli effetti di cui all’art. 873 cod.civ., la nozione di costruzione, che è stabilita dalla legge statale, deve essere unica e non può essere derogata, sia pure al limitato fine del computo delle distanze, dalla normativa secondaria, giacché il rinvio contenuto nella seconda parte dell’art.873 cod.civ. è limitato alla sola facoltà per i regolamenti locali di stabilire una distanza maggiore (tra edifici o dal confine) rispetto a quella codicistica (v. Cass., sent. n. 1556 del 2005).
Nella specie, la Corte di merito ha escluso, attraverso una indagine di fatto, che la terrazza costituisca un aggetto sottratto alla disciplina in materia di distanze, rilevando che essa è costituita da un piano di calpestio, da un parapetto in muratura e da una stabile copertura sovrastante, che concorrevano alla creazione di un volume, e che, quindi, essendo posta ad una distanza dal confine inferiore ai cinque metri, come rilevato in sede di c.t.u., è soggetta al rispetto delle distanze. Ne deriva la infondatezza della censura sotto il profilo dell’art. 873 cod.civ..
2.3. – Quanto alla asserita violazione dell’art. 116 cod.proc.civ., essa all’evidenza non sussiste, in quanto la Corte territoriale ha rigettato la domanda degli attuali ricorrenti – volta al riconoscimento della legittimità della realizzazione del terrazzo alla distanza contestata, e, in via subordinata, alla limitazione della condanna alla demolizione alla sola parte dello spiovente del tetto dell’immobile soprastante il terrazzo aggetto – disponendo la demolizione dello stesso. Ne deriva la infondatezza altresì di tale profilo della censura.
3. – Con il secondo motivo si deduce carenza e contraddittorietà della motivazione su di un punto decisivo della controversia. La identificazione del terrazzo – volume come edificio deriverebbe, secondo la sentenza impugnata, dal fatto che il terrazzo stesso, realizzato con l’arretramento di mt. 1,10 della parete, risultava costituito da un piano di calpestio, un parapetto in muratura e una stabile copertura sovrastante. Sul punto, sostenuto in appello, che il tetto non entra nel computo delle distanze, in forza di specifica disposizione del Regolamento Edilizio, mancava alcun cenno, mentre la sentenza impugnata si fondava sulla natura volumetrica del terrazzo, per dare consistenza giuridica alla quale aveva dovuto costruire la parete ideale. La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “Dica e stabilisca la Corte se sia corretta la motivazione della sentenza impugnata sul punto in cui, laddove (con l’appello) si dibatteva del tetto del terrazzo, è stato deciso che il terrazzo va demolito (conferma della prima statuizione) perché ha un piano di calpestio e da un parapetto, quando la causa verteva solo sul punto se il tetto rimasto (dopo l’arretramento della parete reale) a copertura del terrazzo d’aggetto di mt. 1,10 fosse solo superficie coperta alla luce delle disposizioni del REC; dove il volume, creato solo dalla parete ideale costruita dalla Corte territoriale e ritenuto fondante della statuizione di demolizione, c’entrava nulla”.
4. – La doglianza è immeritevole di accoglimento.
Come chiarito sub 2.3., gli attuali ricorrenti avevano chiesto in via principale il rigetto della domanda di Z.F. e M. , e, in via subordinata, la limitazione della demolizione alla parte dello spiovente del tetto dell’immobile sovrastante il terrazzo aggetto. La Corte territoriale ha motivato adeguatamente ed esaustivamente la propria decisione sia con riferimento all’una che all’altra domanda, valorizzando, da una parte, la volumetria del terrazzo, e, dall’altra, la copertura come parte integrante del terrazzo, da demolire per le ragioni anzidette.
5. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione del principio della soccombenza, le spese del presente giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico dei ricorrenti in solido.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 2700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

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