La massima
Qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicché non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti, detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario del secondo comma dell’art. 1362 CC, che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

SENTENZA 5 ottobre 2012, n.  17033

Svolgimento del processo

C..P. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Genova M.C..C. per ottenere la condanna al pagamento della somma di lire 210.000.000 oltre interessi a titolo di compenso dovuto per l’acquisizione del progetto, l’approvazione dello stesso ed il rilascio della concessione inerente al complesso (OMISSIS) , per il quale la proprietaria aveva concluso la vendita in spregio delle ragioni dell’istante.

Esponeva di aver provveduto alle attività delle quali aveva chiesto la remunerazione dopo la stipula di un preliminare di acquisto, poi risolto per mutuo consenso; successivamente con una prima scrittura 9.10.1995 aveva convenuto con la C. che, ove costei avesse alienato a terzi, l’acquirente avrebbe avuto la facoltà di acquisire il progetto, redatto a cura e spese del P. , al prezzo che sarebbe stato liberamente contrattato; con successiva scrittura 3.12.1996 l’intesa era stata modificata, attribuendosi al complesso il valore di lire 600.000.000, delle quali il 35% era riconosciuto al progetto; le parti avevano deciso di affidare alla Progest casa srl l’incarico di reperire acquirenti e di chiedere il rinnovo della concessione. Esponeva che la C. , ad insaputa del contraente e della Progest, aveva venduto il complesso per lire 435.000.000, donde la violazione delle obbligazioni assunte e la condanna alla somma richiesta o alla diversa somma ritenuta dal decidente. La convenuta resisteva ed il Tribunale la condannava al pagamento di lire 210.000.000 oltre interessi dal rogito e spese, ritenendo che la C. con la seconda scrittura avesse assunto l’obbligo di cedere il complesso a terzi solo per il tramite della Progest, con l’obbligo di trasferire (rectius, procurare l’acquisizione) in una con il compendio immobiliare, anche il progetto approvato su commissione del P. .

Tale decisione veniva riformata dalla Corte di appello di Genova, con sentenza 510/2006, che respingeva la domanda con condanna alle spese, sul presupposto che né la lettera né lo spirito dei patti consentivano di ritenere quanto affermato dal tribunale, cioè che la C. avesse assunto l’obbligazione incondizionata e senza termine finale di cedere solo a persona che avesse inteso rilevare anche il progetto approvato avvalendosene; obbligazione che per la sua onerosità avrebbe richiesto una specifica previsione che non si ricavava né dalla lettera né dallo spirito della scrittura.

Per contro, essendo espressamente previsto che le parti si impegnavano a chiedere il rinnovo della concessione e che l’impegno a favore della Progest fosse limitato nel tempo, alla durata del provvedimento che fosse stato concesso, doveva concludersi che anche l’impegno assunto dalla C. in favore del P. fosse munito di analogo termine finale di efficacia, oltre che soggetto alla medesima condizione sospensiva.

Ricorre P. con tre motivi e relativi quesiti, illustrati da memoria, resiste controparte.

Motivi della decisione

Col primo motivo si deduce violazione degli artt. 1218, 1362, 1366, 1367 e 1379 cc perché la Corte di appello inizia il suo ragionamento osservando che le due scritture sarebbero complementari, riconosce che l’attività del P. ha accresciuto il valore del compendio e che entrambe le parti si sono impegnate a chiedere il rinnovo della concessione, per poi pervenire ad una soluzione errata.

Col secondo motivo si lamenta insufficiente motivazione circa l’interpretazione delle scritture alla luce dell’altra documentazione in atti ed in ispecie della lettera del Comune di Genova 25.2.1997.

Col terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 112 cpc circa l’interpretazione della domanda in ordine all’affermazione di pagina 15 della sentenza di “pronunzie risarcitorie, peraltro – si rileva – mai richieste dall’attore in primo grado” e si riportano le conclusioni di primo grado. Le censure meritano accoglimento per quanto in motivazione.

L’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. CC, oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d’ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha, inoltre, attribuito, nell’ambito della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato nel primo comma dell’art. 1362 CC – eventualmente integrato da quello posto dal successivo art. 1363 CC per il caso di concorrenza d’una pluralità di clausole nella determinazione del pattuito – onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicché non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti, detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario del secondo comma dell’art. 1362 CC, che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione (Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438, 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n. 8590, 23.11.98 n. 11878, 23.2.98 n. 1940, 26.6.97 n. 5715, 16.6.97 n. 5389).

Tuttavia, nella specie, la stessa controricorrente riconosce (pagina 4 del controricorso) che, con la seconda scrittura, fu stabilito “di attribuire all’area con progetto approvato un valore commerciale di complessive lire 600.000.000…delle quali il 65% sono riferite alla quota d’area C. ed il 35% alla progettazione con conseguente concessione edilizia, di richiedere, nel comune interesse, il rinnovo della concessione edilizia..prossima alla sua naturale scadenza”, di incaricare “la Progest Casa srl di reperire acquirenti per la proprietà in oggetto per il periodo di rinnovo della concessione stessa”, di riconoscere alla Progest “un compenso provvisionale pari al 3% del prezzo effettivamente realizzato che verrà corrisposto pro quota dalle parti”, con la previsione che “il corrispettivo della vendita verrà incassato, sempre pro quota, dalle parti distintamente”.

La riforma della sentenza di primo grado richiedeva una più appagante motivazione, non essendo sufficiente la deduzione che né la lettera né lo spirito dei patti consentivano di ritenere quanto affermato dal tribunale, cioè che la C. avesse assunto l’obbligazione incondizionata e senza termine finale di cedere solo a persona che avesse inteso rilevare anche il progetto approvato avvalendosene; obbligazione che per la sua onerosità avrebbe richiesto una specifica previsione che non si ricavava né dalla lettera né dallo spirito della scrittura.

La sentenza impugnata afferma (pagina 13) che “essendo espressamente previsto che le parti si impegnavano a chiedere il rinnovo della concessione e che l’impegno che esse assumevano in favore della Progest fosse limitato nel tempo, alla durata del provvedimento che fosse stato concesso, deve concludersi che anche l’impegno assunto dalla C. in favore del P. fosse munito di analogo termine finale di efficacia, oltre che soggetto alla medesima condizione sospensiva” e conclude (pagina 15) per “la piena liceità della condotta della C. che si ritenne libera di cedere a terzi, dopo che erano comunque decorsi ben tre anni dalla assunzione dell’impegno di cui alla seconda scrittura, avendo comunque essa reso pienamente edotto l’acquirente della esistenza del progetto.

Poiché nessun inadempimento si è verificato, ne consegue che non è luogo ad adottare pronunzie risarcitorie, peraltro…mai chieste in primo grado”. Quest’ultima affermazione incidentale non è decisiva ai fini della valutazione della domanda, ma resta l’inadeguatezza della motivazione anche in ordine alla mancata attivazione per il rinnovo della concessione, tanto più che si riconosce che il P. chiese una proroga di mesi dodici per l’inizio dei lavori “con domanda ovviamente sottoscritta dalla C. che era a tanto legittimata” (pagina 14 della sentenza).

È pacifico che con una prima scrittura 9.10.1995 si era convenuto che, ove la C. avesse alienato a terzi, l’acquirente avrebbe avuto la facoltà di acquisire il progetto, redatto a cura e spese del P. , al prezzo che sarebbe stato liberamente contrattato; con successiva scrittura 3.12.1996 l’intesa era stata modificata, attribuendosi al complesso il valore di lire 600.000.000, delle quali il 35% era riconosciuto al progetto; si era deciso di affidare alla Progest casa srl l’incarico di reperire acquirenti e di chiedere il rinnovo della concessione, ma, soprattutto, si era previsto che “il corrispettivo della vendita verrà incassato, sempre pro quota, dalle parti distintamente”.

La vendita a terzi, per iniziativa unilaterale della C. , del complesso per lire 435.000.000 obiettivamente dava luogo ad una situazione diversa, la cui valutazione non è stata sufficientemente delibata con particolare riferimento alla comune intenzione delle parti conclamata nella seconda scrittura, donde la cassazione con rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, per un nuovo esame e per le spese, ad altra sezione della Corte di appello di Genova.

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