cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 6 novembre 2015, n.22703

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 24-3-1999 Z.L. conveniva dinanzi al Tribunale di Padova la sorella Z.M. , per sentir accertare la validità ed efficacia dei contratto del 13-10-1978, con cui, unitamente a Z.G. , aveva concesso alla convenuta l’usufrutto per due terzi sull’immobile successivamente attribuitogli per l’intera proprietà in sede di divisione ereditaria. Sul presupposto della validità dell’atto costitutivo dell’usufrutto, l’attore chiedeva la condanna della convenuta al rimborso di tutte le spese da lui sostenute a titolo di imposte, tributi ed interessi, nonché alla restituzione del godimento della frazione di un terzo dell’immobile in parola, oltre al locale adibito ad autorimessa, utilizzato dalla sorella senza titolo.
La convenuta, nel costituirsi, non contestava la validità ed efficacia dei contratto costitutivo dell’usufrutto e nulla opponeva riguardo alla domanda di restituzione dello spazio adibito ad autorimessa; negava, invece, l’esistenza del credito dedotto dal fratello, ed eccepiva l’indivisibilità dell’immobile in questione in relazione alla domanda di restituzione dei godimento della quota di un terzo. Essa, inoltre, chiedeva in via riconvenzionale il ristoro delle spese sostenute per le opere di straordinaria manutenzione, quantificate in lire 30.000.000, poi ridotte ad Euro 10.000,00.
Con sentenza in data 3-11-2004 il Tribunale rigettava la domanda attrice, dando atto che sulle istanze di accertamento dell’usufrutto e di rilascio dell’autorimessa non vi era contestazione; accoglieva, invece, la domanda riconvenzionale relativa alle spese di manutenzione straordinaria, di cui disponeva il rimborso, nella somma liquidata in via equitativa in Euro 10.000,00.
Avverso la predetta decisione proponeva appello l’attore.
Con sentenza in data 16-6-2009 la Corte di Appello di Venezia rigettava il gravame. La Corte territoriale, per quanto rileva in questa sede, osservava che l’eccezione dell’appellante di inammissibilità, ex art. 1006 c.c., della domanda di rimborso delle spese manutentive proposta in pendenza dell’usufrutto, era infondata, in quanto la norma invocata faceva riferimento alle sole spese di riparazione, mentre quelle liquidate in sentenza attenevano alla diversa ipotesi della manutenzione straordinaria, come tale a carico del nudo proprietario. Rilevava, inoltre, che l’eccezione in parola era tardiva e inammissibile ex art. 345 c.p.c., essendo stata sollevata solo in sede di gravame.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Z.L. , sulla base di tre motivi, tutti corredati dalla formulazione di quesiti di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..
Z.M. non ha svolto attività difensive.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo, articolato in due censure, il ricorrente lamenta in primo luogo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1006 c.c., in relazione all’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la predetta norma di legge “fa riferimento alle sole spese di riparazione, mentre quelle liquidate in sentenza attengono alla diversa ipotesi della manutenzione straordinaria”. Deduce che l’art. 1006 c.c. va letto in collegamento con i precedenti artt. 1004 e 1005 c.c., e che è palese la commistione tra i due termini “manutenzione” e “riparazione”.
In secondo luogo, il ricorrente si duole della carente e insufficiente motivazione, per non avere la Corte territoriale considerato che alcune delle opere per le quali l’usufruttuaria ha chiesto il rimborso delle spese sostenute (quali quelle relative al rifacimento della copertura dell’edificio, al taglio dei muri per eliminare l’umidità, alla risistemazione integrale della scala interna, alla realizzazione ex novo del bagno) rientrano certamente tra quelle che l’art. 1005 c.c. definisce come “riparazioni straordinarie”.
La prima censura è fondata, con conseguente assorbimento della seconda.
L’art. 1004 c.c. stabilisce, al primo comma, che sono a carico dell’usufruttuario “le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa”.
L’art. 1005 c.c. dispone, invece, che sono a carico del nudo proprietario le riparazioni straordinarie, considerando come tali, con elencazione ritenuta dalla giurisprudenza di carattere non tassativo, “quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta”.
L’art. 1006 c.c. prevede, poi, la facoltà dell’usufruttuario di far eseguire a proprie spese le riparazioni poste a carico del proprietario, quando quest’ultimo, previamente interpellato, rifiuti di eseguirle o ritardi l’esecuzione senza giustificato motivo. In tal caso, la stessa norma stabilisce che le spese devono essere rimborsate alla fine dell’usufrutto, senza interessi.
Pur dovendosi rilevare che, in linea di principio, la nozione di “manutenzione” non si identifica con quella di “riparazione” (intendendosi per “riparazione” l’opera che rimedia ad un’alterazione già verificatasi nello stato delle cose in conseguenza dell’uso o per cause naturali, e per “manutenzione” l’opera che previene l’alterazione: cfr. Cass. 4-1-1969 n. 10), dal coordinamento delle menzionate disposizioni di legge si desume chiaramente che il legislatore ha operato una commistione di tali termini, come è reso evidente dal fatto che l’art. 1004 c.c., nell’onerare (primo comma) l’usufruttuario della “manutenzione ordinaria”, pone a carico del medesimo usufruttuario (secondo comma) le “riparazioni straordinarie” rese necessarie dall’inadempimento degli obblighi di “ordinaria manutenzione”.
Diversamente opinando, si perverrebbe alla inammissibile conclusione secondo cui, ponendo l’art. 1005 c.c. a carico del nudo proprietario solo le “riparazioni straordinarie”, la “manutenzione straordinaria” dovrebbe gravare a carico dell’usufruttuario; il tutto in contrasto con l’espressa previsione del citato art. 1004 c.c., che pone a carico dell’usufruttuario solo le spese e gli oneri relativi alla “manutenzione ordinaria della cosa”, con ciò stesso facendo ricadere a carico del nudo proprietario la manutenzione straordinaria.
La piena sovrapponibilità delle nozioni “manutenzione” e “riparazione” utilizzati in materia dal legislatore trova ulteriore conferma nel primo comma dell’art. 1015 c.c., che sanziona con la decadenza dall’usufrutto la condotta dell’usufruttuario il quale lasci andare i beni in perimento per mancanza di “ordinarie riparazioni”, facendo quindi ricorso ad una terminologia diversa da quella di “manutenzione ordinaria” impiegata nel primo comma dell’art. 1004 c.c. per indicare le attività alle quali è tenuto l’usufruttuario.
Deve concludersi, in definitiva, che ciò che rileva, ai fini della distinzione tra gli interventi gravanti a carico dell’usufruttario e del nudo proprietario, non è la maggiore o minore attualità del danno da riparare, ma la essenza e la natura dell’opera, e cioè il suo carattere di ordinarietà o straordinarietà, poiché solo tale caratterizzazione incide sul diritto di cui l’uno o l’altro dei due soggetti sono titolari: spettando all’usufruttuario l’uso e il godimento della cosa, salva rerum substantia, si deve a lui lasciare la responsabilità e l’onere di provvedere a tutto ciò che riguarda la conservazione e il godimento della cosa nella sua sostanza materiale e nella sua attitudine produttiva; si devono, invece, riservare al nudo proprietario le opere che incidono sulla struttura, la sostanza e la destinazione della cosa, perché afferiscono alla nuda proprietà (v Cass. 4-1-1969 n. 10 citata).
Ha errato, pertanto, la Corte di Appello nel ritenere che l’art. 1006 c.c. si riferisca alle sole spese di “riparazione”, con esclusione delle spese di “manutenzione straordinaria”, quali quelle che, come si legge nella sentenza impugnata, sono state liquidate dal giudice di primo grado in favore della convenuta.
2) Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. Sostiene che l’art. 1006 c.c., nel disporre che le spese poste a carico del nudo proprietario vanno rimborsate all’usufruttuario solo al termine dell’usufrutto, prevede una condizione dell’azione, la cui mancanza può essere rilevata d’ufficio. Deduce, pertanto, che la Corte di Appello ha errato nel ritenere inammissibile, ex art. 345 c.p.c., la questione della improponibilità della domanda di rimborso delle spese de quibus, sollevata in appello dall’attore.
Anche tale motivo è fondato.
Come è stato già affermato da questa Corte in un lontano precedente (Cass. 13-10-1958 n. 3230), al quale il Collegio intende dare continuità, l’art. 1006 c.c., nello stabilire che, se le spese per le riparazioni straordinarie sono erogate dall’usufruttuario, questi ha diritto di ripeterle solo alla fine dell’usufrutto, comporta che, prima di tale momento, l’usufruttuario è carente di azione.
Orbene, rientrando nel potere-dovere del Giudice la verifica della sussistenza delle condizioni dell’azione, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, la questione relativa alLa mancanza di una condizione dell’azione integra una mera allegazione difensiva volta a sollecitare il potere del giudice di procedere d’ufficio al relativo rilievo; con la conseguenza che, in materia, non si rendono applicabili le preclusioni previste dal codice di rito per la proposizione delle eccezioni in senso stretto.
La Corte di merito, pertanto, ha errato nel ritenere inammissibile ex art. 345 c.p.c., in quanto sollevata dall’attore per la prima volta in appello, la questione della improponibilità, in pendenza dell’usufrutto, della domanda di rimborso delle spese di manutenzione straordinaria.
3) L’accoglimento dei primi due motivi di ricorso comporta l’assorbimento del terzo, con il quale il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1006 c.c., per avere la Corte di Appello omesso di pronunciare sul motivo di gravame con cui si deduceva che la convenuta, per avere diritto al rimborso previsto dall’art. 1006 c.c., doveva dimostrare di aver interpellato l’attore prima della esecuzione dei lavori di straordinaria manutenzione.
4) La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Venezia, la quale deciderà uniformandosi ai principi di diritto innanzi enunciati.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese ad altra Sezione della Corte di Appello di Venezia.

 

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