CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 8 agosto 2014, n. 17821

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), con domicilio eletto nello studio di quest’ultimo in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
Fallimento (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio per legge presso la cancelleria civile della Corte di cassazione, piazza Cavour;
– controricorrente –
e nei confronti di:
Fallimento (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in data 22 aprile 2010;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 giugno 2014 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;
udito l’Avv. (OMISSIS);
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso, nel merito, per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. – Con atto di citazione notificato in data 1 marzo 1994, il Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Sassari, la (OMISSIS) s.r.l., nonche’ (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), deducendo: che in data (OMISSIS) era stato dichiarato il fallimento della (OMISSIS) s.r.l.; che in data (OMISSIS) era stato trascritto l’atto di compravendita tra la societa’ stessa e la convenuta (OMISSIS) s.r.l. relativo a tre porzioni immobiliari in (OMISSIS); che, successivamente alla dichiarazione di fallimento, la (OMISSIS) aveva alienato con atto pubblico del (OMISSIS) le tre porzioni immobiliari ai convenuti (OMISSIS); che, poiche’ il primo atto era stato compiuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, in costanza di istanze fallimentari gia’ depositate, lo stesso era revocabile L.F., ex articolo 67, comma 2; che il secondo atto era a sua volta revocabile, stante la malafede degli acquirenti, figli del legale rappresentante della (OMISSIS), perfettamente coscienti del pregiudizio che tali atti avevano arrecato al patrimonio della societa’ attrice.
Il Fallimento chiese, pertanto, la revoca di tali atti.
La (OMISSIS) s.r.l. si costitui’, resistendo. Rilevo’ che l’atto di trasferimento era stato compiuto oltre il biennio antecedente la dichiarazione di fallimento della (OMISSIS) s.r.l., in quanto effettuato in esecuzione di contratto preliminare stipulato il (OMISSIS), e che in ogni caso l’atto non aveva arrecato alcun pregiudizio ai creditori, essendo stato integralmente corrisposto il prezzo della compravendita.
Si costituirono anche i (OMISSIS), chiedendo il rigetto della domanda con motivazioni identiche a quella della convenuta (OMISSIS)
La causa, interrotta a seguito del fallimento della (OMISSIS) e ritualmente riassunta nei confronti del curatore fallimentare, venne definita con sentenza n. 1195/2006 del Tribunale di Sassari, recante l’accoglimento delle domande del Fallimento, la dichiarazione di inefficacia degli atti pubblici di compravendita revocati e l’ordine ai (OMISSIS) di rilasciare nella piena disponibilita’ del fallimento gli immobili di cui ai suddetti atti pubblici.
In particolare, il Tribunale ritenne fondata la domanda di revocatoria L.F., ex articolo 67, comma 2, avendo il Fallimento attore adempiuto all’onere probatorio sul medesimo gravante. In particolare, la circostanza che amministratore delegato della (OMISSIS) e legale rappresentante della (OMISSIS) fossero la medesima persona fisica, dimostrava la piena conoscibilita’ da parte della seconda dello stato di insolvenza in cui versava la prima. Non aveva alcun rilievo l’asserita stipula del contratto preliminare, stante la mancata stipula di quest’ultimo. Quanto al contratto di compravendita intercorso tra la (OMISSIS) e i fratelli (OMISSIS), il Tribunale giudico’ la domanda esperibile ai sensi della L.F., articolo 66, e articolo 2901 cod. civ., stante la mala fede di questi ultimi acquirenti.
2. – La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 22 aprile 2010, ha rigettato l’appello proposto dai (OMISSIS).
La Corte d’appello ha rilevato: (a) che sono irrilevanti l’esistenza del contratto preliminare e la data dello stesso, posto che, nel caso in cui siano stipulati prima un contratto preliminare di compravendita, poi il contratto definitivo, l’accertamento degli elementi e dei presupposti dell’azione revocatoria fallimentare, anche in riferimento alla concreta conoscenza dell’insolvenza, deve essere compiuto con riguardo al secondo, quale negozio in virtu’ del quale si verifica il trasferimento definitivo del diritto di proprieta’; (b) che gli appellanti non hanno sottoposto a censura la motivazione del primo giudice che ha ritenuto provata la conoscenza concreta dello stato di insolvenza da parte della (OMISSIS) in forza del rilievo – incontroverso – che l’amministratore delegato della (OMISSIS) e’ la stessa persona fisica che riveste la carica di legale rappresentante della (OMISSIS); (c) infine, che i contratti oggetto del giudizio hanno aggravato il pregiudizio subito dai creditori; (d) che lo stretto rapporto di parentela tra il legale rappresentante della fallita ed i subacquirenti ha una precisa rilevanza ai fini dell’esclusione della buona fede dei terzi subacquirenti ex articolo 2901 c.c., comma 4.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello i (OMISSIS) hanno proposto ricorso, con atto notificato l’11 marzo 2011, sulla base di due motivi.
Il Fallimento (OMISSIS) ha resistito con controricorso.
Il Fallimento (OMISSIS) non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede.
In prossimita’ dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Non puo’ darsi corso alla richiesta, formulata dai ricorrenti in prossimita’ dell’udienza, di integrazione del con-traddittorio in questa sede nei confronti della societa’ (OMISSIS), tornata in bonis a seguito della chiusura del fallimento in data (OMISSIS) (come da decreto allegato all’istanza), trattandosi, a prescindere da ogni altro rilievo, di evento che, verificatosi nella pendenza del giudizio di primo grado, non puo’ essere documentato per la prima volta in questa sede, ostandovi il divieto di cui all’articolo 372 cod. proc. civ.
2. – Con il primo motivo (violazione della L.F., articolo 66, e articolo 2901 cod. civ.) i ricorrenti – premesso che per il proficuo esperimento dell’azione revocatoria ex articolo 2901 cod. civ. l’attore deve dare la prova della sussistenza in concreto dei presupposti che legittimano l’esercizio dell’azione, consistenti nella prova dell’eventus datimi e della scientia damni in capo al proprio debitore (o dei suoi aventi causa) – censurano che, con riguardo all’eventus damni, il giudice del gravame, travalicando i proprio poteri, abbia supplito al mancato assolvimento dell’onere della prova, da parte del curatore del fallimento, essendosi lo stesso giudice sobbarcato all’onere di ricercare la fonte di prova, rinvenuta nella relazione del curatore L.F., ex articolo 33. Nella motivazione della sentenza mancherebbe il raffronto tra i dati acquisiti (crediti ammessi, qualita’ e consistenza del patrimonio del fallito) e gli effetti in concreto ascrivibili all’atto che si assume pregiudizievole, condizione unica ed esclusiva per poter valutare l’effettivita’ del pregiudizio. Il giudice di appello si sarebbe limitato a considerare non i fatti o i dati oggettivi relativi al patrimonio del fallito, ma le valutazioni del curatore e le sue prognosi.
2.1. – Il motivo e’ infondato.
Per costante giurisprudenza (Sez. 1, 12 settembre 1998, n. 9092; Sez. 2, 31 ottobre 2008, n. 26331), il curatore fallimentare che intenda promuovere l’azione revocatoria ordinaria, per dimostrare la sussistenza dell’eventus damni, ha l’onere di provare tre circostanze: la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole; il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto. Solo se dalla valutazione complessiva e rigorosa di tutti e tre questi elementi dovesse emergere che per effetto dell’atto pregiudizievole sia divenuta oggettivamente piu’ difficoltosa l’esazione del credito, in misura che ecceda la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore verso i propri creditori, potra’ ritenersi dimostrata la sussistenza dell’eventus damni.
Attenendosi a tali principi – e colmando, del tutto legittimamente, la carenza motivazionale sul punto della sentenza di primo grado, dovendosi, nell’ambito delle questioni la cui soluzione da parte della sentenza di primo grado sia stata contestata attraverso una specifica doglianza, riconoscere in capo al giudice del gravame l’esercizio del potere di correzione, ossia del potere di dare, entro i limiti del devolutum, un diverso fondamento al dispositivo contenuto nella sentenza impugnata – la Corte d’appello ha rilevato, con congrua e logica motivazione, che i contratti oggetto del giudizio hanno aggravato il pregiudizio delle ragioni creditorie, a tal fine evidenziando non solo la rilevante esposizione debitoria della (OMISSIS) s.r.l., ma anche il fatto che il compimento degli atti di disposizione in questione ha determinato il venir meno delle garanzie reali che gli immobili, rispetto al denaro, rappresentano per i creditori, potendo evidentemente il pregiudizio (eventus damni) essere costituito da una variazione sia quantitativa che qualitativa del patrimonio del debitore, quando, come nella specie, comporti una maggiore difficolta’ o incertezza nella esazione coattiva del credito oppure ne comprometta la fruttuosita’.
E sfugge del pari alle censure articolate con il motivo la circostanza che a tale conclusione circa la sussistenza dei presupposti per l’accoglibilita’ dell’azione revocatoria la Corte d’appello sia pervenuta sulla base della relazione del curatore fallimentare di cui alla L.F., articolo 33, in un contesto nel quale gli elementi da essa ricavabili – come da conto la stessa sentenza impugnata – “non risultano probatoriamente contraddetti dagli appellanti”.
Infatti, questa Corte ha gia’ avuto piu’ volte occasione infatti di affermare che, in tema di revocatoria, il giudice puo’ trarre elementi di prova dalla relazione del curatore, la quale, per la finalita’ assegnatagli dalla legge di fornire ogni piu’ ampio elemento di valutazione su tutto cio’ che possa interessare la procedura concorsuale, costituisce una legittima fonte di informazione. La relazione, ove non sia validamente contraddetta, ben puo’ percio’ concorrere alla formazione del convincimento del giudice, il quale, se puo’ ammettere le prove che le altre parti deducono per contrastare le risultanze di detta relazione, non e’ tenuto ad acquisirne d’ufficio per controllare la rispondenza al vero degli elementi di valutazione offerti dal curatore (Sez. 1, 27 giugno 2006, n. 14831; Sez. 1, 4 maggio 2009, n. 10216).
2. – Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione della L.F., articolo 66, articoli 2901 e 1391 cod. civ.) si deduce che la conoscenza del pregiudizio in capo ai terzi subacquirenti avrebbe dovuto essere provata con il rinvio a circostanze oggettive e diverse dal grado di parentela e tenendo conto del conferimento di eventuali poteri di rappresentanza.
2.1. – Il motivo e’ infondato.
La decisione e’ conforme al principio per il quale, in tema di condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, la prova del requisito della consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi dei creditori puo’ essere fornita anche mediante presunzioni, dovendosi, tra l’altro, attribuire rilievo al grado di parentela fra il debitore e gli acquirenti (Cass., Sez. 2, 11 febbraio 2005, n. 2748; Cass., Sez. 3, 25 luglio 2013, n. 18034).
Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto che lo stretto rapporto di parentela (filiazione) tra il legale rappresentante della fallita ed i subacquirenti ha una precisa rilevanza ai fini dell’esclusione della buona fede dei terzi ex articolo 2901 c.c., comma 4.
Ne’ rileva che, nell’atto di vendita fra (OMISSIS) e i germani (OMISSIS), questi siano stati rappresentati dalla propria madre quale procuratrice ad negotia, perche’ se e’ esatto che, ai fini degli stati soggettivi rilevanti, si ha riguardo alla persona del rappresentante (articolo 1391 cod. civ., comma 1), in nessun caso il rappresentato che e’ in mala fede puo’ giovarsi dello stato di ignoranza o di buona fede del rappresentante (articolo 1391 cod. civ., comma 2).
3. – Il ricorso e’ rigettato.
Le spese del giudizio – liquidate come da dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dal Fallimento controricorrente, che liquida in complessivi euro 3.700, di cui euro 3.500 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

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