La massima

La legittimità del sequestro probatorio deve essere valutata non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, ma in riferimento all’idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini, per acquisire prove certe o prove ulteriori del fatto, non esperibili senza la sottrazione all’indagato della disponibilità della “res” o l’acquisizione della stessa nella disponibilità dell’A.G.

Suprema Corte di Cassazione penale

Sez. II

sentenza del 25 gennaio 2012, n. 3168

…omissis…

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.

2. Occorre premettere che secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e) (Cass. Sez. Un. sent. n. 5876 del 28/1/2004 dep. 13/2/2004 rv 226710.).

Ancora più recentemente, questa Corte ha ribadito che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 43068 del 13/10/2009 Cc. (dep. 11/11/2009) Rv. 245093).

3. La legittimità del sequestro probatorio deve essere valutata non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, ma in riferimento all’idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini, per acquisire prove certe o prove ulteriori del fatto, non esperibili senza la sottrazione all’indagato della disponibilità della “res” o l’acquisizione della stessa nella disponibilità dell’A.G. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15177 del 24/03/2011 Cc. (dep. 14/04/2011) Rv. 250300). Pertanto, in sede di riesame del sequestro probatorio, il Tribunale è chiamato a verificare l’astratta sussistenza del reato ipotizzato, valutando il “fumus commissi delicti” sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati e, quindi, della sussistenza dei presupposti che giustificano il sequestro (Sez. 5, Sentenza n. 24589 del 18/04/2011 Cc. (dep. 20/06/2011 ) Rv. 250397).

4. Nel caso di specie, essendo inammissibile ogni censura su presunti vizi della motivazione, occorre rilevare che la motivazione del provvedimento impugnato non è nè del tutto mancante, nè apparente.

Al contrario, la motivazione del provvedimento impugnato ha verificato l’astratta sussistenza del fumus commissi delicti, valutando la congruità degli elementi rappresentati dall’accusa e prendendo in considerazione i principali argomenti sollevati dalla difesa. In particolare il Tribunale ha congruamente motivato sia in ordine al fumus, che in ordine alla pertinenzialità dei beni acquisiti. Nè la eventuale mancanza negli atti della denunzia iniziale sporta da P.N. gioca alcun ruolo, dal momento che nella motivazione non vi è alcun riferimento a tale documento, mentre sono indicati altri documenti rilevanti ai fini del fumus, come le cambiali emesse a favore del C. dal P. e l’iscrizione di un’ipoteca sull’immobile di R.A., fideiussore del P.. Di conseguenza il ricorso deve essere respinto in quanto inammissibile.

5. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

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