Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza n. 22253 del 8 giugno 2012

Svolgimento del processo
S.A. e N.V. hanno proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano, sezione 7, in data 22 novembre 2011 con la quale è stata rigettata l’eccezione di nullità dell’ordinanza con la quale il G.I.P. ha respinto la richiesta di giudizio abbreviato e ha disposto di procedersi alla celebrazione del giudizio immediato richiesto dalla Procura.
A sostegno dell’impugnazione i ricorrenti hanno dedotto:
a) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e c) in relazione all’art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 179 c.p.p. con riferimento all’art. 438 c.p.p., comma 2.
I ricorrenti, premesso di essere stati tratti a giudizio, in stato di custodia cautelare, con rito immediato su richiesta formulata dalla procura della Repubblica di Milano il 16 dicembre 2010, con riferimento a numerosi capi di imputazione, tra cui alcuni concernenti i reati di usura ed estorsione, e che il 21 dicembre 2010 è stato emesso il decreto di citazione a giudizio per l’udienza dell’11 maggio 2011, hanno dedotto di aver avanzato richiesta di giudizio abbreviato condizionato all’assunzione di una serie di prove indicate nella richiesta. Con ordinanza del 5 aprile 2011 il GIP respingeva la richiesta e rimetteva gli imputati al giudizio della Vili sezione penale.

All’udienza del 15 giugno 2011 i ricorrenti reiteravano la richiesta di accesso al rito abbreviato condizionato al Tribunale; trasmessi gli atti alla 7^ sezione penale, la richiesta veniva nuovamente respinta dal Collegio, che disponeva la prosecuzione del giudizio davanti alla 7 Sezione. Di fronte a tale giudice i difensori di cinque imputati, tra cui i due attuali ricorrenti, eccepivano la nullità dell’ordinanza del 5 aprile 2011, emessa dal GIP del tribunale di Milano, per non essere stata preceduta dal contraddittorio camerale, con relativa restituzione in termini per la proposizione, davanti al Giudice naturale, della richiesta di rito abbreviato condizionato e per la fissazione della udienza di trattazione della discussione. Con ordinanza del 22 novembre 2011 il Tribunale di Milano, sez. 7 penale rigettava l’istanza di nullità.
Con il presente ricorso i ricorrenti N. e S. hanno impugnato l’ultima ordinanza del 22 novembre 2011 per abnormità per non aver riconosciuto la nullità dell’ordinanza del 5 aprile 2011 con la quale il GIP del tribunale di Milano ha rigettato la richiesta di trasformazione del rito immediato in giudizio abbreviato condizionato. L’abnormità dell’atto deriverebbe, secondo i ricorrenti, dall’ineluttabilità della prosecuzione della fase dibattimentale del processo, pur in presenza di un atto affetto da nullità assoluta, che avrebbe privato i ricorrenti della fase relativa all’udienza di discussione per l’accoglimento del rito invocato, e dunque avrebbe integrato una nullità assoluta e insanabile, riconducibile ad un caso di omessa citazione. In ogni caso, secondo i ricorrenti, l’abnormità dell’atto deriverebbe dall’arresto delle SS.UU. della Corte di cassazione, che, con la sentenza n. 30200 del 28 luglio 2011, avrebbe configurato i limiti del controllo del GIP, in ordine all’ammissibilità della richiesta del giudizio abbreviato condizionato, come verifica di carattere formale della regolarità della richiesta, concernente il rispetto del termine di cui all’art. 458 c.p.p. e la presenza della procura speciale in capo al difensore che agisce per conto del suo assistito, con la conseguente necessità di fissazione dell’udienza davanti a sè per la decisione nel merito. Non aver adempiuto alla fissazione di alcuna udienza per la valutazione della richiesta, avrebbe comportato l’adozione di un atto abnorme, perchè emesso in violazione di una condizione a contraddittorio necessario. Erronea sarebbe dunque la valutazione operata sul punto dalla 7 sezione del Tribunale di Milano che ha ritenuto l’ordinanza emessa dal GIP affetta da nullità a regime intermedio, per la sua mancanza di natura decisoria, e che sarebbe stata sanata dalla riproposizione della richiesta di rito abbreviato condizionato presentata dai ricorrenti in data 15 giugno 2011 davanti alla 7 Sezione del Tribunale di Milano.

Motivi della decisione
1. – Il ricorso è manifestamente infondato.
2. – I ricorrenti fanno ampio riferimento nel loro ricorso alla sentenza delle SS.UU. della Corte di cassazione, in cui, le stesse, affrontando un quesito completamente diverso rispetto a quello proposto all’attenzione del Collegio in questa sede, e cioè quello relativo alla decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare dall’ordinanza con cui è disposto il giudizio abbreviato ovvero dal decreto di fissazione dell’udienza per tale giudizio, hanno fatto riferimento anche al quadro processuale concernente gli atti introduttivi del giudizio abbreviato nella sua configurazione condizionata, nel momento in cui si incrocia con il giudizio immediato; sulla base di tali presupposti le Sezioni unite hanno affermato che, per stabilire il momento dal quale iniziano a decorrere i termini di custodia cautelare nel caso in cui si proceda con il rito abbreviato, occorre fare riferimento all’ordinanza con la quale il giudizio immediato viene trasformato in abbreviato, individuata nel provvedimento che ammette il secondo rito speciale, e non nel decreto di fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 458 c.p.p., comma 2; tale nullità assoluta, che avrebbe privato i ricorrenti della fase relativa all’udienza di discussione per l’accoglimento del rito invocato, e dunque avrebbe integrato una nullità assoluta e insanabile, riconducibile ad un caso di omessa citazione. In ogni caso, secondo i ricorrenti, l’abnormità dell’atto deriverebbe dall’arresto delle SS.UU. della Corte di cassazione, che, con la sentenza n. 30200 del 28 luglio 2011, avrebbe configurato i limiti del controllo del GIP, in ordine all’ammissibilità della richiesta del giudizio abbreviato condizionato, come verifica di carattere formale della regolarità della richiesta, concernente il rispetto del termine di cui all’art. 458 c.p.p. e la presenza della procura speciale in capo al difensore che agisce per conto del suo assistito, con la conseguente necessità di fissazione dell’udienza davanti a sè per la decisione nel merito. Non aver adempiuto alla fissazione di alcuna udienza per la valutazione della richiesta, avrebbe comportato l’adozione di un atto abnorme, perchè emesso in violazione di una condizione a contraddittorio necessario. Erronea sarebbe dunque la valutazione operata sul punto dalla 7 sezione del Tribunale di Milano che ha ritenuto l’ordinanza emessa dal GIP affetta da nullità a regime intermedio, per la sua mancanza di natura decisoria, e che sarebbe stata sanata dalla riproposizione della richiesta di rito abbreviato condizionato presentata dai ricorrenti in data 15 giugno 2011 davanti alla 7 Sezione del Tribunale di Milano.

Motivi della decisione
1. – Il ricorso è manifestamente infondato.
2. – I ricorrenti fanno ampio riferimento nel loro ricorso alla sentenza delle SS.UU. della Corte di cassazione, in cui, le stesse, affrontando un quesito completamente diverso rispetto a quello proposto all’attenzione del Collegio in questa sede, e cioè quello relativo alla decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare dall’ordinanza con cui è disposto il giudizio abbreviato ovvero dal decreto di fissazione dell’udienza per tale giudizio, hanno fatto riferimento anche al quadro processuale concernente gli atti introduttivi del giudizio abbreviato nella sua configurazione condizionata, nel momento in cui si incrocia con il giudizio immediato; sulla base di tali presupposti le Sezioni unite hanno affermato che, per stabilire il momento dal quale iniziano a decorrere i termini di custodia cautelare nel caso in cui si proceda con il rito abbreviato, occorre fare riferimento all’ordinanza con la quale il giudizio immediato viene trasformato in abbreviato, individuata nel provvedimento che ammette il secondo rito speciale, e non nel decreto di fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 458 c.p.p., comma 2; tale de plano, in quanto la questione era estranea al tema sottoposto alla sua valutazione. La difesa ha prospettato la sussistenza di una nullità assoluta e insanabile, che addirittura assumerebbe i tratti distintivi dell’abnormità con riferimento al provvedimento adottato. E’ allora il caso di ribadire come siano assenti nel provvedimento in questione tutti i tratti distintivi della radicale stravaganza, della estraneità rispetto ai poteri riconosciuti al giudice, dell’effetto di stallo o regressione processuale non rimediabile se non attraverso un intervento del giudice di legittimità, propri, in base al consolidato orientamento giurisprudenziale, dell’atto abnorme (v. Sez. un., 26 marzo 2009, n. 25957, Toni, CED 243590; Sez. un., 29 maggio 2002, n. 28807,Manca, CED 221999; Sez. un., 22 novembre 2000, n. 33, Boniottt, CED 217244).
Ritiene al contrario la Corte che la valutazione di una eccezione di nullità rientri nella fisiologica competenza del giudice, indipendentemente dalla esattezza della relativa decisione. E i rimedi avverso l’eventuale errore sono dunque quelli specifici che disciplinano l’ordinario svolgimento del processo. Sarebbe stato, al contrario, proprio l’accoglimento della “restituzioni in termini” per avanzare la richiesta di rito abbreviato davanti al Gip competente a celebrarlo, se questo fosse stato ritenuto ammissibile, sia pure all’esito dell’apposita udienza camerale, a determinare una abnorme regressione del processo.

6. Ciò premesso al fine di definire la natura della dedotta nullità ritiene la Corte che correttamente il Tribunale abbia fatto riferimento alla categoria della nullità a regime intermedio.
Giustamente è stato fatto richiamo al consolidato orientamento giurisprudenziale in materia analoga, relativo all’udienza prevista dall’art. 447 c.p.p. per decidere sulla richiesta di applicazione della pena proposta dalle parti, secondo cui il provvedimento di rigetto della suddetta richiesta adottato de plano, è affetto da nullità a regime intermedio (Cass., Sez. 3, 12 dicembre 2007, n. 4743 , CED 239248; Cass., Sez. 3, 13 ottobre 2005, n. 2634, CED 232917; Cass., Sez. 6, 13 maggio 1998, n. 1737, CED 212244), come pure all’ulteriore costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale “la mancanza nel decreto che dispone il giudizio immediato, dell’avviso prescritto dall’art. 456 c.p.p., comma 2, che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato ovvero l’applicazione della pena a norma dell’art. 444 c.p.p., come pure l’eventuale erronea indicazione del termine entro il quale la richiesta può essere avanzata, danno luogo ad una nullità a regime intermedio”. Infatti, ragionando anche nell’ottica della recente sentenza delle Sezioni Unite e dell’affermata necessità di fissazione di apposita udienza per discutere in contraddittorio sulla sussistenza dei presupposti del rito speciale, tale affermazione trova la sua giustificazione nella necessità di strutturare adeguatamente la possibilità d’intervento dell’imputato sotto il profilo procedurale, con evidenti ricadute in ordine all’effettività della sua partecipazione consapevole alla vicenda processuale che lo riguarda e come garanzia di effettività rispetto all’esercizio del diritto di difesa; tuttavia l’assenza del carattere di decisorietà del provvedimento finale dell’udienza camerale, stante la sua “processuale”, relativa a questione concernente il mero “accesso al rito” (rectius il suo diniego), unitamente alla possibilità di elidere nell’immediata fase processuale successiva l’effetto negativo derivato dall’omessa fissazione dell’udienza, consente di ritenere corretto l’inquadramento della fattispecie nella categoria della nullità assoluta a regime intermedio. Da tale conclusione discende la conseguenza della sua sanatoria ai sensi dell’art. 183 c.p.p., nel momento in cui la difesa ha accettato gli effetti dell’atto, rinnovando la richiesta di trasformazione del rito di fronte al tribunale, nella pienezza del contraddittorio fra le parti e, per tale ragione, lasciando indenne dagli effetti diffusivi della nullità in questione anche il decreto di giudizio immediato in forza del quale si è radicata la competenza del giudice del dibattimento.
7. Va dichiarata, pertanto l’inammissibilità del ricorso cui consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè di ciascuno al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e,ciascuno,inoltre, al versamento della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

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