Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 30 settembre 2016, n. 19416

Obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore per l’opera professionale richiesta non è necessariamente colui che ha rilasciato la procura alla lite, potendo anche essere colui che abbia affidato al legale il mandato di patrocinio, anche se questo sia stato richiesto e si sia svolto nell’interesse di un terzo. Si instaura in tale ipotesi, un altro distinto rapporto interno ed extraprocessuale regolato dalle norme di un ordinario mandato, in virtù del quale la posizione del cliente viene assunta non dal patrocinato ma da chi ha richiesto per lui l’opera professionale. Pertanto è da stabilire, in concreto, se il mandato di patrocinio provenga dalla stessa parte rappresentata in giudizio, o invece da un altro soggetto che abbia perciò assunto a proprio carico l’obbligo del compenso. Ed invero, non è infrequente che una parte, la quale debba essere rappresentata e difesa in un giudizio destinato a svolgersi in una città diversa da quella della propria residenza, non conoscendo legali di quel foro, si rivolga ad un professionista della propria città, e che sia poi quest’ultimo a metterla in corrispondenza con un legale del foro ove deve aver luogo il processo, al quale la parte conferisce il mandato ad litem. Quindi è possibile che la parte abbia inteso intrattenere un rapporto di clientela unicamente con il professionista che già conosceva, ed abbia conferito al legale dell’altro foro soltanto la procura tecnicamente necessaria all’espletamento della rappresentanza giudiziaria: sicchè il mandato di patrocinio in favore di quest’ultimo non proviene dalla parte medesima, bensì dal primo professionista, che ha individuato e contattato il legale del foro della causa e sul quale graverà perciò l’obbligo di corrispondere il compenso

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE 

Sezione III Civile

sentenza 30 settembre 2016, n. 19416

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26420-2013 proposto da:
M.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F CESI 44, presso lo studio dell’avvocato MOLINARO LUIGI, rappresentato e difeso dall’avvocato CAMILLO CANCELLARIO giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CUNFIDA 20, presso lo studio dell’avvocato MONICA BATTAGLIA, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 885/2013 del TRIBUNALE di PRATO, depositata il 25/06/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;
udito l’Avvocato CAMILLO CANCELLARIO;
udito l’Avvocato MONICA BATTAGLIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. La presente controversia trae origine dal mancato pagamento da parte dell’avvocato M. delle competenze professionali maturate per l’attività svolta dall’avvocato T..
Si difese il convenuto negando di aver conferito l’incarico direttamente all’avvocato T. e chiese di chiamare in causa il dottor L.F. quale amministratore delegato della società Papalini S.r.l. che aveva conferito l’incarico al T..
Il giudice di pace di Prato dichiarò il difetto di legittimazione passiva del terzo chiamato e accolse la domanda formulata dall’attore.
2. La decisione è stata confermata dal Tribunale di Prato, con sentenza n. 885 del 25 giugno 2013.
3. Avverso tale decisione, l’avvocato M.L. propone ricorso in Cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da memoria.
3.1 Resiste con controricorso il T..

Motivi della decisione

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione degli artt. 82 e 83 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c..
Erroneità dell’individuazione del soggetto tenuto a fornire la prova in materia di mandato per l’espletamento della prestazione professionale. Violazione dei principi giurisprudenziali in subiecta materia”.
Lamenta che il giudice del merito non ha fatto applicazione del principio secondo cui chi agisce per il conseguimento del compenso ha l’onere di provare il conferimento dell’incarico da parte del terzo, dovendosi in difetto presumere, che il cliente sia colui che ha rilasciato la procura. Invece nel caso di specie, i giudici hanno attribuito tale onere all’avv. M..
4.2. Con il secondo motivo, denuncia la “violazione e falsa applicazione degli artt. 214, 216 e 221 c.p.c. e dell’art. 2702 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Mancata contestazione del contenuto di un documento decisivo e violazione di legge in relazione alla idoneità probatoria del documento medesimo”.
Il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello non ha attribuito il giusto valore alla lettera con cui la società Papalini conferiva l’incarico professionale all’avv. M. e lo invitava ad avvalersi della collaborazione dell’avv. T..
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5. Illogicità e contraddittorietà della motivazione. Erronea qualificazione dei fatti posti a fondamento della decisione quali idonei elementi probatori”.
Si duole il M. che l’impianto valutativo e motivazionale che sta alla base della sentenza impugnata non è coerente nè logico.
5. I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, perchè sotto profili diversi lamentano una errata valutazione delle prove da parte del giudice del merito, e sono tutti infondati.
Occorre premettere che obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore per l’opera professionale richiesta non è necessariamente colui che ha rilasciato la procura alla lite, potendo anche essere colui che abbia affidato al legale il mandato di patrocinio, anche se questo sia stato richiesto e si sia svolto nell’interesse di un terzo. Si instaura in tale ipotesi, un altro distinto rapporto interno ed extraprocessuale regolato dalle norme di un ordinario mandato, in virtù del quale la posizione del cliente viene assunta non dal patrocinato ma da chi ha richiesto per lui l’opera professionale. Pertanto è da stabilire, in concreto, se il mandato di patrocinio provenga dalla stessa parte rappresentata in giudizio, o invece da un altro soggetto che abbia perciò assunto a proprio carico l’obbligo del compenso. Ed invero, non è infrequente che una parte, la quale debba essere rappresentata e difesa in un giudizio destinato a svolgersi in una città diversa da quella della propria residenza, non conoscendo legali di quel foro, si rivolga ad un professionista della propria città, e che sia poi quest’ultimo a metterla in corrispondenza con un legale del foro ove deve aver luogo il processo, al quale la parte conferisce il mandato ad litem. Quindi è possibile che la parte abbia inteso intrattenere un rapporto di clientela unicamente con il professionista che già conosceva, ed abbia conferito al legale dell’altro foro soltanto la procura tecnicamente necessaria all’espletamento della rappresentanza giudiziaria: sicchè il mandato di patrocinio in favore di quest’ultimo non proviene dalla parte medesima, bensì dal primo professionista, che ha individuato e contattato il legale del foro della causa e sul quale graverà perciò l’obbligo di corrispondere il compenso.
Ma può anche verificarsi che la parte abbia inteso direttamente conferire ad entrambi i legali il mandato di patrocinio (oltre che la procura ad litem). Ed è evidente che, in siffatta ipotesi, è appunto la parte ad essere tenuta al pagamento del compenso professionale, e non invece il primo legale. L’accertare, di volta in volta, in quale di tali diverse situazioni si verta integra dunque, con ogni evidenza, una questione di fatto, che come tale è rimessa alla valutazione del giudice di merito e, se decisa in base ad adeguata e logica motivazione, si sottrae ad ogni possibile vaglio in sede di legittimità.
Ciò posto, la sentenza, ha analizzato compiutamente il complessivo materiale probatorio acquisito per giungere, motivatamente, alla conclusione che nella specie il mandato di domiciliatario al T. sia stato conferito dall’avv. M. con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano dei compensi. In proposito, la motivazione dei Giudici è immune da vizi denunciati, posto che la sentenza ha accertato l’assenza di un alcun contatto fra il L. e l’avv. T.. Dunque, non è affatto vero che la sentenza non abbia esaminato la procura apposta in calce all’atto di citazione ma ha adeguatamente chiarito – alla luce della complessiva ricostruzione dei rapporti fra le parti di cui si è detto – che la stessa, essendo necessaria per lo svolgimento dell’attività conferita all’avv. T. dal M., non poteva rappresentare la fonte del mandato di patrocinio conferito dal L. all’avv. T..
6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giucli7io di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 1.200,00 di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. D.P.R., art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016.

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