Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 5 luglio 2017, n. 16484

Nel caso in cui il fatto illecito altrui causi al danneggiato la perdita definitiva di titoli di credito consistenti in assegni bancari ed in cambiali, sono risarcibili i danni, da liquidarsi equitativamente, corrispondenti alla perdita di tempo e di energie, nonche’ agli esborsi astrattamente necessari per espletare le procedure di cui agli articoli 2006, 2016 e 2027 c.c.; sono altresi’ risarcibili, e liquidabili in via equitativa, i danni corrispondenti alla perdita delle azioni cartolari, qualora dette procedure non siano in concreto esperibili o non vi sia seria probabilita’ di conseguire i decreti di ammortamento dei titoli all’ordine o nominativi.

Spetta al danneggiante l’onere di provare che questi ultimi danni avrebbero potuto essere evitati dal danneggiato usando l’ordinaria diligenza ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 2, nell’intraprendere e completare le procedure di ammortamento dei titoli di credito.

La prova della perdita del titolo di credito fornita dal danneggiato e’ prova sufficiente dell’esistenza di danni risarcibili come sopra, laddove spetta al danneggiante la prova di fatti impeditivi od estintivi dell’effettiva riscossione del credito

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione III civile

sentenza 5 luglio 2017, n. 16484

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12620-2015 proposto da:

(OMISSIS), in qualita’ di erede universale di (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro in carica, domiciliata ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui e’ rappresentato e difeso per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 865/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/04/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso p.q.r.;

udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza impugnata, pubblicata il 24 febbraio 2015, la Corte d’Appello di Milano ha accolto l’appello proposto dal Ministero della Giustizia nei confronti di (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale di Milano dell’8 agosto 2011. Con questa era stata accolta la domanda avanzata dal (OMISSIS) per il risarcimento dei danni che gli erano derivati dalla mancata restituzione (a seguito di smarrimento) dei titoli di credito oggetto di sequestro presso il suo difensore nel corso di un processo penale nel quale era stato indagato, ed il convenuto Ministero era stato condannato al pagamento, in favore dell’attore, della somma di Euro 275.000,00, oltre interessi.

2. La Corte d’appello ha riformato integralmente la sentenza sulla base dei seguenti argomenti:

a) la mancata restituzione dei titoli di credito, con conseguente perdita degli stessi, non comporta il venir meno dei crediti;

b) il credito incorporato nel titolo puo’ essere spontaneamente o anche coattivamente pagato dal debitore al quale il creditore si presenti provando lo smarrimento del titolo, secondo quanto disposto dagli articoli 2006, 2016 e 2027 c.c., previo ammortamento del titolo se all’ordine o nominativo;

c) per contro, il possesso del titolo di credito e la sua tempestiva presentazione non sono garanzia della riscossione del credito, dipendendo dalla solvibilita’ del debitore;

d) il (OMISSIS) avrebbe dovuto provare di avere proceduto all’ammortamento dei titoli di credito non al portatore, di avere fatto valere la causa sottostante i titoli al portatore smarriti, di avere sollecitato inutilmente l’adempimento spontaneo e di avere accertato la solvibilita’ dei debitori;

e) in mancanza di questa prova, ovvero della prova che, se i titoli di credito non fossero stati smarriti, vi sarebbe stata l’effettiva possibilita’ di riscuotere i crediti sottostanti, non risulta provato il danno subito;

f) inoltre, l’attore non ha provato nemmeno il deterioramento dei crediti durante il sequestro dei titoli, per fallimento o perdita del patrimonio dei debitori;

g) la domanda di risarcimento del danno deve dunque essere respinta, per carenza di prova dell’esistenza di un effettivo danno, elemento costitutivo della domanda ex articolo 2043 c.c..

Il secondo giudice ha percio’ rigettato la domanda risarcitoria di (OMISSIS) e l’ha condannato al pagamento delle spese dei due gradi di merito.

3. (OMISSIS), in qualita’ di erede universale di (OMISSIS), propone ricorso per Cassazione con tre motivi.

Il Ministero della Giustizia si difende con controricorso e memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2008 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, perche’ il giudice d’appello – affermando quanto sopra riportato sub a) – non avrebbe considerato che il possesso del titolo e’ condizione essenziale, sufficiente e non secondaria a che lo stesso sia posto all’incasso.

Aggiunge la ricorrente – quanto all’affermazione sopra riportata sub b) – che nel caso specifico non si trattava di un solo titolo di credito, ma di un numero considerevole di assegni e cambiali ed il danneggiato non avrebbe potuto essere gravato dell’onere dell’ammortamento, senza che il danneggiante rispondesse, anche in base ad un calcolo probabilistico, del danno causato.

Osserva, ancora, quanto all’onere di provare il rapporto sottostante il titolo, che il piu’ delle volte si tratta di rapporto non scritto e di difficile dimostrazione.

1.1. Col secondo motivo si denuncia violazione degli articoli 1177, 1227 e 2043 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, perche’ il giudice – formulando la conclusione sopra riportata sub f) – avrebbe invertito l’onere della prova. Inoltre, secondo la ricorrente, vi sarebbe stato malgoverno dell’articolo 1227 c.c., poiche’ il debitore non puo’ essere onerato di un’attivita’ che superi i limiti di una normale gestione dei propri interessi; cosi’ sarebbe nel caso di specie se si seguisse quanto affermato dal giudice d’appello sia in riferimento alla procedura di ammortamento dei titoli di credito (poiche’ per molti di essi non si conoscevano gli estremi esatti ne’ il nome dei debitori ne’ si avevano le copie, tanto che l’ammortamento nemmeno sarebbe stato possibile), sia in riferimento all’indagine sui rapporti sottostanti e sulla solvibilita’ dei debitori, considerato che il vantaggio dei titoli di credito sta proprio nella loro astrattezza, ovvero nella liberazione del creditore dall’onere della prova del rapporto sottostante.

Quindi, la ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimita’ per la quale spetta al danneggiante l’onere di provare che il danneggiato avrebbe potuto evitare i danni dei quali chiede il risarcimento usando l’ordinaria diligenza ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 2.

Svolge infine ulteriori considerazioni in merito all’onere della prova gravante sul custode, ed all’insufficienza del riferimento effettuato dal giudice soltanto all’articolo 2043 c.c..

1.2. Col terzo motivo si denuncia violazione dell’articolo 1226 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, perche’ il giudice affermando quanto sopra riportato sub e) – non avrebbe considerato: che la perdita della chance di consecuzione di un vantaggio e’ risarcibile in re ipsa, a prescindere dalla dimostrazione che il vantaggio sarebbe stato effettivamente conseguito; che i titoli di credito, per la loro astrattezza, sono potenzialmente idonei a far conseguire un vantaggio; che il Ministero non aveva provato che i titoli smarriti fossero inidonei a produrre l’effettivo incasso di denaro.

Ne sarebbe seguita, secondo la ricorrente, la violazione dell’articolo 1226 c.c. perche’, anche a voler ritenere che il danno non potesse essere provato dal danneggiato nel suo preciso ammontare, avrebbe dovuto essere liquidato equitativamente.

2. I motivi sono fondati e vanno accolti, nei limiti e per le ragioni di cui appresso.

I fatti dedotti a fondamento della domanda risarcitoria non sono contestati. I titoli di credito oggetto di sequestro penale sono elencati e parzialmente descritti nel ricorso, cosi’ come da elenco (del contenuto del plico indicato col n. 2) redatto nell’ambito del procedimento penale (nel quale risultano inseriti quattordici assegni bancari, con indicazione delle banche e degli importi – dei quali tre con allegati atti di protesto -, e numerosi effetti cambiari, con indicazione degli importi, delle date di scadenza e dei debitori), per un valore complessivo indicato in Euro 825.721,36. Il relativo smarrimento, oltre a non essere contestato dal Ministero, e’ attestato da un provvedimento del GIP del Tribunale di Milano.

La responsabilita’ del Ministero della Giustizia, sul quale incombeva l’obbligazione della custodia, non e’ in discussione; ne’ e’ stata posta in dubbio dal giudice a quo.

Non sono percio’ pertinenti i rilievi svolti in ricorso in merito all’individuazione dei criteri di imputazione di siffatta responsabilita’ ed all’onere della prova relativa.

2.1. Piuttosto, la domanda e’ stata rigettata perche’ e’ stata ritenuta mancante la prova del danno.

La regola di riparto dell’onere relativo e’ quella che la prova della sussistenza e dell’ammontare dei danni risarcibili spetta al danneggiato, a prescindere dal titolo di responsabilita’ ritenuto in capo al soggetto danneggiante.

Questa regola e’ stata seguita dal giudice di merito.

3. La questione controversa e’ data dall’individuazione dell’oggetto della prova, cioe’ dei danni risarcibili in caso di perdita colpevole di titoli di credito.

La Corte d’appello ha ritenuto che il danno consisterebbe nella perdita dei crediti rappresentati dai titoli e percio’ che la prova del danno avrebbe dovuto essere data dal danneggiato dimostrando che i titoli sarebbero stati riscossi e che, a causa del loro smarrimento, aveva perso in tutto o in parte le somme delle quali risultava creditore.

La ricorrente sostiene, invece, che la perdita del titolo di credito costituisce gia’ un danno risarcibile, eventualmente in via equitativa.

3.1. Quest’ultimo assunto e’ fondato.

Come dedotto col primo motivo di ricorso, il possesso di un titolo di credito, in particolare assegno bancario ed effetto cambiario, pone il creditore in una situazione di vantaggio, in ragione dei caratteri di letteralita’, autonomia ed astrattezza propri dei titoli.

Il venir meno di questa situazione di vantaggio costituisce, di per se’, un danno risarcibile.

La funzione riparatoria propria della responsabilita’ civile e’ assicurata ponendo il danneggiato in una situazione analoga a quella nella quale si sarebbe trovato se il fatto illecito non si fosse verificato.

Il giudice d’appello ha ritenuto che questo risultato potrebbe essere raggiunto attivando gli strumenti assicurati dall’ordinamento in caso di smarrimento e sottrazione dei titoli di credito: la denunzia all’emittente ai sensi dell’articolo 2006 c.c. per i titoli al portatore; la procedura di ammortamento ai sensi degli articoli 2016 e 2027 c.c., per i titoli all’ordine e nominativi. Ha quindi posto l’onere relativo in capo al danneggiato.

3.2. L’errore nel quale e’ incorso il giudice e’ stato quello di ritenere astrattamente idonee le procedure di cui sopra ad escludere in toto le conseguenze dannose causate dallo smarrimento dei titoli di credito, sia al portatore che all’ordine e nominativi.

Invece, il giudice avrebbe dovuto considerare, intanto, che, come detto, gia’ la perdita dei vantaggi assicurati dal possesso dei titoli di credito e’ una conseguenza pregiudizievole, in se’ risarcibile. Trattandosi di danno che deve essere necessariamente liquidato in via equitativa, congrui parametri di riferimento per la relativa liquidazione – considerata l’imprescindibile necessita’ di fare ricorso a dette procedure per ripristinare la situazione qua ante – possono essere – a prescindere dal loro effettivo espletamento – la perdita di tempo e di energie e gli oneri economici astrattamente necessari a conseguire appunto l’ammortamento dei titoli all’ordine o nominativi ovvero i tempi e i rischi da affrontare per richiedere, previa denunzia dello smarrimento, la prestazione e gli accessori all’emittente dei titoli al portatore; gli uni e gli altri risarcibili come danni sia non patrimoniali che patrimoniali.

4. Fermo restando il risarcimento di tali voci di danno, corrispondenti alla perdita, in se’, dei vantaggi conseguibili per il tramite dell’utilizzazione immediata dei titoli di credito (e fatto salvo quanto si dira’ a proposito dei fatti estintivi od impeditivi di questo diritto risarcitorio), ogni altro danno -ed in particolare quelli conseguenti ai rischi ovvero soltanto agli svantaggi di dover esperire azioni causali piuttosto che azioni cartolari nei confronti dei propri debitori – potrebbe essere evitato dal danneggiato ricorrendo in concreto alle procedure predette (nel caso di specie, alle procedure di ammortamento di assegni e cambiali).

Proprio rispetto a queste ultime si riscontra il secondo errore nel quale e’ incorsa la Corte d’appello di Milano.

Infatti, dopo aver correttamente richiamato gli articoli 2006, 2016 e 2027 c.c., il giudice avrebbe dovuto verificare la praticabilita’ di ciascuna di queste procedure nel caso concreto e soprattutto considerare che l’esigibilita’ dei relativi comportamenti da parte del danneggiato andava valutata secondo il criterio dell’ordinaria diligenza, in riferimento sempre alle circostanze del caso concreto.

4.1. Quanto a quest’ultima – come nota la ricorrente col secondo motivo, e contrariamente a quanto assume il Ministero – malgrado il giudice non vi abbia fatto espresso riferimento, la norma infine applicata e’ quella dell’articolo 1227 c.c., comma 2.

Riguardo alla sua interpretazione ed applicazione, vanno richiamati i principi risultanti da orientamenti consolidati di questa Corte. E precisamente:

a) ai fini della concreta risarcibilita’ dei danni subiti dal creditore che pure sia in astratto sussistente, configurandosi i danni medesimi ai sensi dell’articolo 1223 c.c., come conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento – l’articolo 1227 c.c., comma 2, nel porre la condizione dell’inevitabilita’, da parte del creditore, con l’uso dell’ordinaria diligenza, non si limita a richiedere a quest’ultimo la mera inerzia, di fronte all’altrui comportamento dannoso, o la semplice astensione dall’aggravare, con fatto proprio, il pregiudizio gia’ verificatosi, ma, secondo i principi generali di correttezza e buona fede di cui all’articolo 1175 c.c., gli impone altresi’ una condotta attiva o positiva diretta a limitare le conseguenze dannose di detto comportamento, intendendosi comprese nell’ambito dell’ordinaria diligenza, all’uopo richiesta, soltanto quelle attivita’ che non siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (Cass. n. 2422/04, n. 20684/09, n. 26639/13, tra le altre);

b) l’accertamento dei presupposti per l’applicabilita’ della disciplina di cui all’articolo 1227 c.c., comma 2, integra indagine di fatto, come tale riservata al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimita’, se sorretta da congrua motivazione (Cass. n. 15231/07, tra le altre);

c) in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso, a norma dell’articolo 1227 c.c., la prova che il creditore-danneggiato avrebbe potuto evitare i danni dei quali chiede il risarcimento usando l’ordinaria diligenza deve essere fornita dal debitore-danneggiante che pretende di non risarcirlo, in tutto o in parte (cfr., tra le piu’ recenti, Cass. n. 23148/14).

I principi appena enunciati comportano le conseguenze applicative di cui appresso, delle quali la Corte di appello non si e’ fatta carico.

4.2. Pur partendo dal presupposto corretto che, per l’ordinamento, lo smarrimento dei titoli di credito costituisce un danno (per la gran parte) rimediabile seguendo le norme degli articolo 2006, 2016 e 2027 c.c., il giudice avrebbe dovuto verificare se – tenuto conto della tipologia dei titoli di credito risultanti dall’elenco non contestato e di altri elementi di fatto, della cui prova e’ onerato il Ministero danneggiante – fossero in concreto esperibili le procedure di ammortamento dei titoli all’ordine o nominativi e fossero percio’ conseguibili i relativi decreti di ammortamento. Solo ottenendo riscontro positivo a tale verifica, il giudice avrebbe potuto escludere le somme portate dai titoli dalla determinazione dei danni connessi al rischio anzidetto di esperire le azioni causali in luogo di quelle cartolari, fermo restando tuttavia l’obbligo di ristorare le conseguenze pregiudizievoli comunque prodotte dalla necessita’ di fare ricorso a dette procedure (di cui si e’ detto sopra sub 3.1 e 3.2).

Infatti, per un verso, una volta constata in concreto la possibilita’ di ottenere l’ammortamento del titolo, l’esperimento della relativa procedura, in se’ considerato, non e’ attivita’ non esigibile dal creditore, sempre che – in relazione alle circostanze del caso concreto – non risulti particolarmente gravoso, secondo valutazione rimessa come detto al giudice di merito. Per altro verso, l’effettivo conseguimento del decreto di ammortamento va considerato come fatto idoneo a restituire il creditore nella posizione di vantaggio sostanzialmente coincidente con quella che gli era assicurata dal possesso del titolo di credito.

L’onere della prova della non gravosita’ della procedura e della certezza o anche solo della probabilita’ di conseguire il decreto di ammortamento grava sul danneggiante.

5.- Nel caso in cui si giunga a ritenere, nel caso concreto, impedito, in tutto o in parte, l’esperimento di dette procedure o comunque non vi sia la prova della loro praticabilita’, il danno risarcibile non puo’ che essere liquidato in via equitativa. In particolare – cosi’ come sostenuto col terzo motivo di ricorso – secondo i criteri seguiti dalla giurisprudenza per il danno c.d. da perdita di chance. Con la precisazione che si tratta di danno soltanto affine, e non del tutto coincidente con quest’ultimo.

La “chance” della cui perdita si tratta non e’ – come ha ritenuto la Corte d’appello di Milano – l’effettivo pagamento del credito, ma, come detto, solo la possibilita’ di agire in via cartolare. In sintesi, il giudice ha confuso il risultato del pagamento del credito, con la maggiore probabilita’ o facilita’ di conseguirlo assicurate dal possesso del titolo di credito. La perdita dell’azione cartolare e’ produttiva di danni risarcibili cosi’ come la perdita di chance, ma mentre in quest’ipotesi spetta al danneggiato l’onere della prova della concreta sussistenza della probabilita’ di ottenere il risultato sperato (cfr. Cass. S.U. n. 21678/13), la perdita dei titoli di credito comporta di per se’ l’esistenza dei danni di che trattasi, senza che il danneggiato sia gravato da ulteriori oneri probatori.

5.1. Una volta accertata l’esistenza di danni che – per comodita’ espositiva – possono essere definiti “da perdita di azione cartolare”, la relativa liquidazione, come detto, non puo’ che essere equitativa, secondo parametri di riferimento da individuarsi dal giudice di merito, tenendo conto delle circostanze del caso concreto, ivi compreso il raffronto tra concreta probabilita’ preesistente e quella residua della riscossione del credito (quest’ultima essendo il risultato conseguibile dal creditore possessore del titolo di credito piu’ agevolmente che dal creditore che ne sia privo).

6. Cio’ detto, va peraltro precisato che, ai fini della sussistenza del danno, spetta al Ministero danneggiante – secondo le regole di riparto dell’onere probatorio desumibili dall’articolo 2697 c.c. – dare la prova che, anche se avesse esperito l’azione cartolare (cosi’ come quella causale), il creditore non sarebbe stato comunque affatto in grado di realizzare il credito; vale a dire che – contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo – spetta al danneggiante la prova dell’insolvenza del debitore e/o del fatto estintivo del credito; non spetta al danneggiato la prova “dell’effettiva possibilita’ di riscossione dei crediti”, se non al limitato fine, sopra evidenziato, della maggiore o minore quantificazione del danno in via equitativa.

Evidentemente, qualora il danneggiante riesca a fornire, anche in via presuntiva, la prova su di lui incombente (come nell’ipotesi di crediti prescritti o spontaneamente pagati ovvero anche solo di titoli protestati per mancanza di provvista), viene meno qualsivoglia corrispondente diritto risarcitorio del danneggiato, sia quello connesso all’astratta necessita’ di esperire le procedure di ammortamento (di cui si e’ detto sopra sub 3) sia quello conseguente all’effettiva perdita dell’azione cartolare (di cui si e’ detto sopra sub 4 e 5). Infatti, in tale eventualita’ si determina il venir meno dell’efficacia causale della perdita del titolo credito, neutralizzata dal sussistenza di un fatto non imputabile al danneggiante che impedisce (ed avrebbe impedito) comunque il risultato ultimo avuto di mira dal creditore.

6.1. Per contro, spetta al danneggiato dimostrare – come correttamente affermato dal giudice a quo – che il deterioramento del credito e’ stato determinato proprio dal fatto illecito del danneggiante, come nel caso in cui, nelle more del sequestro penale o della mancata restituzione, i debitori siano andati incontro a fallimenti o ad altre cause di perdita del patrimonio. In tale caso pero’ il danno non e’ piu’ commisurato alle sole conseguenze pregiudizievoli della perdita dell’azione cartolare, ma va parametrato, con gli opportuni eventuali adattamenti, al valore nominale del credito definitivamente perduto.

7. In conclusione, va affermato che nel caso in cui il fatto illecito altrui causi al danneggiato la perdita definitiva di titoli di credito consistenti in assegni bancari ed in cambiali, sono risarcibili i danni, da liquidarsi equitativamente, corrispondenti alla perdita di tempo e di energie, nonche’ agli esborsi astrattamente necessari per espletare le procedure di cui agli articoli 2006, 2016 e 2027 c.c.; sono altresi’ risarcibili, e liquidabili in via equitativa, i danni corrispondenti alla perdita delle azioni cartolari, qualora dette procedure non siano in concreto esperibili o non vi sia seria probabilita’ di conseguire i decreti di ammortamento dei titoli all’ordine o nominativi.

Spetta al danneggiante l’onere di provare che questi ultimi danni avrebbero potuto essere evitati dal danneggiato usando l’ordinaria diligenza ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 2, nell’intraprendere e completare le procedure di ammortamento dei titoli di credito.

La prova della perdita del titolo di credito fornita dal danneggiato e’ prova sufficiente dell’esistenza di danni risarcibili come sopra, laddove spetta al danneggiante la prova di fatti impeditivi od estintivi dell’effettiva riscossione del credito.

Poiche’ il giudice di merito non si e’ attenuto a questi principi, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata.

Le parti vanno rimesse dinanzi alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, per nuovo esame del merito, secondo quanto sopra specificato, oltre che per la decisione sulle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda anche la decisione sulle spese del giudizio di legittimita’.

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