Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 17 novembre 2016, n. 48591

Ai fini dell’emissione del sequestro preventivo il giudice deve valutare la sussistenza in concreto del “fumus commissi delicti” attraverso una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta, all’esito della quale possa sussumere la fattispecie concreta in quella legale e valutare la plausibilita’ di un giudizio prognostico in merito alla probabile condanna dell’imputato

Non sussiste la preclusione all’esercizio dell’azione penale di cui all’articolo 649 c.p.p., quale conseguenza della gia’ avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione formalmente amministrativa ma avente carattere sostanzialmente “penale” ai sensi dell’articolo 7 CEDU, allorquando non vi sia coincidenza fra la persona chiamata a rispondere in sede penale e quella sanzionata in via amministrativa

In tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, e articolo 322 ter c.p. non puo’ essere disposto sui beni dell’ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 17 novembre 2016, n. 48591

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRILLO Renato – Presidente
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere
Dott. SOCCI Angelo M. – rel. Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 139/2014 TRIB. LIBERTA’ di BARI, del 27/07/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO MATTEO SOCCI;

lette le conclusioni del PG Dott. POLICASTRO Aldo, “rigetto”.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Bari con ordinanza del 27 luglio 2015 rigettava l’istanza di riesame avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari di Bari, del 7 aprile 2014, che aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente dell’importo di Euro 1.821.145,00 successivamente ridotto ad Euro 795.009,27 per pagamento del dovuto all’erario per gli anni 2010 e 2011- nei confronti di (OMISSIS), indagato per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis commesso nella qualita’ di rappresentante legale della (OMISSIS) s.p.a.

2. Ricorre in Cassazione (OMISSIS), tramite il difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

2. 1. Violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis.

La Cassazione con la decisione n. 10475 del 2015 ha ritenuto che il reato dell’articolo 10 bis si configura solo se sussiste la certificazione attestante le ritenute effettuate, non si configura invece il reato con il solo modello 770.

2. 2. Violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis e della CEDU articolo 4, protocollo n. 7.

La motivazione del tribunale (questione del ne bis in idem da trattare in altra sede) costituisce una negazione di giustizia; il Giudice deve pronunciarsi sulle richieste delle parti.

2. 3. Violazione di legge, mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione all’articolo 321 c.p.p., comma 1, per inesistenza del periculum in mora.

L’esistenza per tutti i debiti tributari della (OMISSIS) s.p.a. di rateizzazioni, regolarmente onorate esclude qualsiasi pericolo di mancato pagamento delle imposte.

Il Tribunale poi non ha valutato che tenuta al pagamento e’ la (OMISSIS) s.p.a., mentre il ricorrente e’ stato solo amministratore della (OMISSIS) s.p.a., fino al 5 ottobre 2013; il sequestro andava operato nei confronti della societa’ e non dell’amministratore.

Ha chiesto pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato.

3. La Procura Generale della Corte di Cassazione, Sostituto Procuratore generale Aldo Policastro, ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso risulta infondato e deve rigettarsi.

Deve premettersi che sia per il sequestro preventivo e sia per il sequestro probatorio e’ possibile il ricorso in Cassazione unicamente per motivi di violazione di legge e non per vizio di motivazione (articolo 325 c.p.p.).

Il ricorso per Cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio e’ ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. (Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009 – dep. 11/11/2009, Bosi, Rv. 245093; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 – dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710).

5. Sul primo motivo di ricorso, ovvero la configurabilita’ del reato dell’articolo 10 bis solo se fosse esistente la certificazione attestante le ritenute effettuate, e la non configurabilita’ invece con il solo modello 770, il ricorrente richiama la Cassazione Sez. 3, n. 10475 del 09/10/2014 – dep. 12/03/2015, Calderone, Rv. 263007: “In tema di omesso versamento di ritenute certificate, la prova dell’elemento costitutivo del reato, rappresentato dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate – il cui onere incombe all’accusa – non puo’ essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro, giacche’ il Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10 bis punisce solo l’omesso versamento sopra soglia delle ritenute oggetto di certificazione e non il mancato versamento delle ritenute esclusivamente indicate nella dichiarazione modello 770. (In motivazione la Corte ha chiarito che il mancato versamento delle ritenute esclusivamente indicate nella dichiarazione modello 770 integra illecito amministrativo)”.

Sul punto e’ intervenuta anche una modifica legislativa; il Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 158, articolo 7 ha modificato il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis e ha esteso l’ambito di operativita’ della norma alle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute sulla base delle dichiarazioni provenienti dal datore di lavoro (c.d. mod. 770); l’articolo 10 bis, come modificato, prevede: “E’ punito… chiunque non versa entro il termine previsto per la dichiarazione annuale di sostituto d’imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”.

Da questa modifica deve desumersi che per i fatti pregressi la prova dell’elemento costitutivo del reato non puo’ essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione, essendo necessario dimostrare l’avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro quale sostituto d’imposta (vedi Cassazione Sez. 3, n. 10104 del 07/01/2016 – dep. 11/03/2016, Grazzini, Rv. 266301). Infatti la modifica della norma (intervento legislativo che non risulta interpretativo, ma di effettiva modifica) risulta certamente sfavorevole al reo e quindi ex articolo 2 c.p., comma 4 non puo’ applicarsi ai fatti antecedenti (deve applicarsi la norma piu’ favorevole al reo, che risulta quella antecedente alla modifica).

Cosi’ ricostruita la vicenda della successione di leggi penali, deve rilevarsi che se per un giudizio di colpevolezza, in sede di decisione di merito, e’ certamente necessaria la prova dell’avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro quale sostituto d’imposta, non altrettanto puo’ affermarsi per un fumus cautelare.

Ai fini dell’emissione del sequestro preventivo il giudice deve valutare la sussistenza in concreto del “fumus commissi delicti” attraverso una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta, all’esito della quale possa sussumere la fattispecie concreta in quella legale e valutare la plausibilita’ di un giudizio prognostico in merito alla probabile condanna dell’imputato. (Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015 – dep. 15/12/2015, P.M. in proc. Macchione, Rv. 265433).

Nel nostro caso l’omesso pagamento delle somme, indicate nel modello 770, e’ rilevabile dagli accertamenti della Guardia di Finanza e in sede di giudizio l’accusa dovra’ provare anche il rilascio delle certificazioni; tuttavia, come adeguatamente motivato nel provvedimento impugnato, senza contraddizioni e senza manifeste illogicita’ (e quindi con motivazione che non puo’ ritenersi apparente o assente), dalla dichiarazione e’ desumibile anche il rilascio delle certificazioni, ai soli fini del fumus cautelare, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede di legittimita’ per i sopra visti limiti del ricorso in Cassazione, in sede di sequestro, solo per violazione di legge.

Puo’ quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “Per i fatti antecedenti alla modifica legislativa (ad opera del Decreto Legislativo n. 158 del 2015, articolo 7) del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis e’ richiesta la prova del rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro non essendo sufficiente la dichiarazione (c.d. mod. 770), ai sensi dell’articolo 2 c.p., comma 4; in sede di valutazione del “fumus commissi delicti”, per il sequestro preventivo per equivalente, il giudice del riesame puo’ tuttavia ritenere sussistente il fumus dalla dichiarazione (770) e da altri elementi, con motivazione adeguata non sindacabile in Cassazione ai sensi dell’articolo 325 c.p.p., comma 1 che ammette il ricorso solo per violazione di legge”.

6. Anche il motivo sul divieto del ne bis in idem e’ infondato.

Manca qualsiasi prova della definitivita’ della sanzione amministrativa, presupposto per l’operativita’ del divieto del ne bis in idem, come affermato da questa Corte di Cassazione, con decisione condivisa da questo collegio: “E’ preclusa la deducibilita’ della violazione del divieto di “bis in idem” in conseguenza della irrogazione, per un fatto corrispondente sotto il profilo storico-naturalistico a quello oggetto di sanzione penale, di una sanzione formalmente amministrativa, ma della quale venga riconosciuta la natura “sostanzialmente penale” secondo l’interpretazione data dalle decisioni emessa dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo nelle cause “Grande Stevens e altri contro Italia” del 4 marzo 2014, e “Nykanen contro Finlandia” del 20 maggio 2014, quando manchi qualsiasi prova della definitivita’ della irrogazione della sanzione amministrativa medesima”. (Sez. 3, n. 19334 del 11/02/2015 – dep. 11/05/2015, Andreatta, Rv. 264809).

Inoltre, nel nostro caso, il soggetto responsabile penalmente (il ricorrente persona fisica) e’ diverso dal soggetto responsabile in sede tributaria (amministrativa, la societa’ (OMISSIS) s.p.a.), e quindi non si pone una questione di ne bis in idem, come gia’ affermato da questa Cassazione, con decisione che il collegio decidente condivide: “Non sussiste la preclusione all’esercizio dell’azione penale di cui all’articolo 649 c.p.p., quale conseguenza della gia’ avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione formalmente amministrativa ma avente carattere sostanzialmente “penale” ai sensi dell’articolo 7 CEDU, allorquando non vi sia coincidenza fra la persona chiamata a rispondere in sede penale e quella sanzionata in via amministrativa. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso la violazione del divieto di “bis in idem” con riferimento all’imputazione, a carico di un soggetto, per un fatto per il quale era stata inflitta una sanzione amministrativa ad una societa’ a responsabilita’ limitata di cui egli era socio e procuratore)”. (Sez. 2, n. 13901 del 25/02/2016 – dep. 07/04/2016, P.G., Castiglioni, Rv. 266669; nello stesso senso, Sez. 3, n. 43809 del 24/10/2014 – dep. 30/10/2015, Gabbana e altri, Rv. 265118).

7. L’esistenza della rateizzazione non impedisce il sequestro per gli importi ancora non corrisposti (Cassazione 3 sez., 11 febbraio 2016 n. 5728); gia’ il Giudice per le indagini preliminari aveva del resto ridotto l’importo della somma da sequestrare, detraendo le somme gia’ versate. Relativamente alla insussistenza del pericolo dell’inadempimento (periculum in mora), unico aspetto evidenziato dal ricorrente nel motivo di ricorso – estremamente generico sul punto -, si deve rilevare che il provvedimento impugnato motiva adeguatamente ritenendo esistente il periculum in mora relativo al debito residuo (rate ancora non versate) ed esclude la rilevanza delle garanzie, sui beni sottoposti a sequestro, in favore della (OMISSIS). Tale motivazione e’ insindacabile in questa sede, ai sensi dell’articolo 325 c.p.p., comma 1, che ammette il ricorso solo per violazione di legge.

8. L’ultimo motivo di ricorso riguarda la mancanza di sequestro alla societa’ in luogo di quello eseguito al ricorrente, che e’ stato solo l’amministratore della stessa fino al 5 ottobre 2013. Il motivo risulta estremamente generico ed inoltre lo stesso non e’ stato oggetto di motivo specifico in sede di riesame.

Infine il motivo risulta comunque infondato, perche’ “In tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, e articolo 322 ter c.p. non puo’ essere disposto sui beni dell’ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni”. (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014 – dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 258646; nello stesso senso Sez. 3, n. 18311 del 06/03/2014 – dep. 05/05/2014, Cialini, Rv. 259102).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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