Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 28 luglio 2016, n. 33052

Sommario

Il divieto della custodia cautelare in carcere per l’imputato padre di prole di età inferiore a tre anni non sussiste per la sola circostanza che la madre presti giornalmente attività lavorativa, essendo questa condizione del tutto normale, la quale di per sé non impedisce di prendersi cura dei figli, esigenze che, se del caso, possono essere realizzate anche con l’aiuto di familiari disponibili o con il ricorso a strutture pubbliche;

il divieto di applicazione nei confronti del padre con prole di età inferiore ai tre anni opera esclusivamente nel caso in cui la madre sia nell’assoluta impossibilità di dare assistenza ai minori, per un impedimento grave, nel quale non rientra la necessità di svolgere la propria attività lavorativa;

in tema di divieto di custodia cautelare in carcere per l’imputato padre di prole non superiore ai sei anni, la condizione di madre-lavoratrice rileva, quale impedimento assoluto ad assistere i figli, a condizione che venga adeguatamente dimostrata la totale assenza sia di un supporto pedagogico da parte delle strutture pubbliche, sia di figure di riferimento idonee ad assicurare la tutela del minore;

l’”assoluta impossibilità” si individua avendo riguardo non solo al soggetto chiamato a prestare assistenza, ma anche, e soprattutto, alla situazione del figlio, in considerazione del rischio in concreto derivante per quest’ultimo dal “deficit” assistenziale, sotto il profilo della irreversibile compromissione del processo evolutivo-educativo, dovuta alla mancata, valida ed efficace presenza di entrambi i genitori

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 28 luglio 2016, n. 33052

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 14 gennaio 2016 il Tribunale di Milano rigettava l’appello proposto da R.C. avverso l’ordinanza del 05/12/2015 del Gip del Tribunale di Monza, con la quale era stata rigettata l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con la misura degli arresti domiciliari.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il difensore di R.C. , Avv. Cosimo Palumbo, deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Violazione di legge processuale e vizio di motivazione: lamenta che l’ordinanza impugnata presenta incongruenze e illogicità, in quanto l’istanza di sostituzione era fondata sull’art. 275, comma 4, c.p.p., essendo R.C. padre di una bambina di pochi mesi, ed essendo la madre impossibilitata ad assisterla per motivi di lavoro, mentre il provvedimento si concentra su aspetti (decorso del tempo, mancanza di confessione) non pertinenti; si duole della mancata considerazione dell’impossibilità di ricorrere all’ausilio di asili nido o di baby sitter, in considerazione del modesto reddito familiare, e della rilevanza, anche costituzionale, assicurata all’assistenza familiare;
2.2. Vizio di motivazione in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, profilo sul quale l’ordinanza omette di motivare, senza considerare lo stato di incensuratezza dell’indagato.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Nell’ambito dei criteri di scelta delle misure cautelari, l’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., prevede che “quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni con le convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, non può essere disposta né mantenuta la custodia in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”.
Nel caso in esame, dunque, la questione riguarda l’interpretazione, non la valutazione (rimessa al giudice del merito), dell’”assoluta impossibilità a dare assistenza alla prole” da parte della moglie dell’odierno ricorrente.
2.1. Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il divieto della custodia cautelare in carcere per l’imputato padre di prole di età inferiore a tre anni non sussiste per la sola circostanza che la madre presti giornalmente attività lavorativa, essendo questa condizione del tutto normale, la quale di per sé non impedisce di prendersi cura dei figli (Sez. 6, n. 31772 del 08/07/2009, Chianchiano, Rv. 245196, prima della riforma che ha esteso la norma alla prole inferiore a sei anni), esigenze che, se del caso, possono essere realizzate anche con l’aiuto di familiari disponibili o con il ricorso a strutture pubbliche (Sez. 1, n. 8965 del 17/01/2008, Pipitone, Rv. 239132); il divieto di applicazione nei confronti del padre con prole di età inferiore ai tre anni opera esclusivamente nel caso in cui la madre sia nell’assoluta impossibilità di dare assistenza ai minori, per un impedimento grave, nel quale non rientra la necessità di svolgere la propria attività lavorativa (Sez. 2, n. 5664 del 11/01/2007, Fiore, Rv. 236128).
È stato, di recente, chiarito che, in tema di divieto di custodia cautelare in carcere per l’imputato padre di prole non superiore ai sei anni, la condizione di madre-lavoratrice rileva, quale impedimento assoluto ad assistere i figli, a condizione che venga adeguatamente dimostrata la totale assenza sia di un supporto pedagogico da parte delle strutture pubbliche, sia di figure di riferimento idonee ad assicurare la tutela del minore (Sez. 1, n. 36344 del 23/07/2015, Casesa, Rv. 264540); l’”assoluta impossibilità” si individua avendo riguardo non solo al soggetto chiamato a prestare assistenza, ma anche, e soprattutto, alla situazione del figlio, in considerazione del rischio in concreto derivante per quest’ultimo dal “deficit” assistenziale, sotto il profilo della irreversibile compromissione del processo evolutivo-educativo, dovuta alla mancata, valida ed efficace presenza di entrambi i genitori (Sez. 6, n. 35806 del 23/06/2015, Pepe, Rv. 264725).
2.2. Tanto premesso, l’ordinanza impugnata risulta aver fatto buon governo dei principi richiamati, evidenziando che l’assoluta impossibilità di assistenza non può tradursi in una “mera difficoltà di gestione della prole”, dovendo coincidere con una impossibilità correlata ad un impedimento (fisico o comunque funzionale) di entità tale da determinare una oggettiva – e tendenzialmente duratura – impossibilità di prestare la dovuta assistenza (in tal senso, ad esempio, Sez. 1, n. 4748 del 12/12/2013, dep. 2014, Alvaro, Rv. 258143: “In tema di misure cautelari personali, sussiste il divieto di disporre o mantenere la custodia in carcere, ai sensi dell’art. 275, comma quarto, cod. proc. pen., nei confronti di un imputato padre convivente di prole di età inferiore ai sei anni, qualora la madre sia impossibilitata a dare assistenza al bambino versando in precarie condizioni di salute e dovendo provvedere anche alle necessità di altro figlio minorenne, portatore di una grave malattia”).
Tale situazione non ricorre nel caso di temporanea assenza dal domicilio della madre, allo scopo di prestare attività lavorativa, versandosi non già in una ipotesi di “assoluta impossibilità”, bensì di ordinaria necessità di conciliare, per alcune ore del giorno, l’esercizio dell’attività lavorativa con gli ordinari compiti di accudimento della prole; il carattere di “assolutezza” dell’impedimento, in altri termini, esclude che esso possa identificarsi con una mera condizione di fatto, vissuta peraltro dalla maggior parte dei nuclei familiari con prole.
Del resto, sul rilievo che la valutazione della situazione è rimessa al giudice di merito, essendo insuscettibile di sindacato di legittimità, allorquando immune da illogicità (Sez. 5, n. 33850 del 26/04/2006, Cascino, Rv. 235194: “In tema di misure cautelari personali, non è censurabile, in sede di legittimità, la decisione con cui il giudice di appello escluda, con motivazione idonea e pertinente, la gravità dell’impedimento richiesto dall’art. 275, comma quarto, cod. proc. pen., ai fini dell’operatività del divieto di custodia cautelare in carcere nei confronti dell’imputato padre di prole infratreenne – considerato che l’attività di lavoro svolta dalla madre non costituisce di per sé ostacolo tale da impedirle di attendere alla cura del minore, anche con l’eventuale aiuto di familiari disponibili o con il ricorso a strutture pubbliche abilitate”), va osservato che l’ordinanza impugnata ha evidenziato che la moglie dell’odierno ricorrente svolge la propria attività lavorativa con un contratto part-time al 60%, con un impegno limitato soltanto ad una parte della giornata ovvero ad alcuni giorni della settimana, con una condizione ben lontana dall’integrare l’assoluto impedimento (Sez. 5, n. 38067 del 05/04/2006, Greco, Rv. 235757: “In tema di misure cautelari personali, il divieto di custodia cautelare in carcere di cui all’art. 275, comma quarto, cod. proc. pen., previsto nei confronti dell’imputato padre di prole infratreenne qualora sussista l’assoluta impossibilità della madre di prestarvi assistenza non è automaticamente operativo qualora detta impossibilità sia costituita dall’attività lavorativa della madre, considerato che la valutazione della sua gravità costituisce questione squisitamente di merito che, in quanto sostenuta da motivazione idonea e pertinente, si sottrae al sindacato di legittimità (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha escluso la gravità dell’impedimento dovuto all’attività lavorativa svolta dalla madre – rilevandone il carattere di autonomia e di organizzazione imprenditoriale – idonea a consentirle una flessibilità di orari tale da garantirle sufficientemente l’adempimento della funzione assistenziale unitamente all’apporto, non surrogatorio ma di sostegno, di congiunti o di strutture pubbliche, capaci di ovviare ad eventuali occasionali assenze)”).
Del resto, al di là di generiche deduzioni sulle difficoltà di affidamento a strutture pubbliche, non risulta in alcun modo provata la totale assenza di alternative (asili, familiari, ecc.) idonee al provvisorio accudimento della prole (Sez. 4, n. 14582 del 26/03/2010, El Kori, Rv. 247131: “In tema di condizioni ostative all’applicazione della custodia cautelare in carcere, costituisce un onere del soggetto che invoca l’assoluta impossibilità della madre a dare assistenza alla prole l’allegazione delle ragioni idonee a comprovare l’effettiva sussistenza di questa situazione”).
3. Il secondo motivo, con il quale si censura il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, è manifestamente infondato.
Invero, premesso che la misura cautelare è stata emessa con riferimento a due condotte di importazione di ingenti quantità di cocaina (rispettivamente di 20 kg. e 46 kg.) dall’Olanda, con l’aggravante della transnazionalità, nelle quali il R. assumeva un ruolo di organizzatore e finanziatore, assorbente appare la considerazione che, avendo l’ordinanza impugnata escluso che ricorresse l’”assoluta impossibilità” di assistenza alla prole, coerentemente non ha motivato in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
Solo ove avesse ritenuto sussistente l’impossibilità assoluta, avrebbe dovuto individuare le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza per mantenere la misura custodiale di maggior afflittività.
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 1.500,00: infatti, l’art. 616 cod. proc. pen. non distingue tra le varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di inammissibilità dichiarata ex art. 606 cod. proc. pen., comma 3, sia nelle ipotesi di inammissibilità pronunciata ex art. 591 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente a norma dell’art. 94 comma 1 ter Disp. Att. cod. proc. pen..

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