Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 1 aprile 2014, n. 7531

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente
Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27707/2010 proposto da:
(OMISSIS) SPA (OMISSIS) in persona dei legali rappresentanti Avv. (OMISSIS) e Dr. (OMISSIS), (OMISSIS) SPA (OMISSIS) in persona del Direttore Generale e legale rappresentante Dr. (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentate e difese dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO (OMISSIS) SPA (OMISSIS) in persona del curatore fallimentare Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta mandato in calce;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1011/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 02/04/2010, R.G.N. 8641/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/02/2014 dal Consigliere Dott. GIOVANNI CARLEO;
Udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata in data 10.1.2005 il Fallimento (OMISSIS) S.p.a. conveniva in giudizio le (OMISSIS) Spa, la (OMISSIS) Spa, la (OMISSIS) Spa, la (OMISSIS) Spa e la (OMISSIS) Spa per sentirne dichiarare la responsabilita’ contrattuale in relazione ad una polizza assicurativa con le stesse stipulata e per ottenerne la condanna in solido al pagamento dell’indennizzo di euro 1.215.578,19 per i danni derivanti da un incendio occorso nel (OMISSIS) ad un suo capannone. In esito al giudizio, in cui si costituivano le (OMISSIS), la (OMISSIS), la (OMISSIS) e la (OMISSIS) eccependo in primo luogo la prescrizione del diritto e quindi l’improcedibilita’ della domanda, il Tribunale adito accoglieva l’eccezione di improponibilita’ dell’azione. Avverso tale decisione il Fallimento proponeva appello ed in esito al giudizio, in cui si costituivano le (OMISSIS), la Corte di Appello di Milano con sentenza depositata in data 2 aprile 2010 rigettava l’eccezione di improponibilita’ dell’azione e rimetteva la causa in istruttoria come da separata ordinanza. Avverso la detta sentenza le (OMISSIS) e la (OMISSIS) hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo. Resiste con controricorso il Fallimento.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unica doglianza, deducendo l’omessa, insufficiente o comunque contraddittoria motivazione, parte ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello ha ritenuto che le clausole nn. 18 e 19 delle Condizioni Generali di Assicurazione costituissero un sistema chiuso. Al contrario, tali clausole consentono di raggiungere lo scopo per cui sono dettate e cioe’ la quantificazione e la determinazione del danno, lasciando ad altre sedi la soluzione di tutti gli eventuali problemi giuridici inerenti il danno stesso. Cio’ posto, avendo le parti, in conformita’ alle condizioni generali, devoluto in via esclusiva alla procedura peritale la determinazione del danno rinunciando ad adire l’autorita’ giudiziaria ordinaria, la Corte ha errato nel ritenere proponibile la domanda giudiziale avanzata dal Fallimento.
La censura non coglie nel segno.
A riguardo, torna utile premettere che la motivazione della sentenza, sul punto che interessa il tema della doglianza, si fonda essenzialmente sulla considerazione che le clausole 18 e 19 delle Condizioni Generali di Assicurazione, richiamate dal primo giudice, si limitano a disciplinare solo l’iter fisiologico della procedura peritale, vale a dire la costituzione del collegio e il disaccordo tra i periti, ma non anche l’ipotesi – verificatasi nella fattispecie – di mancato funzionamento del collegio peritale. Cio’ determinerebbe – cosi’ continuano i giudici di secondo grado – una situazione di stallo, non superabile se non attraverso il ricorso all’autorita’ giudiziaria ex articolo 1349 c.c..
Ora, a parte l’erroneita’ del riferimento all’articolo 1349, sopra citato – norma applicabile in tema di arbitraggio e non gia’ di perizia contrattuale come quella che interessa la presente vicenda, in quanto presuppone l’esercizio di una valutazione discrezionale e di un apprezzamento secondo criteri di equita’ mercantile, inconciliabili con l’attivita’ strettamente tecnica dell’arbitro-perito – le ragioni della decisione appaiono chiare e meritano di essere condivise ove si soffermi l’attenzione sul contenuto della nota 2 in calce alla sentenza (pag. 3), in cui si chiarisce che la situazione di stallo era stata determinata dal fatto che, mentre il perito del Fallimento, ing. (OMISSIS), insisteva nella richiesta di determinazione dell’indennizzo, gli altri due periti, quello delle Assicurazioni ed il terzo, affermavano invece l’impossibilita’ di espletare l’incarico di accertamento del danno in quanto erano stati rimossi i detriti e non erano state conservate le tracce del sinistro.
Da tale circostanza, dal fatto cioe’ che, ad avviso della maggioranza dei periti (due su tre) la perizia contrattuale, finalizzata alla determinazione del quantum risarcibile, non potesse essere portata a compimento ed avesse quindi esaurito ogni ragione di utile continuazione, la Corte di merito e’ pervenuta alla conclusione che dovesse ritenersi legittimo il ricorso all’autorita’ giudiziaria. E cio’, al fine di consentire la necessaria tutela, cui aveva diritto il danneggiato. La soluzione adottata non merita censura.
Ed invero, se e’ indubbio che, nella clausola di un contratto di assicurazione, che preveda una perizia contrattuale (con il deferimento, ad un collegio di esperti, degli accertamenti da espletare in base a regole tecniche) e’ insita la temporanea rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto contrattuale, nel senso che, prima e durante il corso della procedura contrattualmente prevista, le parti stesse non possono proporre davanti al giudice le azioni derivanti dal suddetto rapporto, e’ altrettanto vero che l’obbligo della rinunzia alla tutela giurisdizionale non puo’ non ritenersi cessato quando l’espletamento della perizia non sia piu’ oggettivamente possibile per essere venuto meno, e definitivamente, l’oggetto, indispensabile, ai fini dell’accertamento peritale da espletare.
Ed e’ appena il caso di osservare come tale ipotesi non rientri affatto nelle previsioni dell’articolo 18, e dell’articolo 19 delle Condizioni Generali di Assicurazione, richiamate dalle parti ricorrenti, norme le quali si limitano a disciplinare casi assolutamente diversi, di disfunzione temporanea dell’attivita’ arbitrale, come possono verificarsi nell’ipotesi della mancata nomina di un proprio perito a cura di una delle parti: situazione risolvibile con la nomina di tale perito da parte del Presidente del Tribunale; nell’ipotesi di disaccordo tra i primi due periti su un punto controverso: situazione risolvibile con la nomina di un terzo perito; nell’ipotesi di rifiuto della sottoscrizione da parte di uno dei periti: situazione risolvibile con l’attestazione di tale rifiuto da parte degli altri due periti nel verbale definitivo di perizia.
In definitiva, alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, deve ritenersi che il percorso argomentativo della Corte territoriale non merita censure. Ed invero, i giudici di secondo grado sono pervenuti alla conclusione attraverso un iter assolutamente corretto e lineare rispetto al quale il preteso vizio di motivazione della sentenza, sia sotto il profilo della contraddittorieta’ che della insufficienza, non puo’ dirsi sussistente, apparendo la motivazione della Corte sufficientemente esaustiva, sia pure nella sua notevole sobrieta’, e non ravvisandosi nel ragionamento svolto alcun contrasto, tanto meno insanabile, tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione.
Ne deriva l’infondatezza della ragione di censura in esame. Ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo, alla stregua dei soli parametri di cui al Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in complessivi euro 20.200,00 di cui euro 20.000,00 per compensi, oltre accessori di legge, ed euro 200,00 per esborsi.

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