Cassazione 4Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 11 febbraio 2015, n. 3345

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 1 febbraio 2010, il giudice del tribunale di Rieti, sezione distaccata di Poggio Mirteto, dichiarò D.M. , C.R. e Ca.An. (oltre a numerosi altri soggetti) responsabili del reato di cui (capo A) agli artt. 81, 53 bis d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (ora art. 260 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152) per avere, il D. quale legale rappresentante della Masan srl, avente per oggetto sociale l’installazione e la gestione di impianti di depurazione e di smaltimento di rifiuti ed il trasporto per conto proprio e per conto terzi di rifiuti di ogni genere, fabbricazione di concimi e composti, il Ca. , quale procacciatore e responsabile del deposito di (omissis) della predetta Masan, e il C. , quale titolare della omonima ditta di espurghi, avente come oggetto sociale la raccolta e il trasporto di liquami, il D. e tale F. organizzato, ceduto, ricevuto, trasportato, illecitamente accumulato e smaltito, abusivamente gestito notevoli quantità di rifiuti; in particolare ricevevano in concorso con più trasportatori, fra cui C.R. , nell’impianto di compostaggio di (omissis) plurimi carichi di rifiuti costituiti da fanghi di depurazioni non compostabili, ai quali era attribuito un codice CER di comodo, dopo averne fatto risultare la fittizia lavorazione in loco, in assenza di alcun processo di trattamento ovvero limitando lo stesso ad una parziale miscelazione, cartolarmente declassificavano tali rifiuti facendoli uscire dall’impianto con D.D.T. (Documento di Trasporto) indicante “ammendante compostato”; quindi smaltivano parte dei suddetti rifiuti sversandoli sui terreni agricoli in concorso con i proprietari o inviandoli per il successivo insacchettamento e distribuzione ai punti vendita; il tutto al fine di conseguire un ingiusto profitto.
Il giudice condannò i suddetti imputati alle pene ritenute di giustizia, nonché al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili Provincia di Rieti e Legambiente Onlus, da liquidarsi in separata sede.
Assolse invece gli imputati dal reato di truffa contestato al capo E) perché il fatto non sussiste; li assolse da numerosi altri reati contestati perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, e dichiarò non doversi procedere in ordine ad altri numerosi reati contestati perché estinti per prescrizione.
2. La corte d’appello di Roma, con la sentenza in epigrafe, dichiarò non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine al residuo reato di cui al capo A) perché estinto per prescrizione e confermò le statuizioni civili.
In accoglimento poi dell’appello della parte civile Provincia di Rieti dichiarò gli imputati responsabili, ai soli effetti civili, del reato di truffa di cui al capo E) (nel frattempo anch’esso prescritto) e li condannò al risarcimento del danno relativo in favore della Provincia da liquidarsi in separata sede.
3. D.M. propone personalmente ricorso per cassazione deducendo:
1) nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 179, comma 1, cod. proc. pen. per omessa notifica del decreto che dispone il giudizio. Osserva che il tribunale, dopo aver rilevato la nullità della notifica del decreto che dispone il giudizio per violazione dell’art. 429 co. 4 c.p.p., disponeva che la notifica dell’atto venisse effettuata ai sensi dell’art. 161 co. 4 c.p.p., in palese violazione delle norme di rito che impongono, invece, di ottemperare a quanto previsto dall’art. 157 c.p.p.. Non vi era infatti l’impossibilità per l’ufficiale giudiziario della notifica che giustificasse l’esecuzione ai sensi dell’art. 161 co. 4 c.p.p.. La sentenza impugnata ha risposto a questa eccezione in modo tautologico, senza considerare che il vizio censurato attiene non alla procedura di cui all’art. 161, ma a quella di cui all’art. 157 c.p.p. non espletata correttamente.
2) nullità della notifica del decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 178 lett. c), cod. proc. pen. perché non è stata eseguita con la consegna nelle mani del difensore, bensì nelle mani del Sig. Fo.Ch.Le. , qualificato dall’ufficiale giudiziario come persona “capace e convivente” mentre è provato che era solo il portiere e che non era convivente. La motivazione della sentenza impugnata sul punto è apodittica e congetturale.
4. Ca.An. , a mezzo dell’avv. Alberto Russo, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che la corte d’appello ha omesso di considerare le dichiarazioni dei testi della difesa L. e Ca. , dalle quali risulta che Ca. non era il gestore dell’impianto di (OMISSIS) ma era semplicemente l’agente della Masan, e non aveva potere nell’attribuzione dei codici dei rifiuti; non poteva decidere dove mandare la roba; non aveva poteri in relazione allo stoccaggio ed alle movimentazioni dei rifiuti presenti a (omissis) . Sempre senza motivazione la corte d’appello ha invece conferito credibilità alle dichiarazioni emesse da un coimputato, interessato ad alleggerire la propria posizione processuale, che risultano quindi prive di riscontri logici o di fatto.
2) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale. Il Cantini doveva essere assolto dalla accusa di “traffico” (art. 53 bis) proprio perché non è risultato “strutturalmente” coinvolto.
5. C.R. , a mezzo dell’avv. Bruno Leporatti, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) nullità della sentenza impugnata per incompetenza per territorio del tribunale di Rieti; inosservanza dell’art. 8, in relazione agli artt. 9 e 24 cod. proc. pen. Osserva che il luogo di commissione del reato va individuato nel sito ove avveniva il definitivo smaltimento dei rifiuti oggetto del traffico illecito, posto che in esso si realizza quell’accumulo di ingenti quantitativi che sigla il perfezionamento del reato. Nella specie, dallo stesso capo di imputazione risulta che il luogo di definitivo smaltimento dei rifiuti di che trattasi non era l’insediamento della Masan s.r.l. posto in (OMISSIS) , mera stazione di trasferimento dei rifiuti (tant’è che si addebita agli imputati di aver ricevuto in detto insediamento i vari carichi di residui provenienti da diverse zone dell’Italia soprattutto centrale), ma i vari luoghi successivamente indicati nello stesso capo di imputazione, dopo il predicato verbale “smaltivano”. In tali località, quindi, si realizzavano i definitivi accumuli dei rifiuti che, mediante la loro reiterazione davano vita al perfezionamento del delitto di cui all’art. 260 d. lgs. 152/2006. Era quindi evidente l’incompetenza del tribunale di Rieti perché, volendosi qualificare il reato come permanente, il luogo di consumazione era da identificarsi, ex art. 8, comma 2, c.p.p., in (OMISSIS) ove si trova l’azienda agricola della sig.ra T.M. dove – fra il settembre 2002 ed il luglio 2003 – furono smaltiti oltre 3.200 me dell’ammendante compostato, ovvero, volendolo ritenere abituale, il luogo di consumazione andava individuato in quello dove avvenne l’ultimo dei molteplici fatti che lo compongono, ossia in (OMISSIS) ove si trova l’azienda agricola del M.M.A.G. , ove fra il maggio 2003 ed il luglio 2004, furono smaltiti oltre 6.700 m3 del detto ammendante compostato. Qualora non si fosse ritenuto di poter individuare la competenza territoriale in base ai criteri di cui all’art. 8 c.p.p., l’ultima soluzione era corrispondente al criterio evidenziato dall’art. 9, comma 1, del medesimo codice di rito, quale prima delle regole suppletive.
2) inosservanza degli arti 76, 78 e 122 cod. proc. pen.; inammissibilità della costituzione di parte civile di Legambiente Onlus, in quanto è stata effettuata, all’udienza preliminare del 23 novembre 2007, dall’avv. Cristina Michetelli, quale sostituto processuale dell’avv. Luca Petrucci, difensore e procuratore speciale della predetta associazione, senza che all’udienza fosse personalmente presente il legale rappresentante della stessa associazione.
3) inosservanza degli artt. 76, 78 e 122 cod. proc. pen. anche con riferimento agli artt. 1324 e 1362 cod. civ.; inammissibilità nei confronti dell’imputato C. della costituzione della parte civile Provincia di Rieti, in quanto effettuata dal difensore – nominato procuratore speciale del Presidente della Provincia – oltre i limiti della procura a lui rilasciata e, quindi, da soggetto privo di legittimazione ad causarvi nei riguardi del ricorrente.
4) mancanza e insufficienza della motivazione in ordine alla confermata responsabilità dell’odierno ricorrente per il reato di cui all’art. 53 bis d. lgs. 22/1997. Osserva che quando la sentenza di condanna di primo grado viene riformata in appello per essere estinto per prescrizione il reato, il giudice di appello è tenuto non alla generica affermazione di inesistenza di elementi che giustificano un pieno proscioglimento nel merito ex art. 129 c.p.p., bensì ad esaminare compiutamente le censure mosse con l’atto di appello alla sentenza di primo grado, per verificare, seppure con riferimento al giudizio di responsabilità valevole sotto il profilo civilistico, la correttezza e la tenuta della decisione di primo grado. Nella specie la corte d’appello ha adottato il criterio di individuare alcune parti comuni alle varie impugnazioni e sull’infondatezza di esse ha motivato – invero assai genericamente – e successivamente ha affrontato le tematiche singolari dei vari appelli. Per ciò che attiene la posizione del C. , il suo gravame è stato affrontato in complessive dodici righe di motivazione nelle quali, dopo aver rilevato che egli aveva ricoperto il ruolo di trasportatore di rifiuti da altri prodotti e di produttore, (e trasportatore) di rifiuti propri, la sua buona fede e la sua estraneità nella vicenda era esclusa dal tenore delle conversazioni telefoniche citate nella sentenza di primo grado. Sennonché nella specie le singole censure erano proposte con argomentazioni fra loro diverse e quindi la corte d’appello doveva esaminarle paratamente. Il C. con l’appello aveva impugnato tutti gli aspetti in base ai quali era stata dedotta la sua responsabilità ed affrontato compiutamente la problematica della compostabilità e della corretta attribuzione dei codici CER dei fanghi di depurazione provenienti sia dal Caseificio che dall’impianto di trattamento di acque reflue che il C. medesimo gestiva. Lamenta che in ordine agli specifici motivi di appello proposti dal C. la motivazione della sentenza impugnata è meramente apparente. In sostanza la corte d’appello ha apoditticamente affermato che il ruolo di trasportatore di rifiuti – che può essere svolto lecitamente – individuava la responsabilità dell’odierno ricorrente, senza aver preventivamente esaminato (e congruamente motivato) i motivi dell’appello che censuravano la decisione del tribunale nella parte in cui erroneamente qualificava illecita tale attività di trasporto.
5) inosservanza dell’art. 74, in relazione agli artt. 538 e 539 cod. proc. pen., e 578 in ordine alla domanda risarcitoria proposta la Legambiente Onlus; mancanza di motivazione. Lamenta che erroneamente è stata pronunciata condanna generica al risarcimento dei danni in favore di Legambiente Onlus esclusivamente in relazione al danno ambientale e senza che tale associazione nemmeno avesse dedotto l’esistenza di un concreto danno patrimoniale. La sentenza impugnata ha affermato l’esistenza di un danno risarcibile in capo a Legambiente sulla sola scorta della “natura programmatica dell’associazione Legambiente Onlus a porsi quale baluardo del rispetto delle regole ambientali (..)” e cioè finanche in assenza della mera prospettazione dell’esistenza di danni “ulteriori e diversi rispetto a quello della lesione dell’ambiente come bene pubblico”.
6) mancanza o manifesta illogicità della motivazione in riferimento all’accoglimento dell’appello proposto dalla parte civile Provincia di Rieti, nullità in parte qua della sentenza ex art. 522 c.p.p. stante l’inosservanza dell’art. 516 c.p.p. Censura la condanna generica al risarcimento dei danni in favore della Provincia di Rieti pronunciata dalla corte di appello per il delitto di cui al capo E) della rubrica, a seguito di impugnazione della parte civile della sentenza di primo grado nella parte in cui assolveva gli imputati da tale delitto per insussistenza del fatto. La corte d’appello dopo aver affermato la possibilità di ipotizzare un concorso formale fra il reato di cui all’art. 53 bis d. lgs. 22/1997 e quello di cui all’art. 640, comma 2, c.p. ha sinteticamente ritenuto che il ragionamento svolto dal primo giudice per pronunciare l’assoluzione degli imputati non appariva convincente e che non risultavano prove evidenti di innocenza degli imputati in relazione al reato sub a), sicché essi avevano falsamente attestato che i rifiuti fossero compatibili con l’attività di compostaggio e ne avevano ricavato un ingiusto profitto corrispondente al versamento della c.d. ecotassa. Ricorda che il giudice di appello che riformi totalmente la sentenza assolutoria di primo grado, è tenuto a dimostrarne in modo rigoroso l’incompletezza o l’incoerenza, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti. Nella specie la corte d’appello ha disatteso tale principio generale. Inoltre, l’assoluzione era stata pronunciata dal primo giudice in relazione al fatto come contestato e cioè in riferimento ad artifici e raggiri consistenti in (false) attestazioni di inesistenti processi di trattamento e recupero dei rifiuti che avevano provocato l’induzione in errore dei funzionari addetti al controllo. La corte d’appello ha operato una sostanziale modificazione del fatto contestato affermando che gli inganni che avrebbero portato alla disposizione patrimoniale in danno della Provincia di Rieti, erano rappresentati non dalle predette false attestazioni di processi di trattamento e recupero di rifiuti, bensì mediante la predisposizione di documenti di trasporto e certificati di analisi falsi, in tal modo variando uno degli elementi costituivi del reato di truffa e dando, quindi, luogo ad una modificazione dell’imputazione sulla quale in precedenza la difesa non aveva avuto alcun modo di interloquire.
Lamenta inoltre che la sentenza impugnata ha fondato la condanna al risarcimento del danno in favore dell’appellante Provincia di Rieti sulla affermazione che non risultano prove evidenti di innocenza degli imputati in relazione a tale ipotesi delittuosa l’art. 53 bis d. lgs. 22/1997) e nell’avere retratto da tale non evidenza di innocenza riferita al predetto delitto il convincimento della fondatezza dell’appello della parte civile proposto in ordine al delitto di truffa che non era contestato in concorso formale con il traffico illecito di rifiuti, ma autonomamente rispetto a quest’ultimo e con riferimento a condotte del tutto diverse da quelle che concretavano – nell’ipotesi accusatoria – il reato di cui all’art. 53 bis d. lgs. 22/1997.
Manca poi ogni motivazione in riferimento al contributo che il C. avrebbe dato alla commissione del reato.
Infine, è illegittima la condanna al risarcimento del danno in favore della Provincia di Rieti perché, a fronte di un’imputazione che esplicitamente contestava l’evasione della c.d. ecotassa, in riferimento a rifiuti pericolosi che sarebbero stati dagli imputati illecitamente smaltiti mascherandoli da compost, ha affermato la responsabilità (anche) del C. nonostante che la sentenza di primo grado, non impugnata da chicchessia sul punto, avesse escluso che tali fossero i residui trattati presso la Masan srl, essendosi conseguentemente formato un giudicato – quello assolutorio su tutte le imputazioni che presupponevano l’essere pericolosi i rifiuti de quibus – preclusivo all’accoglimento del gravame per il reato di truffa così come di contestato.

Motivi della decisione

1. I due motivi del ricorso del Dani ed i due motivi del ricorso del Cantini, pur non essendo certamente manifestamente infondati, sono irrilevanti e non possono essere accolti perché, quand’anche fossero fondati, non potrebbe comunque disporsi l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, dal momento che una tale statuizione sarebbe preclusa dalla già intervenuta e dichiarata prescrizione dei reati, non emergendo dagli atti in modo evidente cause di proscioglimento nel merito.
Quanto agli eventuali riflessi sulle statuizioni civili, queste ultime, come in seguito si vedrà, devono comunque essere annullate senza rinvio ed eliminate per altre assorbenti ragioni.
2. Le medesime considerazioni valgono anche per il primo e il quarto motivo del C. , perché il loro eventuale accoglimento, non potrebbe comunque portare ad un annullamento con rinvio stante la già intervenuta prescrizione dei reati.
3. Con gli altri motivi il C. censura, sotto diversi aspetti, le statuizioni civili. Tali motivi sono estensibili (ad eccezione del terzo) anche agli altri coimputati e sono fondati.
4. Con il secondo motivo viene censurata l’ammissibilità della costituzione di parte civile di Legambiente Onlus, in quanto essa era stata effettuata, all’udienza preliminare del 23 novembre 2007, dall’avv. Cristina Michetelli, quale sostituto processuale dell’avv. Luca Petrucci, difensore e procuratore speciale della predetta associazione, senza che l’avv. Michetelli fosse munito di procura speciale e senza che all’udienza fosse personalmente presente il legale rappresentante della stessa associazione.
Già nei preliminari del dibattimento di primo grado la difesa del C. aveva eccepito l’inammissibilità, per questo motivo, della costituzione di parte civile di Legambiente. Aveva invero osservato che, siccome la nomina del difensore e quella del procuratore speciale attengono a sfere diverse, l’una di natura ed ambito strettamente processuale e la seconda di natura ed ambito sostanziale, il nominato procuratore speciale non poteva sostituire altri a sé stesso per l’esercizio delle attività sostanziali a lui personalmente delegate dal mandante; inoltre, quand’anche la procura speciale conferita all’avv. Petrucci prevedesse la facoltà di nominare sostituti per eseguire l’incombente (il che non risultava dalla copia della procura in calce all’atto di costituzione di parte civile consegnata al difensore dell’imputato, stante la mancanza di una pagina dell’atto), tale previsione non avrebbe sanato l’irregolarità della costituzione perché effettuata da soggetto non legittimato sotto il profilo sostanziale. Ciò, in quanto in tale evenienza si sarebbe determinato il superamento dei limiti entro i quali l’art. 122 cod. proc. pen. consente (eccezionalmente) l’autenticazione da parte del mandatario della sottoscrizione del mandante posto che la possibilità di nominare altri procuratori concessa al difensore implicava un rilascio della procura non esclusivamente in favore di questo, talché l’autenticazione della sottoscrizione non poteva effettuarsi dal difensore che – a sua volta – delegava a terzi il compimento dell’attività, ma avrebbe dovuto essere compiuta ai sensi dell’art. 2703 c.c. solo da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato.
Tale eccezione venne rigettata dal giudice di primo grado per il motivo che la procura speciale rilasciata dal legale rappresentante di Legambiente Onlus in favore dell’avv. Petrucci contenesse per il nominato procuratore la facoltà di nominare sostituti, a loro volta muniti di procura, per eseguire la costituzione di parte civile.
Questa statuizione venne impugnata con l’atto di appello e la questione riproposta. La corte d’appello ha rigettato l’impugnazione sul punto affermando testualmente che “in questa sede possono essere richiamate le puntuali argomentazioni contenute nell’ordinanza emessa dal Tribunale il 4/6/08, già citata circa l’assenza di procura sociale ex art. 122 cpp. (stante la possibilità di delegare l’attività di costituzione da parte del soggetto titolare e la espressa previsione in tal senso contenuta ap. 25 dell’atto di costituzione”.
Si tratta però di affermazione che non può essere condivisa per le considerazioni già indicate nella sentenza di Sez. III, 6.12.2011, n. 2848 del 2012, T.A., che qui si condividono e di seguito si riportano. Questa sentenza mette in rilievo che, nel caso allora esaminato, i genitori della persona offesa avevano nominato loro procuratore speciale per costituirsi parte civile nel giudizio l’avv. G.C., il quale predispose la costituzione di parte civile in nome e per conto delle parti ma non esercitò l’azione civile prima dell’udienza, mediante notificazione dell’atto all’imputato, e non fu presente alla relativa udienza, nella quale si presentò invece l’avv. G.M. quale sua sostituta di udienza, in forza della relativa delega. In udienza, poi, l’avv. G.M. depositò l’atto di costituzioni di parte civile sottoscritto dall’avv. G.C.. Nella stessa udienza non erano presenti personalmente le persone che intendevano appunto costituirsi parte civile.
La suddetta sentenza ha quindi osservato che: “Orbene, sul punto la giurisprudenza di questa Corte è pacifica e costante (e non vi sono ragioni per disattenderla) nel senso che – oltre che personalmente – l’azione civile può essere esercitata soltanto da un procuratore speciale abilitato a costituirsi in nome e per conto del rappresentato, secondo le prescrizioni modali degli artt. 76, 78 e 122 cod. proc. pen., e non anche dal suo sostituto processuale (privo di procura speciale), il quale opera in maniera vicaria rispetto al difensore e non al procuratore speciale. Sono invero delegabili le attività defensionali e non i poteri di natura sostanziale. L’atto contenente la manifestazione di volontà del procuratore speciale di costituirsi parte civile poteva anche essere presentato prima dell’udienza ai sensi dell’art. 78, comma 2, cod. proc. pen., ma in tal caso avrebbe dovuto essere notificato all’imputato, il che nella specie non risulta essere stato fatto. In udienza, la manifestazione di volontà poteva essere resa solo dalle parti personalmente o da un loro procuratore speciale, mentre nella specie è stata fatta (sia pur depositando un atto a firma del procuratore speciale) da un soggetto che era semplice delegato del difensore e non aveva una procura speciale per il compimento della attività di natura sostanziale e non processuale.
“Sulla questione la giurisprudenza ha invero affermato che: Al sostituto del difensore compete l’esercizio dei poteri rientranti nell’ambito del mandato alle liti, e non spetta l’esercizio di quei poteri, di natura sostanziale o processuale, che la parte del processo può attribuire al proprio difensore con procura speciale. In particolare, al sostituto del difensore della persona offesa non spetta il potere di costituzione di parte civile, che la persona offesa o il danneggiato possono delegare ad un terzo o al difensore con apposita procura, eventualmente contenuta nello stesso atto con cui è rilasciato il mandato alle liti (Sez. IV, 13.5.2005, n. 22601, Fiorenzano, m. 231793); La nomina, da parte del difensore della persona offesa, ai sensi dell’ari 102 cod. proc. pen., di un proprio sostituto, non attribuisce a quest’ultimo il potere di costituirsi parte civile, rimanendo tuttavia salva la validità della costituzione ove questa avvenga in presenza della stessa persona offesa, nel qual caso essa deve ritenersi effettuata direttamente dal titolare del relativo diritto (Sez. III, 27.1.2006, n. 13699, Ibrahim, m. 234.742); Il sostituto processuale del procuratore speciale nominato dalla persona offesa non ha il potere di costituirsi parte civile, considerato che l’attribuzione al difensore del potere di costituirsi parte civile (legitimatio ad causam) costituisce istituto diverso dal rilascio del mandato alle liti (rappresentanza processuale), in quanto solo per quest’ultimo l’art. 102 cod. proc. pen. prevede la possibilità della nomina di un sostituto che eserciti i diritti e assuma i doveri del difensore, con la conseguenza che il sostituto processuale non è legittimato a esercitare l’azione civile nel processo penale; né tale difetto di legittimazione può essere, nella specie, sanato mediante la presenza in udienza della persona offesa, stante l’assenza di quest’ultima (Sez. V, 23.10.2009, n. 6680, Capuana, n. 246147); La nomina di un sostituto processuale (art. 102 cod. proc. pen.) attribuisce al sostituto i poteri derivanti al difensore dal mandato alle liti (rappresentanza processuale), ma non i poteri di natura sostanziale o processuale che la parte può attribuire al difensore, tra cui è da ricomprendere il potere di costituirsi parte civile, è delegabile solo dalla persona offesa o dal danneggiato, ma non dal procuratore speciale; tuttavia, l’assenza di legittimazione del sostituto processuale ad esercitare l’azione civile nel processo penale può essere sanata mediante la presenza in udienza della persona offesa, che consente di ritenere la costituzione di parte civile come avvenuta personalmente (Sez. V, 3.2.2010, n. 19548, Schirru, m. 247497)”.
Deve dunque confermarsi che non è possibile per il sostituto del difensore (procuratore speciale del danneggiato del reato) operare in udienza la costituzione di parte civile in assenza di una procura speciale e della stessa parte delegante.
Nella specie, quindi, la costituzione di parte civile di Legambiente va dichiarata illegittima (insieme alla relativa ordinanza ammissiva ed agli atti conseguenti) e perciò nulla e va quindi revocata, con conseguente annullamento delle statuizioni civili.
Peraltro, quand’anche non dovessero condividersi le precedenti considerazioni, le statuizioni civili dovrebbero ugualmente essere annullate per le ragioni che verranno di seguito indicate.
5. È fondato anche il terzo motivo, col quale si eccepisce l’inammissibilità nei confronti dell’imputato C. della costituzione della parte civile Provincia di Rieti, in quanto effettuata dal difensore – nominato procuratore speciale dal Presidente della Provincia – oltre i limiti della procura a lui rilasciata dal medesimo e, quindi, da soggetto privo di legittimazione ad causam nei riguardi del ricorrente C. . Il ricorrente aveva tempestivamente eccepito che dalla procura speciale stesa a margine dell’atto di costituzione di parte civile, risultava che l’avv. Federico Fioravanti era stato costituito procuratore speciale dal Presidente della Provincia al fine di avanzare pretese risarcitorie nel procedimento penale in questione giusta le deliberazioni della Giunta Provinciale di Rieti n. 279 del 12 luglio 2004 e n. 40 del 13 marzo 2007, allegate all’atto di costituzione. Pertanto, stante il testo della procura speciale e l’esplicito riferimento alle deliberazioni collegiali suddette, l’oggetto della procura e, quindi, quello del mandato attribuito all’avv. Fioravanti, doveva essere individuato per relationem al contenuto di tali deliberazioni. Con queste deliberazioni, però, la Giunta provinciale di Rieti determinava di costituirsi parte civile (delibera n. 279 del 12 luglio 2004) nei confronti degli amministratori della Masan, mentre con la successiva deliberazione (la n. 40 del 13 marzo 2007) la medesima Giunta confermava la sua precedente deliberazione meramente integrandola con l’aggiunta del numero del procedimento penale. Rilevava il ricorrente che quindi la volontà della Provincia di Rieti e conseguentemente la procura speciale data al difensore era quella di agire in via risarcitoria, mediante la costituzione di parte civile nei confronti degli amministratori della Masan s.r.l., locuzione certamente non definibile atecnica, né estensibile in via interpretativa, stante la sua inequivoca testualità, a soggetti diversi. Di qui l’illegittimità della costituzione di parte civile nei confronti del C. , il quale non era mai stato amministratore, legale o di fatto, della Masan s.r.l., né aveva mai avuto cariche o compiti entro di essa, come era reso evidente anche dall’esplicito tenore del capo di imputazione.
La corte d’appello ha respinto questa eccezione affermando apoditticamente che “al di là del riferimento testuale agli amministratori della MASAN, la volontà espressa nella delibera di Giunta fosse rivolta ad avanzare le pretese risarcitorie nei riguardi di coloro che con le loro condotte avessero contribuito a realizzare i reati che hanno danneggiato l’Ente territoriale suddetto”, senza però spiegare dove la procura speciale manifestasse tale espressa volontà. Esattamente il ricorrente ricorda che la procura speciale è un atto giuridico unilaterale, sicché per la sua interpretazione devono applicarsi, ex art. 1324 cod. civ., le norme in tema di interpretazione dei contratti e segnatamente gli artt. 1362 e segg. dello stesso codice. Secondo la giurisprudenza di questa Corte: “Nell’interpretazione dei negozi unilaterali tra vivi, non essendo utilizzabile il criterio della comune volontà delle parti né quello del loro comportamento complessivo, i criteri ermeneutici principali sono quelli del senso letterale delle parole, e dell’interpretazione complessiva delle clausole le une per mezzo delle altre” (Cass. civ., 29.1.2009, n. 2399). E se pure deve indagarsi l’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio, tale accertamento di fatto deve tener conto delle comuni regole ermeneutiche (prima fra tutte quella del senso proprio delle parole usate da tale soggetto), e soprattutto, deve essere fondato sugli elementi concreti rivelatori di tale intento risultanti dal testo del negozio, senza che la volontà del suo autore possa essere dedotta in considerazione della situazione su cui il negozio medesimo era destinato ad incidere o dal comportamento successivo del destinatario della procura.
La corte d’appello nella specie ha immotivatamente ritenuto di non poter dubitare che la volontà della Provincia di Rieti fosse quella di costituirsi parte civile nei confronti di tutti gli imputati del procedimento penale de quo, nonostante che la deliberazione della Giunta provinciale di Rieti testualmente si riferisse esclusivamente agli amministratori della Masan; e ciò in assenza nell’atto di qualsiasi elemento che consentisse di ricavare una tale volontà. Inoltre, le deliberazioni di Giunta erano state adottate successivamente all’adozione di misure cautelari nei confronti di numerosi indagati e non soltanto degli amministratori della Masan srl, sicché era bene a conoscenza della Provincia di Rieti che altri soggetti – diversi dagli appartenenti alla Masan – erano coinvolti nella vicenda. Illogicamente ed apoditticamente, quindi, la corte d’appello ha voluto da ciò dedurre una volontà di risarcimento nei confronti di tutti gli imputati anziché, al contrario, una precisa scelta di costituzione di parte civile nei confronti dei soli amministratori della società. Erroneamente dunque la corte d’appello ha ricavato la volontà dell’ente pubblico non dal contenuto concreto del negozio unilaterale de quo, ma dall’astratta possibilità di azione che l’ente stesso aveva nei riguardi di tutti gli imputati e dal fatto che la costituzione di parte civile era poi avvenuta nei confronti di tutti, promuovendo, quindi, a strumento di interpretazione del contenuto dell’atto il comportamento successivo alla procura posto in essere dal delegato che, invece, non avrebbe potuto essere utilizzato per ricostruire l’intento del delegante.
La costituzione di parte civile della Provincia di Rieti nei confronti del C. era quindi inammissibile e vanno quindi annullate le relative statuizioni.
6. Vanno esaminati anche il quinto ed il sesto motivo, che sono estensibili anche agli altri due imputati, e che concernono la stessa sussistenza di un danno risarcibile e quindi la possibilità per il giudice penale di pronunciare condanna generica al risarcimento.
Va invero ricordato che, valendo in proposito le regole civilistiche, il danno conseguente al reato, ivi compreso quello morale, per poter essere riconosciuto e liquidato dal giudice penale deve essere provato puntualmente sia nella sua effettiva sussistenza sia nel suo ammontare.
Difatti, la giurisprudenza di questa Corte, (v. in particolare, Sez. Un. civ., 11.11.2008, n. 26972) ha affermato che “il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. n. 8827 e n. 8828/2003; n. 16004/2003), che deve essere allegato e provato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l’evento dannoso, parlando di danno evento. La tesi, enunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 184/1986, è stata infatti superata dalla successiva sentenza n. 372/1994, seguita da questa Corte con le sentenze gemelle del 2003. E del pari da respingere è la variante costituita dall’affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo”. Insomma, “anche quando il fatto illecito integra gli estremi del reato la sussistenza del danno non patrimoniale non può mai essere ritenuta in re ipsa, ma va sempre debitamente allegata e provata da chi lo invoca, anche attraverso presunzioni semplici” (Sez. III civ., 12.4.2011, n. 8421, Rv. 617669), richiedendosi in ogni caso “che sussista da parte del richiedente la allegazione degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio” (Sez. Un. civ., 16.2.2009, n. 3677, Rv. 608130).
7. Il quinto e sesto motivo sono fondati.
Per quanto concerne il reato di truffa, la sentenza di primo grado aveva assolto entrambi gli imputati da tale reato perché il fatto non sussiste, sul rilievo che il reato stesso, così come contestato, non fosse neppure in astratto configurabile, non essendo ravvisabile un atto di disposizione patrimoniale della persona offesa.
La corte d’appello di Roma, invece, in accoglimento dell’appello della parte civile Provincia di Rieti, ha dichiarato gli imputati responsabili, ai soli effetti civili, del reato di truffa di cui al capo E) (nel frattempo anch’esso prescritto) e conseguentemente li ha condannati al risarcimento del danno derivante anche da tale reato da liquidarsi in separata sede. La corte d’appello, dopo avere affermato la astratta possibilità di ipotizzare un concorso formale fra il reato di cui all’art. 53 bis d. lgs. 22/1997 e quello di cui all’art. 640, comma 2, cod. pen. ha rilevato che il ragionamento svolto dal primo giudice per pronunciare l’assoluzione degli imputati “non appare convincente” e che “poiché non risultano prove evidenti di innocenza degli imputati in relazione a tale ipotesi delittuosa ma anzi emerge che i soggetti già ritenuti responsabili del reato sub a), con le loro rispettive condotte, tramite la predisposizione di documenti di trasporto e di certificati di analisi falsi, hanno contribuito […] a creare una falsa rappresentazione dei rifiuti da smaltire, facendo credere contrariamente al vero che essi fossero compatibili con l’attività di compostaggio e di ammendante per l’agricoltura, il che ha permesso loro di realizzare un ingiusto profitto, (corrispondente quanto meno al mancato versamento della ed ecotassa) con corrispettivo danno per la pubblica amministrazione interessata” ricorrevano i presupposti per affermare la loro responsabilità penale, sia pure ai soli fini civili, in relazione anche al reato di cui al capo E).
Orbene, esattamente il ricorrente ricorda che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, “il giudice di appello che riformi totalmente la sentenza di primo grado, sostituendo alla pronuncia di assoluzione quella di condanna dell’imputato, è tenuto a dimostrare in modo rigoroso l’incompletezza o l’incoerenza della prima” avendo quindi l’obbligo di “confutare specificamente, per non incorrere nel vizio di motivazione, le ragioni poste a sostegno della decisione riformata, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti” (Sez. Un., 12.7.2005, n. 33748). Questo principio, ovviamente, è valevole per tutti i casi di decisione di appello che ribalti quella assolutoria di primo grado quand’anche la riforma sia pronunciata per i soli interessi civili. Esso comporta che innanzitutto la motivazione della sentenza di appello deve incentrarsi sulla critica, esplicita, puntuale e pertinente, delle argomentazioni che il primo giudice aveva addotto a sostegno della sua decisione di proscioglimento.
È evidente come la sentenza impugnata non si sia attenuta a tale principi. Il giudice di primo grado aveva infatti ritenuto che il reato di truffa aggravata – per come contestato – non fosse neppure in astratto configuratale dal momento che nella specie “l’omissione dei controlli da parte dei funzionari della Provincia è successiva alla realizzazione del profitto — già avvenuta mediante l’evasione della c.d. ecotassa — e dunque non si pone in rapporto finalistico con la stessa. In altre parole, il conseguimento dell’ingiusto profitto in capo agli imputati non discende direttamente dall’atto dispositivo del soggetto passivo, ma è avvenuta in un momento precedente e l’omissione dei controlli è servita […] ad occultare un’evasione fiscale già avvenuta”. Il giudice di primo grado ha quindi spiegato, con dovizia di argomenti e con richiamo a fattispecie di reato simili, le ragioni del suo convincimento.
Ora, a fronte di tale articolata motivazione, è evidente che l’obbligo di confutarla specificatamente dimostrandone l’insostenibilità logica e giuridica, non può certamente ritenersi assolto con la semplice proposizione “il ragionamento non appare convincente”, seguito dalla citazione di una decisione di legittimità, peraltro inconferente alla fattispecie giacché il tribunale non aveva per nulla dubitato della possibilità che le due norme incriminatici potessero fra loro coesistere.
Esattamente poi il ricorrente osserva che l’assoluzione era stata pronunciata dal primo giudice in relazione al fatto come contestato e cioè in riferimento ad artifici e raggiri consistenti in false attestazioni di inesistenti processi di trattamento e recupero dei rifiuti che avevano provocato l’induzione in errore dei funzionari addetti al controllo e recupero di rifiuti. La contestazione, peraltro, era rivolta agli imputati “nei ruoli sopra descritti e nelle rispettive qualità personali di cui in precedenza” (e non con riferimento alle condotte contestate negli altri capi di imputazione). La corte d’appello, pertanto, è addivenuta alla riforma della sentenza assolutoria di primo grado operando una sostanziale modificazione del fatto contestato, e precisamente affermando che gli inganni che avrebbero portato alla disposizione patrimoniale in danno della Provincia di Rieti, erano rappresentati non dalle predette false attestazioni di processi di trattamento e recupero di rifiuti (che evidentemente si collocavano nella fase autorizzatoria e di attivazione dell’impianto di (omissis)), bensì mediante la predisposizione di documenti di trasporto e certificati di analisi falsi, in tal modo variando uno degli elementi costituivi del reato di truffa e dando, quindi, luogo ad una modificazione dell’imputazione senza consentire alla difesa di interloquire. Si tratta di una modificazione del fatto contestato inammissibile in appello, tanto più che l’impugnazione sul punto era stata proposta dalla sola parte civile e in assenza di gravame del pubblico ministero.
La motivazione è poi manifestamente illogica in quanto la corte d’appello ha, da un alto, fondato la condanna al risarcimento del danno in favore della Provincia sulla affermazione che “non risultano prove evidenti di innocenza degli imputati in relazione a tale ipotesi delittuosa” (art. 53 bis d. lgs. 22/1997), e, dall’altro lato, ha desunto da tale non evidenza di innocenza riferita a tale delitto, il convincimento della fondatezza dell’appello della parte civile proposto in ordine al delitto di truffa che in realtà (come risulta dalla stessa contestazione) non era contestato in concorso formale con il traffico illecito di rifiuti, ma autonomamente rispetto a quest’ultimo e con riferimento a condotte del tutto diverse da quelle che concretavano – nell’ipotesi accusatoria – il reato di cui all’art. 53 bis cit..
La statuizione della corte d’appello che – modificando quella assolutoria del primo giudice perché il fatto non sussiste – ha dichiarato gli imputati responsabili, sia pure ormai ai soli fini civili, del reato di truffa contestato al capo E), deve quindi essere annullata senza rinvio, con conseguente annullamento delle relative statuizioni civili.
8. Viene poi contestata – a parte la già rilevata inammissibilità della costituzione di parte civile di Legambiente Onlus – la stessa sussistenza di un danno risarcibile nei confronti delle parti civili e quindi la possibilità di emettere una pronuncia generica di risarcimento del danno.
Anche questo motivo è fondato. Nella specie, dalla sentenza impugnata appare che sia stato riconosciuto, a favore di entrambe le parti civili, il risarcimento per il ed danno ambientale. A questo proposito, deve però confermarsi la ormai costante giurisprudenza secondo cui “Spetta soltanto allo Stato, e per esso al Ministro dell’Ambiente, la legittimazione alla costituzione diparte civile nel procedimento per reati ambientali, alfine di ottenere il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell’interesse pubblico e generale all’ambiente. (In motivazione la Corte ha precisato che tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi comprese le Regioni e gli Enti pubblici territoriali minori, possono agire ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto da essi subito, diverso da quello ambientale)” (Sez. III, 21.10.2010, n. 41015, Gravina, Rv. 248707, con specifico riferimento ad una Provincia); “Spetta esclusivamente allo Stato (e, in particolare, al Ministero dell’Ambiente) la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati contro l’ambiente per ottenere il risarcimento del danno ambientale, inteso come interesse alla tutela dell’ambiente in sé considerato. (Nella specie la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna per il reato di deposito incontrollato di rifiuti in cui era stato riconosciuto, al Comitato regionale Legambiente della Puglia, il risarcimento del danno morale identificato nell’interesse storicamente e geograficamente circostanziato assunto dal sodalizio quale scopo statutario)” (Sez. III, 29.11.2011, n. 633 del 2012, Stigliani, Rv. 251906); “Anche a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (cosiddetto Testo Unico ambientale) che ha attribuito in via esclusiva la richiesta risarcitoria per danno ambientale al Ministero dell’Ambiente, le associazioni ecologiste sono legittimate a costituirsi parte civile al solo fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti dal sodalizio a causa del degrado ambientale, mentre non possono agire in giudizio per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica” (Sez. III, 11.2.2010, n. 14828, De Flammineis, Rv. 246812). Il Collegio ritiene di dover pienamente condividere e confermare tali decisioni, rinviando per brevità alle loro motivazioni. Del resto questo indirizzo è stato sostanzialmente confermato anche da quelle decisioni che hanno sottolineato come le associazioni ambientalistiche possono avere diritto al risarcimento del danno qualora dimostrino di aver subito un nocumento suscettibile di valutazione economica in considerazione degli eventuali esborsi finanziari sostenuti dall’ente per l’espletamento della attività di tutela (Sez. III, 21.6.2011, n. 34761, Memmo, Rv. 251283; Sez. III, 17.1.2012, n. 19439, Miotti, Rv. 252909).
Nel caso in esame non è stato nemmeno dedotto da nessuna delle due parti civili di avere subito un danno patrimoniale, il quale anzi è stato espressamente escluso dalla corte d’appello, laddove ha affermato che non è stata “raggiunta la prova di una danno da inquinamento ambientale a carico del territorio ricompreso nella Provincia di Rieti”, sottolineando quindi – esattamente – che permane la possibilità per le parti civili di dimostrare di aver subito un concreto pregiudizio patrimoniale nella competente sede civile, non essendo preclusiva la statuizione del giudice penale sull’inesistenza del danno.
9. Va infine rilevato che non si comprende bene se – con riguardo alla Provincia di Rieti – la corte d’appello, nel richiamare la sentenza di primo grado, abbia ritenuto anche la sussistenza di un danno all’immagine e se tale danno sia stato ritenuto coincidente od autonomo rispetto all’invocato danno ambientale. Difatti, la sentenza di primo grado aveva rilevato – anche con riferimento al danno all’immagine – che tale danno dovesse essere fatto rientrare nel danno patrimoniale di cui all’art. 2043 cod. civ. pur affermando subito dopo che era opportuno “rinviare la quantificazione del relativo risarcimento ad un separato giudizio civile, ove potranno essere effettuati accertamenti più approfonditi sulle concrete conseguenze ambientali derivate al territorio provinciale per effetto della illecita attività svolta presso lo stabilimento della Masan, conseguenze che necessariamente influenzano e connotano l’entità del diritto al risarcimento del danno all’immagine dell’ente territoriale”.
Dunque, sembra che il giudice abbia considerato il ed danno all’immagine come coincidente con il danno ambientale o abbia considerato il primo come un aspetto di quest’ultimo. Se così è, valgono le considerazioni dianzi svolte circa la non risarcibilità del ed danno ambientale in favore degli enti territoriali.
Se poi il giudice del merito avesse voluto ritenere trattarsi di un autonomo e distinto danno – che dovrebbe peraltro semmai ritenersi come danno non patrimoniale – va in proposito innanzitutto ricordato il principio, recentemente affermato, sulla base di ampia ed esaustiva interpretazione sistematica, dalla sentenza Sez. 3, n. 5481 del 12/12/2013, dep. 04/02/2014, Refatti, Rv. 259132, massimata nel senso che “Il danno subito dalla P.A. per effetto della lesione all’immagine è risarcibile solo qualora derivi dalla commissione di reati, anche comuni, posti in essere da soggetti appartenenti ad una pubblica amministrazione. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la risarcibilità del danno all’immagine arrecato da soggetti privi di qualifiche pubblicistiche ali Agenzia delle Entrate in conseguenza della commissione dei reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti e di emissione di fatture per operazioni inesistenti)”. Si rinvia qui per brevità alla estesa motivazione di questa sentenza, dove viene dettagliatamente spiegato come questa conclusione derivi dalla norma introdotta dall’art. 17, comma 30 ter, del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, nella l. 3 agosto 2009, n. 102, e dalla interpretazione adeguatrice che di essa ne ha dato la Corte costituzionale con la sentenza n. 355 del 2010, secondo la quale la norma dovrebbe essere “univocamente interpretata nel senso che, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste di responsabilità per danni all’immagine dell’ente pubblico di appartenenza, non è configurabile siffatto tipo di tutela risarcitoria”.
Non è necessario in questa sede approfondire la questione della risarcibilità in astratto del danno all’immagine in favore di un ente pubblico, e ciò perché, anche non aderendo alla tesi di cui alla sentenza appena citata, nel caso in esame non potrebbe comunque pronunciarsi sentenza, nemmeno generica, di condanna al risarcimento di un danno all’immagine in favore della Provincia di Rieti. Ed invero, anche ammettendo che un reato comune commesso da un privato arrechi danno all’immagine di un ente pubblico, alla stregua dei principi affermati dalla giurisprudenza dianzi ricordata al punto 6, per il suo eventuale riconoscimento dovrebbe comunque essere fornita la prova puntuale e rigorosa che esso si sia in concreto effettivamente verificato (oltre che della sua entità). Nella specie, invece, dalle sentenze di merito non risulta che la parte civile Provincia di Rieti abbia fornito alcun elemento di prova che possa dimostrare la concreta esistenza di un tale danno.
10. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente a tutte le statuizioni civili, che vanno eliminate. I ricorsi vanno invece rigettati nel resto.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili.
Rigetta i ricorsi nel resto.

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