Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 12 giugno 2014, n.24854

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 9 ottobre 2013 la Corte d’appello di Palermo ha respinto l’appello proposto da S.G. avverso sentenza del 11 gennaio 2012 con cui il Tribunale di Marsala l’aveva condannata alla pena di un mese di arresto e Euro 13.000 di ammenda per i reati di cui agli articoli 44, comma 1, lettera c), d.p.r. 380/2001 (capo a), 93 e 95 d.p.r. 380/2001 (capo b) e 181 d.lgs. 42/2004 (capo c) per avere in (omissis), senza permesso di costruire, in zona sismica e sottoposta a vincolo paesaggistico perché entro 150 metri dalla battigia, collocato su un terreno di sua proprietà un prefabbricato con ruote ma poggiante su supporti di ferro, adibito a civile abitazione.
2. Ha presentato ricorso il difensore, denunciando violazione degli articoli 20 L.R. Sicilia 4/2003 e 181, comma 1, d.lgs. 42/2004, nonché correlato vizio motivazionale. Si tratterebbe di opere esterne e precarie disciplinate dall’articolo 20 L.R. Sicilia 4/2003, da rimuovere dopo il temporaneo uso stagionale estivo, per cui non sarebbe stata necessaria autorizzazione né sarebbe stata applicabile la normativa antisismica. Inoltre, essendo stata l’imputata assolta l’imputata dal reato di cui all’articolo 734 c.p., tale assoluzione doveva estendersi anche al reato di cui all’articolo 181 d.lgs. 42/2004, non potendo comunque l’opera, in quanto precaria, neppure in astratto ledere il paesaggio.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato.
L’unico motivo si articola in effetti in due doglianze: l’opera posta in essere dalla imputata sarebbe stata un’opera precaria e dunque non necessitante di autorizzazioni né soggetta alla disciplina antisismica; la sua natura precaria, poi, ne avrebbe escluso la lesività rispetto al paesaggio, comportando quindi l’insussistenza del reato di cui all’articolo 181 d.lgs. 42/2004. Nessuna di tali doglianze tiene conto, si nota anzitutto, della adeguata motivazione offerta dal giudice d’appello a fronte di motivi di gravame del tutto analoghi. L’imputata, infatti, aveva negato che la struttura prefabbricata necessitasse del permesso a costruire e fosse sottoposta alle leggi antisismiche essendo soltanto precaria e provvista di ruote, e aveva altresì contestato che comportasse alcun nocumento al paesaggio. La corte territoriale ha confutato la prospettazione della appellante, evidenziando che le caratteristiche del manufatto – e in particolare il suo essere stabilmente infisso mediante supporti di ferro su una piattaforma in muratura, nonché completamente arredato e provvisto di impianto elettrico – ne precludevano la qualificazione come opera precaria, conducendo invece a definire il manufatto “stabilmente, infisso al suolo e destinato ad uso abitativo” così da condurre alle violazioni di cui ai capi a) e b) della imputazione. A proposito, poi, dell’invocata norma regionale di cui all’articolo 20 L.R. Sicilia 16 aprile 2003 n. 4, si osserva che questo disciplina: a) la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie; b) la realizzazione di verande, definite come “chiusure o strutture precarie relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra fabbricati”; c) la realizzazione di altre strutture, comunque denominate (come per esempio tettoie, pensiline e gazebo), che vengono assimilate alle verande, a condizione che ricadano su aree private, siano realizzate con strutture precarie e siano aperte da almeno un lato. La norma esclude che i suddetti manufatti siano aumento di superficie utile o di volume o modifica della sagoma della costruzione, qualificando strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere facilmente rimovibili, e dunque ponendo – nell’individuare alcune opere precarie non soggette, in via di eccezione, a permesso di costruire – un criterio strutturale (la facile rimovibilità) al di sopra del criterio funzionale dell’uso temporaneo e provvisorio, altrimenti rilevante. A parte l’applicabilità in termini rigorosi e restrittivi della suddetta normativa (cfr. Cass. sez. III, 16 marzo 2010 n. 16492 e Cass. sez. III, 26 aprile 2007 n. 35011), ne è evidente la non pertinenza nel caso di specie, dal momento che sia nell’ottica della facile rimozione, sia nell’ottica dell’alternativo criterio della stabilità funzionale il manufatto in questione non è qualificabile come opera precaria, secondo quanto si è visto essere stato accertato dal giudice di merito: pur dotata di ruote, l’opera è risultata infissa in una piattaforma di muratura mediante supporti di ferro, e comunque è risultata adibita ad un’utilizzazione permanente, visti il completo arredo e l’allacciamento elettrico. Il fatto, poi, che l’abitazione, seppure protratta a tempo indeterminato, sarebbe stata effettuata entro limiti stagionali non è sufficiente, secondo il criterio funzionale, a rendere l’opera precaria (da ultimo Cass. sez. III, 21 luglio 2011 n. 34763, per cui “non implica precarietà dell’opera e richiede, pertanto, il permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, potendo quest’ultima essere destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione”; conformi Cass. sez. III, 21 febbraio 2006 n. 13705 e Cass. sez. III, 19 febbraio 2004 n. 11880). Non è, in conclusione, discutibile la necessità dei titoli abilitativi che l’imputata omesso di procurarsi per il manufatto in questione, come pure del rispetto della normativa antisismica, risultando corretta l’applicazione delle relative discipline da parte della corte territoriale nel senso della sussistenza dei reati di cui ai capi a) e b) della imputazione.
Il secondo profilo del motivo si incentra sul reato di cui al capo c), adducendo anzitutto che sarebbe irragionevole non estendere ad esso l’assoluzione del reato di cui al capo d), cioè di cui all’articolo 734 c.p., perché quest’ultimo proteggerebbe un bene giuridico di maggiore rilevanza. L’argomento è meramente assertivo, e d’altronde dalla mera lettura delle due norme incriminatrici risulta evidente che l’una non assorbe l’altra, raffigurando due condotte distinte, delle quali quella di cui all’articolo 734 c.p. conduce a un reato di danno, cagionando una effettiva alterazione in senso negativo alle bellezze naturali, mentre quella di cui all’articolo 181 d.lgs. 42/2004 attiene ad un reato di pericolo, per non avere rispettato la necessità dell’autorizzazione paesaggistica in zona sottoposta a vincolo di tutela. Le due fattispecie, i pertanto, possono concorrere (v. Cass. sez. Ili, 28 marzo 2012 n. 14746, che proprio chiarisce la relazione tra i due suddetti reati insegnando che “il reato, formale e di pericolo, previsto dall’art. 181 D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, che, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, sanziona la violazione del divieto di intervento in determinate zone vincolate senza la preventiva autorizzazione, può concorrere con la contravvenzione punita dall’art. 734 c.p., che presuppone l’effettivo danneggiamento delle aree sottoposte a protezione”). La natura di reato di pericolo, infine, priva di consistenza anche l’ultimo aspetto della doglianza in esame, ovvero quello per cui l’opera non sarebbe idonea a pregiudicare il bene paesaggistico: conformemente la corte territoriale, di fronte al motivo di gravame per cui la condotta contestata sub c) non avrebbe creato alcun nocumento al paesaggio, ha risposto adducendo la natura suddetta di pericolo del reato e ricavandone il condivisibile rilievo che “la lesione al paesaggio viene presunta dalla legge in base alla sottoposizione della zona a protezione” senza necessità di un “deturpamento effettivo delle bellezze naturali”.
In conclusione, ogni doglianza della ricorrente risulta manifestamente infondata, per cui il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente stessa, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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