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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 13 febbraio 2014, n. 3364

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 19-29 marzo 2005 la s.p.a. Il Duomo Assicurazioni ha convenuto davanti al Giudice di pace di Milano J.Z., chiedendone la condanna al pagamento di € 1.329,87, importo di due rate di premio relative a due distinte polizze assicurative, scadute il 21 settembre 2004.
La convenuta ha eccepito l’incompetenza territoriale del giudice adito, eccezione a cui l’attrice ha aderito, sicché la causa è stata cancellata dal ruolo.
L’attrice non ha riassunto il processo nei termini, ma ha promosso un nuovo giudizio davanti al GdP di Pordenone, con atto di citazione notificato il 23 gennaio 2006, riproponendo la medesima domanda di pagamento dei premi scaduti.
La convenuta ha eccepito che il contratto di assicurazione doveva ritenersi risolto di diritto, ai sensi dell’art. 1901, 3° comma, cod. civ., per essere decorsi oltre sei mesi dalla scadenza dei premi; che pertanto, mentre la domanda inizialmente proposta davanti al giudice incompetente non poteva che avere ad oggetto il pagamento dei premi scaduti, a seguito della risoluzione l’assicuratrice poteva far valere solo il diritto al risarcimento dei danni, che l’art. 1901 commisura all’importo del premio per il periodo di assicurazione in corso, oltre al rimborso delle spese; che pertanto la domanda proposta aveva oggetto e causa petendi diversi da quella di cui all’atto notificato nel marzo 2005 e il diritto fatto valere doveva ritenersi estinto per prescrizione, essendo decorso oltre un anno dalla risoluzione del contratto.
Il GdP ha accolto la domanda attrice, respingendo ogni eccezione.
Proposto appello dalla Z., con sentenza 15 ottobre – 26 novembre 2007 n. 938, notificata il 30 gennaio 2008, il Tribunale di Pordenone ha confermato la sentenza di primo grado.
Con atto notificato il 31 marzo 2008 la Z. propone due motivi di ricorso per cassazione.
Resiste con controricorso l’intimata.

Motivi della decisione

1.- La sentenza impugnata ha motivato la sua decisione in base al fatto che si è effettivamente verificata la risoluzione di diritto del contratto di assicurazione, ai sensi dell’art. 1901 cod. civ., poiché la mancata riassunzione del processo iniziato a Milano e la proposizione della nuova domanda solo nel gennaio 2006, hanno fatto sì che si verificasse la decadenza di cui all’art. 1901, 3° comma, cod. civ.; che tuttavia la risoluzione di diritto non impedisce alla compagnia assicuratrice di agire per il pagamento delle rate scadute; che così deve interpretarsi la domanda proposta e che non si è verificata alcuna prescrizione del relativo diritto, essendo stato il termine annuale interrotto dalla citazione del marzo 2005 davanti al giudice incompetente.
2.- Con il primo motivo, denunciando violazione degli art. 99, 112, 115 e 116 cod. proc. civ., la ricorrente assume che erroneamente il giudice di appello ha fatto coincidere la domanda di adempimento del contratto di assicurazione con quella di risarcimento del danno conseguente alla risoluzione, mentre si tratta di domande diverse e la seconda è stata proposta oltre la scadenza del termine annuale di prescrizione.
Con il secondo motivo denuncia errata applicazione degli art. 2952 e 1901 3° comma cod. civ., nonché illogica motivazione, per il fatto che il g.a. ha omesso di considerare che la domanda di pagamento del premio ha diversa causa petendi, se proposta prima o dopo il decorso dei sei mesi dalla scadenza dei premi: nel primo caso si tratta di azione di adempimento; nel secondo di azione di risarcimento dei danni, cioè di azione diversa e diversamente disciplinata, ove si consideri che al pagamento non corrisponde la copertura assicurativa. Questa seconda azione va anch’essa proposta entro il termine annuale, che non può ritenersi interrotto dalla proposizione della domanda davanti al giudice incompetente, essendo quest’ultima una domanda diversa.
3.- I due motivi, che vanno congiuntamente esaminati perché connessi, sono manifestamente infondati.
In primo luogo, la somma richiesta dalla compagnia assicuratrice è la stessa, prima e dopo il decorso dei sei mesi. In entrambi i casi si tratta del pagamento dei premi scaduti il 21 settembre 2004, che sono anche i premi relativi al periodo in corso alla data dello scioglimento del contratto, non avendo Il Duomo Assicurazioni avanzato alcuna domanda di rimborso spese.
Ammesso che debba ritenersi diverso il titolo in forza del quale è stata emessa e poteva essere emessa la condanna al pagamento, si tratta di un mero problema di qualificazione giuridica della fattispecie, a cui il giudice può procedere di ufficio ed autonomamente (iura novit curia), qualora ciò non comparti l’esame di fatti nuovi e diversi da quelli dedotti in giudizio. La ricorrente non ha prospettato alcun fatto idoneo a differenziare, nel caso in esame, l’oggetto delle domande che assume diverse; né alcun personale e concreto interesse ad una tale differenziazione; né alcuna pur remotamente ipotizzabile compressione del suo diritto al contraddittorio, alla difesa, ecc., in relazione all’asserita diversità della domanda, sì da giustificare l’ipotetica preclusione del potere del giudice di accogliere la domanda sulla base di una diversa qualificazione del suo titolo giustificativo.
L’eccezione sollevata costituisce non più che un sofisma, od un mero cavillo, allo scopo di dare veste apparentemente decorosa all’eccezione di prescrizione: finalità che non solo non merita alcuna tutela, ma che neppure potrebbe trovare nel caso in esame giuridico fondamento.
Se fosse vero, infatti, che nel caso di specie la domanda di pagamento del premio relativo al periodo in corso è ontologicamente (anziché solo nominalmente) diversa dalla domanda di pagamento dei premi scaduti, il termine di prescrizione applicabile sarebbe quello di due anni, dovendosi far rientrare il diritto al risarcimento dei danni fra i “diritti diversi” di cui all’art. 2952 2° comma cod. civ. L’eccezione di prescrizione risulterebbe quindi   comunque infondata.
4.- Il ricorso deve essere rigettato.
5.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in € 2.400,00, di cui € 200,00 per esborsi ed € 2.200,00 per compensi; oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

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