cassazione 9

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 19 febbraio 2016, n. 3260

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25481-2011 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA, FALLIMENTO (OMISSIS) SPA, (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 3225/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/07/2010, R.G.N. 3755/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/11/2015 dal Consigliere Dott. CARLUCCIO Giuseppa;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’accoglimento del 3 motivo di ricorso, rigetto degli altri;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale, decidendo in ordine ad un sinistro stradale, ritenne la responsabilita’ esclusiva del conducente di un furgone ( (OMISSIS)), di proprieta’ della (OMISSIS) Spa. Riconobbe oltre euro 600.000,00, quale risarcimento del danno, al conducente della moto Honda ( (OMISSIS)), che nel sinistro era rimasto gravemente infortunato.

L’impugnazione, proposta in via principale dalla Assicurazione e in via incidentale dal danneggiato, si concluse con la sentenza della Corte di appello di Roma (del 21 luglio 2010), che ritenne la responsabilita’ concorrente dei due conducenti – per due terzi a carico di quello del furgone, per il restante terzo a carico del conducente della moto – determino’ il risarcimento nella minor somma di poco piu’ di euro 370.000,00.

2. Avverso la suddetta sentenza, il conducente della moto ha proposto ricorso affidato a tre motivi, esplicati da memoria.

Nessuna delle parti ha svolto difese.

In esito all’udienza pubblica del 13 febbraio 2015 e’ stata disposta la rinnovazione della notifica nei confronti di (OMISSIS); il ricorrente ha ritualmente provveduto a rinnovarla.

(OMISSIS) non si e’ difeso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con i primi due motivi di ricorso, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha riformato l’attribuzione della responsabilita’;

possono essere congiuntamente trattati per la loro stretta connessione.

Con il primo si deducono tutti i vizi motivazionali, la violazione dell’articolo 116 codice procedura civile e articolo 111 Cost.. Con il secondo, contraddittorieta’ della motivazione e violazione dell’articolo 40 codice penale.

I motivi non hanno pregio e vanno rigettati.

1.1. La Corte di merito e’ pervenuta al riconoscimento di una responsabilita’ concorrente del guidatore della moto attraverso una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie, che ha messo in collegamento con le conclusioni della consulenza tecnica in ordine alla velocita’ tenuta dalla moto, valutando criticamente quest’ultima.

Infatti, esaminati i rilievi effettuati al momento del sinistro e le testimonianze, ritenendole attendibili nella parte in cui riferivano de sopraggiungere in velocita’ della moto, ha riconsiderato i risultati della consulenza tecnica a proposito della velocita’ della moto. E’ vero, come riscontrabile dalla relazione del consulente (ritualmente richiamata ai sensi dell’articolo 366 codice procedura civile, n. 6) che – come sostiene il ricorrente – l’ipotesi del consulente di una velocita’ vicina ai valori massimi consentiti si fonda sull’applicazione di formule matematiche. Ma, e’ altrettanto vero che la valutazione del giudice di merito, nel senso di una velocita’ maggiore a quella consentita, non e’ arbitraria e trova fondamento nella valutazione diretta dei rilievi e delle testimonianze, contrapponendosi, quale valutazione in concreto, all’ipotesi astratta e teorica fondata sull’applicazione di formule matematiche. Ne’ puo’ assumere rilievo la circostanza che nei confronti del guidatore della moto non fu elevata sanzione per violazione del codice della strada.

In definitiva, trattandosi di ricostruzione delle risultanze istruttorie esente da omissioni e da vizi logici, la Corte di legittimita’ non puo’ che confermarla non potendo procedere ad una rivalutazione degli stessi fatti secondo la prospettiva favorevole al ricorrente.

1.2. Il ricorrente, poi, lamenta che la Corte di merito, una volta ritenuta la velocita’ eccessiva della moto, non si sia interrogata sulla sussistenza del nesso causale tra tale condotta e il sinistro, verificando se l’evento si sarebbe ugualmente verificato qualora il motociclista avesse rispettato il limite di velocita’. Se e’ vero che il giudice non si e’ interrogato specificamente sul punto, non di meno ha fatto corretta applicazione delle regole che governano il nesso di causalita’ materiale, secondo la giurisprudenza costante di legittimita’.

Ed infatti, secondo la regola della causalita’ adeguata o della regolarita’ causale, nell’ambito delle serie causali determinate dalla teoria della conditio sine qua non, secondo la quale, ferme le altre condizioni, e’ causato l’evento che non si sarebbe verificato senza quella condotta, assumono rilievo solo le serie causali che, nel momento in cui l’evento si produce, non appaiono del tutto inverosimili secondo le regole statistiche e probabilistiche. Nel caso di specie, ritenuta la velocita’ della moto non adeguata al luogo (superiore a quella consentita), l’evento risulta imputabile in concorso anche alla condotta del motociclista, essendo altamente probabile che una velocita’ rispettosa del limite avrebbe determinato l’evento con caratteristiche meno gravi.

2. Con il terzo motivo, in riferimento alla parte della sentenza che ha rigettato l’appello incidentale de ricorrente volto ad un incremento della quantificazione del danno non patrimoniale riconosciuto, si deduce la violazione dell’articolo 112 codice procedura civile quale omessa pronuncia, in violazione dell’articolo 2059 codice civile e articolo 185 codice penale.

2.1. Ai fini che ancora rilevano nella presente controversia, (OMISSIS) aveva proposto appello incidentale – come risulta dal ricorso che riproduce indicando le corrispondenti pagine dell’atto di appello, in ossequio all’articolo 366 codice procedura civile, n. 6 – impugnando la quantificazione che il giudice aveva fatto del danno non patrimoniale sotto il profilo del danno morale soggettivo. Danno parametrato dal primo giudice ad una percentuale (pari quasi a un terzo) del danno non patrimoniale da invalidita’ permanente e liquidato nell’ammontare di euro 100.000,00.

Aveva chiesto la riconsiderazione in aumento del danno morale, che avrebbe potuto essere sino ad 1/2 del danno da invalidita’ permanente (danno biologico per la lesione dell’integrita’ psicofisica); aveva quantificato in ulteriori euro 60.000,00 la somma richiesta; premesse le gravi conseguenze delle lesioni, che si erano tradotte in postumi permanenti nella misura del 60% (trauma cervicale, lussazione C5 e C6, trauma cranico, tetraplegia), aveva addotto la non congruita’ della somma liquidata a titolo di danno morale soggettivo, in considerazione della sofferenza psicologica patita nel prendere atto delle proprie condizioni fisiche di grave inabilita’ (confermate dal riconoscimento dell’invalidita’ civile al 100% in pendenza di gravame), che ne avevano stravolto le abitudini di vita in eta’ giovanissima; aveva invocato la integrante del risarcimento del danno non patrimoniale per tener conto della modifica della personalita’ che aveva comportato uno sconvolgimento dell’esistenza, delle abitudini di vita sotto l’aspetto della vita lavorativa, di relazione, affettiva e sessuale.

2.2. Nell’affrontare l’appello incidentale, la Corte di merito ha premesso che, secondo l’arresto delle Sez. Un. n. 26972 del 2008, il danno morale soggettivo non puo’ configurarsi come conseguenza immediata e diretta della durata e dell’intensita’ della lesione psicofisica, con la conseguenza che – quando non scompare del tutto – postula una “dimostrazione” e motivazione specifica. Ha rilevato che nella sentenza impugnata tale danno era stato quantificato (in misura ritenuta insufficiente dall’appellante incidentale) in rapporto al danno biologico secondo una certa proporzione aritmetica, quindi con un meccanismo escluso dalla giurisprudenza di legittimita’ menzionata. Ha concluso che, in assenza di appello (ndr da ritenersi appello principale), l’importo liquidato doveva essere confermato, ma doveva escludersi la elevazione richiesta, non ricorrendone i presupposti.

2.3. Il ricorrente censura la sentenza, deducendo: una sostanziale omessa pronuncia sul motivo di appello incidentale proposto, con corrispondente lesione delle norme che prevedono la risarcibilita’ del danno non patrimoniale anche sotto il profilo del danno morale; l’erronea interpretazione della decisione richiamata delle Sezioni Unite, dalla quale, invece, la richiesta di adeguamento dell’importo liquidato a titolo di danno morale soggettivo sarebbe rafforzata.

2.4. Il motivo e’ fondato e va accolto.

La Corte di merito ha sostanzialmente omesso di decidere in ordine all’appello incidentale proposto. Ha omesso ogni verifica sulla esistenza delle condizioni per valutare la congruita’ del danno “morale” liquidato e delle condizioni per riconoscerne o negarne l’aumento. Tanto, sulla base dell’erroneo presupposto che la liquidazione del danno morale soggettivo fatta dal giudice di primo grado attraverso l’individuazione di una proporzione percentuale del danno da lesione all’integrita’ fisica (cd. danno biologico) integrava la violazione del principio affermato dalle Sez. Un. cit., secondo il quale il danno morale soggettivo non puo’ configurarsi come conseguenza immediata e diretta della intensita’ della lesione psicofisica.

In definitiva, dalla circostanza che nelle sentenza impugnata era stato utilizzato un metodo di quantificazione equitativa del danno “morale” come frazione del danno biologico, ha fatto derivare l’esistenza di un automatismo (vietato sulla base della giurisprudenza richiamata) tra l’accertamento del danno per lesione del bene salute, costituzionalmente tutelato, (danno biologico) e il riconoscimento automatico della lesione di interessi inerenti la persona non presidiati dal suddetto diritto costituzionale alla salute. Interessi, meritevoli di tutela secondo l’ordinamento in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato, e, comunque, ricoliegabili all’articolo 2 Cost., quale diritto all’integrita’ morale come massima espressione della dignita’ umana.

In tal modo, quello che nella sentenza delle Sez. un. richiamata costituiva una mera esemplificazione, e’ divenuto, nell’errata interpretazione estrapolativa del giudice di merito, un principio generale consistente nel divieto dell’utilizzo di quel metodo di quantificazione del danno morale in senso stretto. Infatti, nella decisione di legittimita’ si metteva in evidenza che con l’utilizzo del metodo in argomento nelle tabelle allora in uso (precedenti alla pronuncia delle Sez Un.), spesso si perveniva ad una duplicazione, riconoscendo congiuntamente il danno biologico e il danno morale, in presenza della deduzione di degenerazioni patologiche delle sofferenze psichiche rientranti nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, anche psichica, per sua natura intrinseca, costituisce componente; degenerazioni che finivano per essere considerate per entrambi i profili di danno non patrimoniale, mentre all’evidenza rientravano solo nel danno biologico.

2.4.1. Invece, la questione che la corte di merito aveva di fronte sarebbe stata quella di verificare: quali pregiudizi non patrimoniali erano stati risarciti dal giudice di primo grado con la formula “danno morale”, attraverso la quantificazione in via equitativa effettuata con l’utilizzo di una percentuale del danno non patrimoniale a titolo di lesione della integrita’ psicofisica del danneggiato (conseguenze di un reato che aveva leso il bene costituzionale della salute); se era stata presa in considerazione solo la sofferenza soggettiva cagionata dal reato in se’, dando adeguato rilievo all’intensita’ e alla durata nel tempo ai fini della quantificazione; se era stata presa in considerazione la sofferenza morale determinata dal non poter fare, quale sofferenza psicologica patita dal danneggiato nel prendere atto delle proprie condizioni fisiche di grave inabilita’, che ne avevano stravolto le abitudini di vita in eta’ giovanissima, con modifica della personalita’ (che appaiono essere i pregiudizi dei quali l’appellante lamentava la mancata presa in considerazione da parte del giudice di primo grado).

2.4.2. In conclusione, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata e’ cassata in relazione e la Corte di merito, cui si rimettono anche le spese del presente giudizio, decidera’ l’appello incidentale proposto dal danneggiato in ordine alla quantificazione del “danno morale”, facendo applicazione del seguente principio di diritto nel valutare la decisione di prime cure: “Ai fini della quantificazione equitativa del danno morate, l’utilizzo del metodo del rapporto percentuale rispetto alla quantificazione del danno biologico individuato nelle tabelle in uso, prima della sentenza delle Sez. Un. n. 26972 del 2008, non comporta che accertato il primo, il secondo non abbia bisogno di alcun accertamento, perche’ se cosi’ fosse si duplicherebbe il risarcimento degli stessi pregiudizi; invece, il metodo suddetto va utilizzato solo come parametro equitativo, fermo restando l’accertamento con metodo presuntivo, attenendo la sofferenza morale ad un bene immateriale, dell’esistenza del pregiudizio subito, attraverso l’individuazione delle ripercussioni negative sul valore uomo sulla base della necessaria allegazione del tipo di pregiudizio e dei fatti dai quali lo stesso emerge da parte di chi ne chiede il ristoro”.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE

accoglie il terzo motivo del ricorso, che rigetta nel resto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

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