iva

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 2 aprile 2014, n. 15119

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo – Presidente
Dott. AMORESANO Silvio – rel. Consigliere
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (OMISSIS) nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 10.10.2013 del Tribunale di Foggia;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano;
sentite le conclusioni del P. G., dr. Francesco Salzano, che ha chiesto il rigetto del ricorso sentito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 10.10.2013 il Tribunale di Foggia rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di (OMISSIS) avverso il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal GIP presso il Tribunale di Foggia il 14.9.2013.
Premetteva il Tribunale che dagli atti trasmessi dal P.M. emergeva il fumus del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, non avendo l’indagato versato l’IVA per un valore di euro 608.178,00.
Tanto premesso, riteneva il Tribunale che correttamente il GIP avesse disposto il sequestro per equivalente sui beni mobili (tra cui i c/c) nella disponibilita’ dell’ (OMISSIS) fino alla concorrenza dell’importo non versato all’erario. Ne’ rilevava che alcuni dei cointestatari dei conti non fossero coinvolti nel reato, essendo i medesimi conti nella disponibilita’ dell’indagato.
In ordine all’eccezione relativa alla mancata indicazione di difensore di fiducia o d’ufficio nel decreto di sequestro preventivo, rilevava il Tribunale che trattasi di atto a sorpresa di cui non va data notizia prima dell’esecuzione.
Quanto alla mancata indicazione dei beni oggetto del sequestro, non vi era alcun obbligo da parte del Giudice, essendo sufficiente l’indicazione dell’importo complessivo rilevante ai fini della futura confisca.
Infine, quanto alla circostanza che in data 28.4.2011 la societa’ “La Sorgente” era stata posta in concordato preventivo (omologato il 19.10.2011 con nomina di un liquidatore), anche se il reato contestato riguardava l’imposta 2010 con scadenza per il pagamento il 27.12.2012, rilevava il Tribunale che le somme incassate a titolo di iva non erano nella disponibilita’ del contribuente e dovevano essere accantonate.
2. Ricorre per cassazione l’ (OMISSIS), a mezzo del difensore, denunciando la inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta applicabilita’ della confisca per equivalente nei reati tributari con riferimento sia al prezzo che al profitto del reato.
Con il secondo motivo denuncia l’inosservanza o erronea applicazione della legge processuale penale per la mancata indicazione del difensore di fiducia o d’ufficio nel decreto di sequestro preventivo.
Con il terzo motivo denuncia l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento alla mancata indicazione dei beni oggetto di sequestro.
Con il quarto motivo deduce l’inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 40 c.p..
Essendo stata la societa’ “La Sorgente” posta in concordato preventivo, omologato in data 19.10.2011, con nomina di un liquidatore giudiziale, l’indagato non aveva la disponibilita’ di somme per provvedere ai versamenti dell’imposta dovuta.
L’indagato pertanto e’ estraneo al fatto penalmente rilevante del mancato adempimento dell’obbligazione tributaria. Il Tribunale supera il rilievo difensivo, confondendo l’aspetto fiscale con quello penale (il reato si consuma, a prescindere dagli accantonamenti, solo al momento del’omesso versamento).
E, nel caso di specie, pacificamente, al momento dell’omesso versamento l’ (OMISSIS) non aveva la disponibilita’ delle somme necessarie per l’adempimento; ne’ comunque risulta che la pregressa gestione fosse volta all’evasione dell’iva (sul punto Cass. pen. sez. 3 n. 39082 del 9.4.2013).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi tre motivi di ricorso sono infondati.
1.1. Correttamente il Tribunale ha ritenuto che, in relazione ai reati tributari, la confisca per equivalente si applichi sia ai prezzo che al profitto del reato. La Legge n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, prevede che “nei casi di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10 bis, 10 ter, 10 quater e 11, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322 ter c.p.”.
Il richiamo in “toto” all’articolo 322 ter c.p. (senza specificazione di commi) rende applicabile la confisca per equivalente sia in relazione al prezzo che al profitto del reato. Del resto (cfr. sent. sezioni unite n. 41936 del 22.11.2005), analoga questione si e’ posta con riferimento all’articolo 640 quater, che rinvia, come la Legge n. 244 del 2007, articolo 1, all’articolo 322 ter, senza alcuna specificazione, ed e’ stata risolta nel senso che la confisca per equivalente si applichi anche in relazione al profitto del reato. Hanno affermato, infatti, le sezioni unite che “Il sequestro preventivo disposto nei confronti della persona sottoposta ad indagini per uno dei reati previsti dall’articolo 640 quater c.p., puo’ avere ad oggetto beni per un valore equivalente non solo al prezzo ma anche al profitto del reato, in quanto la citata disposizione richiama l’intero articolo 322 ter c.p.” (la giurisprudenza successiva e’ assolutamente conforme: ex multis Cass. sez. 1 n.30790 del 30.5.2006; sez. 2 n.10838 del 20.12.2006; sez. 2 n.23425 del 12.4.2007; sez. 6 n. 37090 del 30.5.2007; sez.6 n. 5401 del 28.1.2009).
In relazione piu’ specificamente ai reati tributari, e’ stato piu’ volte ribadito che il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente puo’ essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 35807 del 7.7.2010; Cass. pen. sez. 3 n.13276 del 24.1.2011).
Ne’ certamente tale interpretazione puo’ ritenersi in “malam partem” per il fatto che solo con la Legge 6 novembre 2012, n. 190, che ha riformulato l’articolo 322 ter c.p., sia stato richiamato espressamente anche il profitto del reato.
1.2. Il Tribunale ha, poi, ineccepibilmente ritenuto che, trattandosi di atto a sorpresa, non e’ prevista la nomina del difensore nel decreto di sequestro preventivo, ne’ tanto meno si deve dare preventivo avviso al difensore.
1.3. Anche in ordine alla individuazione dei beni da sottoporre a sequestro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ribadita anche di recente, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il giudice che emette il provvedimento ablativo e’ tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al “quantum” indicato nel sequestro e’ riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero” (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 10567 del 12.7.2012).
2. Fondato nei termini e nei limiti di seguito indicati e’, invece, il quarto motivo di ricorso.
2.1. Il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, ipotizzato a carico del ricorrente sanziona “chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo”.
Detto termine e’ individuato dalla Legge n. 405 del 1990, articolo 6, comma 2, come modif. dal Decreto Legge 28 giugni 1995, n. 259, articolo 3, conv. in Legge 8 agosto 1995, nel 27 dicembre dell’anno successivo al periodo di imposta di riferimento.
Altra cosa sono i versamenti periodici previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 100, articolo 1, commi 1 e 4, entro il giorno 16 di ciascun mese; in alcuni casi gli adempimenti possono avere scadenza trimestrale (Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articoli 73 e 74; Decreto del Presidente della Repubblica n. 342 del 1999, articolo 7, come rettificato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 435 del 2001, articolo 11, comma 4).
La sanzione per l’omesso versamento periodico dell’iva ha carattere amministrativo ed e’ stabilita dal Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, articolo 13.
Le Sezioni Unite di questa Corte, intervenendo sul contrasto giurisprudenziale esistente, con la sentenza del 28.3.2013, hanno aderito all’indirizzo maggioritario (cfr. anche Cass. Sez. 3 n. 25875 del 26.5.2010; contra Cass. Sez. 3 n. 18757/2012), affermando il principio che “il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, introdotto con la Legge 4 agosto 2006, n. 248, entrato in vigore il 4.7.2006, si applichi anche agli omessi versamenti dell’iva per l’anno 2005 e non versati alla scadenza del 27.12.2006, prevista dal citato articolo 10 ter”.
Secondo le Sezioni Unite, infatti, il reato si consuma al momento della scadenza del termine ultimo per l’adempimento, vale a dire il 27 dicembre dell’anno successivo (reato omissivo istantaneo). E’ con la scadenza di detto termine che l’omissione diventa penalmente rilevante.
Il legislatore ha, invero, ritenuto di lasciare al contribuente un lasso temporale ulteriore per il versamento di quanto dovuto all’erario prima di sanzionare penalmente l’omissione.
Le stesse Sezioni Unite, con la sentenza sopra ricordata, hanno affermato l’ulteriore principio di diritto che il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter) non si pone in rapporto di specialita’ ma di progressione illecita con il Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 13, comma 1, che punisce con la sanzione amministrativa l’omesso versamento periodico dell’imposta entro il mese successivo a quello di maturazione del debito mensile Iva, con la conseguenza che al trasgressore devono essere applicate entrambe le sanzioni.
2.2. Il Tribunale ha dato atto che la societa’ la Sorgente era stata posta in concordato preventivo fin dal 28.4.2011 e che tale concordato era stato omologato in data 19.10.2011, con la nomina di un commissario giudiziale, al quale incombeva il versamento dell’Iva per l’anno di imposta 2010 (previsto per il 27.12.2011).
Ciononostante ha ritenuto che l’ (OMISSIS) non fosse estraneo a tale incombenza in quanto le somme incassate a titolo di iva e destinate a essere versate all’erario non sono nella libera disponibilita’ del contribuente. Secondo il tribunale, quindi, l’ (OMISSIS), quale legale rappresentante della societa’ nel periodo previsto per i versamenti periodici, “ha inequivocabilmente fornito un contributo causale alla commissione del fatto creando materialmente i presupposti per il successivo omesso versamento”.
Ha, cioe’, ritenuto sussistente una sorta di “automatismo” tra l’omesso versamento periodico dell’iva (sanzionato come si e’ visto soltanto in via amministrativa) o l’omesso accantonamento della stessa, e la successiva consumazione del reato, entro il termine ultimo del 27 dicembre dell’anno successivo.
La sentenza di questa Corte richiamata, a sostegno della sua tesi, dal Tribunale (Cass. sez. 3 n.12268 del 19.2.2013), nell’affermare che il precedente amministratore della societa’ non poteva ritenersi, di per se’, estraneo alla commissione del reato (“potrebbe aver fornito un contributo causale alla commissione del fatto, creando materialmente i presupposti per il successivo omesso versamento”), demandava, pero’, al Giudice del rinvio di valutare l’effettiva incidenza della condotta posta in essere dai singoli soggetti coinvolti nell’amministrazione”. Tali principi sono stati ancor piu’ chiaramente affermati con la sentenza n. 39082 del 9.4.2013. Tale pronuncia, dopo aver ribadito che il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, e’ un reato istantaneo proprio, ha evidenziato che bisogna far riferimento al momento previsto per l’adempimento “per determinare il fatto consumativo”.
Per il soggetto non piu’ formalmente in “condizioni” di poter adempiere, bisogna accertare l’esistenza di “specifici elementi probatori… da cui desumere che la pregressa gestione fosse stata destinata all’evasione dell’iva ed a tale scopo fossero destinati i mancati accantonamenti ai quali l’ordinanza fa generico cenno (nulla si dice ad esempio dell’eventuale residuo di cassa trovato dal curatore e se la somma fosse o meno sufficiente, per l’esecuzione del pagamento o se vi fossero, nel passivo fallimentare, altri debiti aventi grado anteriore onde il pagamento si sarebbe palesato in violazione della par condicio), di talche’ l’omissione del versamento alla scadenza potesse essere ricondotto..(al ricorrente)… o al liquidatore”.
2.3. Il Tribunale, pur con i limitati poteri del riesame, non ha effettuato, in base agli atti, alcun accertamento in proposito. Non si fa, invero, il benche’ minimo cenno alle ragioni del mancato adempimento, da parte del liquidatore, del versamento dell’Iva alla scadenza del 27.12.2011; alla “situazione” della societa’ a quella data; alla gestione precedente; e se il mancato accantonamento delle somme fosse finalizzato all’evasione dell’iva.
L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Foggia.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Foggia.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *