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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 2 aprile 2014, n. 7697

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni B. – Presidente
Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19131/2010 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente limata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta mandato in calce;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tenore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 462/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 12/06/2009, R.G.N. 810/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31/01/2014 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARESTIA Antonietta che ha concluso per l’accoglimento.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 25 settembre 1990 (OMISSIS), nella qualita’ di erede del marito (OMISSIS), convenne innanzi al Tribunale di Cosenza la (OMISSIS), per ivi sentirla dichiarare tenuta al pagamento della indennita’ per invalidita’ permanente conseguente alle lesioni subite dal coniuge in seguito all’incidente verificatosi il (OMISSIS), con conseguente condanna della convenuta societa’ al pagamento, in suo favore, della somma di lire 800 milioni o di quella maggiore o minore ritenuta di giustizia.
Espose, a fondamento della domanda, che il (OMISSIS) aveva stipulato, il (OMISSIS), una polizza di assicurazione contro gli infortuni la quale prevedeva la liquidazione di un indennizzo senza deduzione di alcuna franchigia, in caso di invalidita’ pari o superiore al 20%, e di un indennizzo uguale all’intera somma assicurata, in caso di morte o di invalidita’ non inferiore all’80%; che il (OMISSIS) il marito era rimasto vittima di un grave incidente stradale a seguito del quale aveva riportato numerose lesioni; che lo stesso era poi deceduto il (OMISSIS).
Evidenzio’ quindi che la Compagnia assicuratrice, nonostante i numerosi solleciti, non si era attivata per sottoporre a visita l’assicurato ne’ aveva promosso la costituzione del collegio peritale previsto dal contratto di assicurazione, opponendo – a giustificazione del rifiuto di pagare – eccezioni pretestuose e per lo piu’ basate sull’articolo 17 delle condizioni generali del contratto, in tema di intrasmissibilita’ agli eredi dell’indennizzo per invalidita’ permanente, clausola, questa, da ritenersi vessatoria e inoperante perche’ non approvata specificamente per iscritto.
Con sentenza non definitiva del 25 marzo 1999 il giudice adito dichiaro’ il diritto dell’attrice alla corresponsione dell’indennizzo; quindi, con pronuncia del 28 luglio 2000 condanno’ la convenuta al pagamento in favore della (OMISSIS) della somma di Legge 280 milioni, oltre interessi dal 5 luglio 1989 al soddisfo.
Gravate entrambe le pronunzie da gravame principale di (OMISSIS) s.p.a., succeduta a seguito di fusione per incorporazione a (OMISSIS) s.p.a., cessionaria del ramo sinistri di (OMISSIS), e da gravame incidentale della (OMISSIS), la Corte di appello di Catanzaro con sentenza del 1 febbraio 2002, rigetto’ entrambi gli appelli.
Tale decisione, impugnata hinc et inde innanzi al Supremo Collegio, in accoglimento del ricorso principale della (OMISSIS), fu cassata con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro perche’ si uniformasse al seguente principio di diritto: in tema di assicurazione contro i danni, nel cui ambito deve essere ricondotta l’assicurazione contro gli infortuni, il debito di indennizzo dell’assicuratore, ancorche’ venga convenzionalmente contenuto, nella sua espressione monetaria, nei limiti di un massimale, configura debito di valore, non di valuta, in quanto assolve una funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell’assicurato, e, pertanto, e’ suscettibile di automatico adeguamento alla stregua della sopravvenuta svalutazione della moneta.
Riassunta la causa dalla (OMISSIS), il giudice del rinvio, con sentenza del 31 luglio 2009, ha condannato la societa’ assicuratrice al pagamento, in favore di (OMISSIS) detratti, in ogni caso, gli eventuali acconti gia’ corrisposti – della somma di euro 144.607,93, oltre: a) rivalutazione monetaria, secondo gli indici Istat, dalla data della domanda (5 luglio 1989) e fino alla sentenza di primo grado (28 luglio 2000); b) interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno, dalla data della domanda, fino alla sentenza di primo grado; c) ulteriori interessi legali, a partire da tale sentenza e fino al soddisfo.
Avverso detta pronuncia ricorre nuovamente per cassazione (OMISSIS), formulando due motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS) s.p.a..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 Con il primo motivo l’impugnante denuncia violazione dell’articolo 1224 cod. civ.. Il giudice di merito – sostiene – si era mosso nell’erronea prospettiva che, a far data dalla sentenza di primo grado, il debito di valore della societa’ assicuratrice si fosse trasformato in debito di valuta per effetto della liquidazione dell’indennizzo effettuata dal Tribunale di Cosenza, laddove costituiva ius reception che i debiti c.d. di valore – quali l’obbligazione risarcitoria da fatto illecito – si convertono in debiti di valuta solo nel momento in cui, passata in giudicato la sentenza che ha effettuato la liquidazione del danno, questa diventa definitiva, con conseguente assoggettamento del debito al principio nominalistico ai sensi dell’articolo 1224 cod. civ. (confr. Cass. civ. 11 marzo 2004, n. 4993).
Ne deriverebbe, ad avviso dell’esponente, che nella fattispecie, essendosi il debito di valore trasformato in debito di valuta con la liquidazione operata dalla Corte d’appello di Catanzaro, in sede di rinvio, fino a tale momento, dovevano essere riconosciuti, sulla somma liquidata a titolo di risarcimento, la rivalutazione e gli interessi di natura compensativa. Con il secondo mezzo la ricorrente deduce violazione dell’articolo 91 cod. proc. civ..
Oggetto delle critiche e’ la disposta compensazione delle spese sia del giudizio di cassazione che di quello di rinvio, in ragione dei contrasti giurisprudenziali esistenti sulle questioni controverse.
Secondo l’impugnante l’esistenza di tali contrasti sarebbe stata valida ragione per la compensazione delle spese del solo giudizio di cassazione, non gia’ anche di quelle del giudizio di rinvio, in cui non si ravvisava traccia del predetto contrasto, essendo stato lo stesso gia’ risolto dalla Corte Regolatrice. E invero, malgrado l’affermato principio di diritto, (OMISSIS) aveva pervicacemente continuato ad opporsi all’accoglimento della domanda.
4 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente, sono fondate.
Occorre muovere dalla considerazione che la rigidita’ del principio nominalistico sancito dall’articolo 1277 cod. civ. e’ temperata dalla distinzione, di matrice giurisprudenziale, tra debiti di valore, sottratti a quel principio, e debiti di valuta, ad esso soggetti.
Il debito e’ di valuta se l’oggetto della prestazione e’ origine una somma di denaro determinata o determinabile mediante una mera operazione aritmetica; ed e’ di valore se, per contro, non ha ad oggetto una somma liquida o agevolmente liquidabile, perche’ per individuare l’obbligazione che il debitore deve adempiere e’ necessaria una operazione di conversione in moneta del valore di un bene diverso dal denaro: e’ necessario, cioe’, monetizzare quel bene; ne deriva che, fino alla liquidazione definitiva, l’importo dovuto varia in dipendenza delle oscillazioni del “prezzo” del bene della vita considerato.
Il debito di valore, dunque, non e’ liquido. Esso si converte in debito di valuta solo al momento della liquidazione.
Tale distinzione assume rilievo ai fini della individuazione delle conseguenze derivanti dal ritardo nell’adempimento, perche’, con riferimento ai debiti di valuta, trova integrale applicazione l’articolo 1224 cod. civ., in base al quale il risarcimento del danno non coperto dagli interessi legali, ivi compreso quello determinato dall’erosione del valore della moneta, e’ subordinato alla prova della effettiva sussistenza e della entita’ di detto danno, di cui e’ onerato il creditore (con i temperamenti probatori e i meccanismi presuntivi introdotti da Cass. sez. un. 16 luglio 2008, n. 19499); invece nei debiti di valore e, in particolare, nelle obbligazioni risarcitorie, la quantificazione del danno patito dal creditore per effetto del ritardo nell’adempimento presuppone la determinazione dell’esatto ammontare della somma dovuta – id est la traduzione in termini monetari del valore del bene al momento dell’insorgere dell’obbligazione (c.d. taxatio) e la rivalutazione della stessa, da effettuarsi, anche d’ufficio (confr. Cass. civ. 28 gennaio 2013, n. 1889; Cass. civ. 25 febbraio 2009, n. 4587), con riferimento allo scarto temporale intercorrente tra il momento della nascita del rapporto e quello della liquidazione. Cosi’ individuata la sorte capitale, la somma da corrispondere, a titolo risarcitorio per il mancato, tempestivo adempimento, si determina mediante l’applicazione degli interessi (c.d. compensativi), in un coefficiente ritenuto adeguato secondo una valutazione equitativa, e quindi non necessariamente pari al saggio legale. E invero gli interessi compensativi costituiscono una mera modalita’ liquidatoria del danno da ritardo nei debiti di valore, di talche’ non e’ configurabile alcun automatismo nel riconoscimento degli stessi, posto che tale danno potrebbe, in tesi, non esistere o essere comunque gia’ coperto dalla somma liquidata in termini monetari attuali (Cass. civ. 9 ottobre 2012, n. 17155; Cass. civ. 24 ottobre 2007, n. 22347; Cass. civ. 25 agosto 2003, n. 12452.
5 Se tutto questo e’ vero, il momento in cui il debito di valore si converte in debito di valuta non puo’ che essere quello in cui diventa incontestabile la sua liquidazione, e cioe’ quello in cui diventa definitiva la sentenza che tale liquidazione effettua: sicche’ da quel momento, e non prima, ne’ dopo, vi e’ l’assoggettamento del debito al principio nominalistico, regolato dall’articolo 1224 cod. civ. (cfr. Cass. civ. 11 marzo 2004, n. 4993; Cass. civ. 24 ottobre 1986, n. 6231).
Precipitato logico di tali affermazioni e’ poi che non e’ la sentenza di appello che rende la liquidazione definitiva, ma il passaggio in giudicato della stessa, di talche’, ove la sentenza di appello sia, come in questo caso, cassata sul punto della rivalutazione monetaria, la determinazione del debito di valore e’ rimessa alla nuova decisione di merito, salvi gli importi eventualmente gia’ riscossi, nel corso del giudizio, in esecuzione spontanea o coatta, importi rispetto ai quali il riferimento va fatto al momento in cui il creditore ne abbia conseguito disponibilita’ (Cass. civ. 14 aprile 2011, n. 8507; Cass. civ. 8 marzo 2005, n. 5008; Cass. civ. 11 marzo 2004, n. 4993; Cass. civ. 16 febbraio 1984, n. 1167).
6 E’ il caso di aggiungere, per completezza, che non giova alla resistente societa’ assicuratrice il rilievo che, a suo dire, sia in citazione che nell’atto di gravame e in quello di riassunzione, l’istante aveva chiesto l’attribuzione di svalutazione e interessi fino all’effettivo soddisfo: non par dubbio infatti che il sintagma e’ indicativo di una domanda volta a conseguire il ristoro integrale del danno subito, considerato anche che la conversione del debito di valore in debito di valuta non pone fine alla storia, ma, come precedentemente detto, determina solo l’assoggettamento della somma dovuta alla disciplina dettata dall’articolo 1224 cod. civ..
7 Meritevoli di accoglimento sono anche le critiche alla disposta compensazione delle spese del giudizio di rinvio, essendo del tutto illogico il riferimento del decidente a un contrasto giurisprudenziale al quale aveva posto fine proprio la sentenza enunciativa del principio di diritto che la Corte territoriale era chiamata ad applicare, di talche’ la censura coglie nel segno, disvelando un vizio valutativo al quale occorre porre riparo.
8 In definitiva il ricorso deve essere integralmente accolto.
Non ostando alla decisione della causa nel merito la necessita’ di ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, in applicazione dell’articolo 384 cod. proc. civ., condanna (OMISSIS) s.p.a. al pagamento, in favore di (OMISSIS), della svalutazione monetaria, secondo gli indici Istat e degli interessi legali sull’importo di euro 144.607,93, rivalutato anno per anno, dalla data della domanda fino alla pubblicazione della presente sentenza, detratti gli acconti gia’ corrisposti; condanna altresi’ (OMISSIS) s.p.a. al pagamento delle spese del giudizio di rinvio e di quelle del giudizio di legittimita’ nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna (OMISSIS) s.p.a. al pagamento, in favore di (OMISSIS), della svalutazione monetaria, secondo gli indici Istat e degli interessi legali sull’importo di euro 144.607,93, rivalutato anno per anno, dalla data della domanda fino alla pubblicazione della presente sentenza, detratti gli acconti gia’ corrisposti; condanna altresi’ (OMISSIS) s.p.a. al pagamento delle spese del giudizio di rinvio, liquidate 3.120,00 (di cui euro 120 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge, nonche’ delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in complessivi euro 13.200,00 (di cui euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge.

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