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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 20 agosto 2013, n. 19220

Svolgimento del processo

Con sentenza del 16 maggio 2002 il Tribunale di Roma rigettava la domanda di risarcimento dei danni, che l’attore assumeva determinati dall’errore ascrivibile a colpa professionale medica, proposta da L.F. nei confronti di N.R. .
Il giudice di primo grado escludeva che l’esito dell’intervento medico di fotoablazione corneale ad entrambi gli occhi eseguito dal dott. N. potesse essere collegato eziologicamente a colpa professionale ritenendo che fosse, invece, da collegare a fattori estranei alla prestazione medica.
Avverso tale decisione il L. proponeva appello, cui resisteva l’appellato.
In particolare, l’appellante censurava la decisione di primo grado per erronea ricostruzione dei fatti, non essendo state riscontrate le varie manchevolezze poste in essere dal professionista prima (mancanza del consenso informato), durante (esecuzione contemporanea dell’intervento con laser su entrambi gli occhi) e dopo la prestazione (mancato controllo della fase post intervento).
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 30 novembre 2006, rigettava il gravame e compensava le spese del grado.
Avverso la sentenza della Corte di merito il L. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, il primo del quale è articolato a sua volta in tre profili.
Ha resistito con controricorso il N. .
Il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. – inserito nel codice di rito dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, applicabile, ai sensi del comma 2 dell’art. 27 del medesimo decreto legislativo, ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati dalla data di entrata in vigore dello stesso (2 marzo 2006) e successivamente abrogata dall’art. 47, comma 1, lett. d) della legge 18 giugno 2009, n. 69 a decorrere dal 4 luglio 2009 – in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (30 novembre 2006).
2. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia “omesso esame di un punto decisivo della controversia — mancata rilevazione degli errori del chirurgo prima, durante e dopo l’operazione – contraddittorietà della motivazione”.
2.1. Lamenta il L. che nella fase anteriore all’operazione il chirurgo avrebbe commesso due gravissimi errori, stante la mancanza di un consenso informato e dei preventivi esami di laboratorio e di routine necessari ed opportuni prima dell’intervento chirurgico e censura sostanzialmente la sentenza impugnata per insufficiente motivazione.
2.2. In relazione al primo profilo, deduce il ricorrente che nella motivazione della sentenza impugnata viene evidenziato che vi sarebbe stata da parte del chirurgo una informazione dei benefici, delle modalità d’intervento, della eventuale possibilità di scelta tra diverse tecniche operatorie e dei rischi prevedibili in sede operatoria avendo lo stesso L. rappresentato in citazione “di aver sottoscritto il foglio contenente l’informativa relativo all’intervento oculistico”, senza tuttavia considerare che tale foglio non era stato mai allegato agli atti del giudizio.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che quello prestato dal L. fosse un consenso cosciente, in quanto “proprio l’attività di avvocato svolta dal L. , deve ragionevolmente far presumere che il predetto prima di apporre la sottoscrizione abbia vagliato tutte le conseguenze, essendo pienamente edotto sull’importanza di tale sottoscrizione nell’economia del contratto di prestazione sanitaria”.
Assume il L. che, in realtà, nel caso all’esame, gli fu fatto sottoscrivere da una segretaria, nella penombra di una sala d’aspetto, un foglio prestampato senza che nulla gli fosse stato comunicato in relazione alla possibilità di un esito negativo dell’intervento, con conseguente limitazione della vista.
Contesta, pertanto, che si sia in presenza di un consenso informato e globale tale da indirizzare il paziente verso una scelta consapevole ed evidenzia che l’obbligo di informazione assume un contenuto autonomo rispetto all’obbligo principale della prestazione operatoria e va compreso tra gli obblighi di prestazione del chirurgo, sicché la sua violazione ha autonomo rilievo.
2.3. Il ricorrente censura inoltre la sentenza impugnata per non aver preso in considerazione le sue doglianze in ordine alla mancata esecuzione, da parte del chirurgo, di preventivi esami di laboratorio e di routine necessari ed opportuni prima dell’intervento e per non aver tenuto conto della grave negligenza del chirurgo, posta in rilievo dal consulente di parte, consistita nella mancanza di una cartella clinica.
2.4. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. il L. ha evidenziato che “la mancanza del consenso informato e la mancanza di esami di laboratorio preoperatori e della relativa cartella clinica costituiscono il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa e contraddittoria e comunque carente”.
2.5. Va evidenziato che il riportato c.d. quesito di fatto risulta sufficientemente articolato in relazione solo al dedotto mancato consenso, non risultando idoneo nel resto, stante l’estrema genericità della formulazione e rilevato che il ricorrente ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, trascrivendone pure il contenuto o le parti essenziali di esso rilevanti ai fini della decisione da adottarsi in sede di legittimità, onde dare modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (v., ex plurimis, Cass. 22 gennaio 2013, n. 1435 (v. anche in motivazione); né risulta indicato in ricorso (unico atto cui occorre far riferimento in ordine al requisito di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c, v. Cass. 3 luglio 2009, n. 15628; Cass. 7 febbraio 2011, 2966) quando sono state prodotte la consulenza di parte del prof. T. e le note critiche dello stesso e neppure sono riportati i brani di tali atti, cui si fa riferimento nell’illustrazione del motivo, relativi alle deficienze lamentate in ordine a preventivi esami e alla mancanza di una cartella clinica.
2.6. In relazione alle censure di cui al primo profilo del motivo all’esame, attinenti al lamentato difetto di consenso informato, osserva il Collegio che, secondo l’orientamento costante di questa Corte, costituisce violazione del diritto inviolabile all’autodeterminazione (artt. 2, 3 e art. 32, secondo comma, Cost.) l’inadempimento da parte del sanitario dell’obbligo di richiedere il consenso informato al paziente nei casi previsti (v. Cass. sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972; Cass. 9 febbraio 2010, n. 2847).
Come evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 438 del 2008, il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’art. 2 della Carta costituzionale, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della medesima Carta, i quali stabiliscono, rispettivamente, che “la libertà personale è inviolabile”, e che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Afferma, inoltre, il Giudice delle leggi che numerose norme internazionali prevedono la necessità del consenso informato del paziente nell’ambito dei trattamenti medici (v. art. 24 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176; art. 5 della Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata dall’Italia con legge 28 marzo 2001, n. 145; art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000). La necessità che il paziente sia posto in condizione di conoscere il percorso terapeutico si evince, altresì, da diverse leggi nazionali che disciplinano specifiche attività mediche (v. art. 3 della legge 21 ottobre 2005, n. 219, Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati; art. 6 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita; art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, Istituzione del servizio sanitario nazionale), il quale in particolare prevede che le cure sono, di norma, volontarie e nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se ciò non è previsto da una legge). Il diritto al consenso informato trova altresì fondamento, oltre che nell’art. 31 del Codice deontologico del giugno del 1995 (v. poi art. 30 del predetto codice del 3 ottobre 1998 e art. 35 di quello del 16 dicembre 2006), soprattutto nell’a priori della dignità di ogni essere umano, che ha trovato consacrazione anche a livello internazionale nell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione sulla biomedicina del 12 gennaio 1998, n. 168 (v. Cass. 26 luglio 2007, n. 16543).
Come ha sottolineato la Corte Costituzionale nella già richiamata sentenza, la circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione. Discende da ciò che il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute.
2.7. La responsabilità del sanitario per violazione dell’obbligo del consenso informato discende a) dalla condotta omissiva tenuta in relazione all’adempimento dell’obbligo di informazione in ordine alle prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente sia sottoposto b) dal verificarsi – in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa – di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente. Non assume, invece, alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, la circostanza che il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno. Sotto tale profilo, infatti, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica (v. Cass. 27 novembre 2012, n. 20984; Cass. 28 luglio 2011, n. 16543). In ordine alle modalità e ai caratteri del consenso, è stato affermato che il consenso deve essere, anzitutto, personale, deve, quindi essere prestato dal paziente (ad esclusione evidentemente dei casi di incapacità di intendere e volere del paziente); deve poi essere specifico e esplicito (Cass. 23 maggio 2001, n. 7027); deve essere, inoltre, reale ed effettivo, sicché non è consentito il consenso presunto; e deve essere, altresì, anche attuale, nei casi in cui ciò sia possibile (v. Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748).
Infine, il consenso deve essere pienamente consapevole, ossia deve essere “informato”, dovendo basarsi su informazioni dettagliate fornite dal medico. Tale consenso implica, quindi, la piena conoscenza della natura dell’intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative (Cass. 23 maggio 2001, n. 7027).
2.9. Essendo questi i principi da applicarsi in materia di consenso informato, risulta evidente che la motivazione al riguardo espressa dalla Corte di merito, in quanto sostanzialmente fondata soltanto su un argomento di natura presuntiva (l’attività di avvocato svolta dal L. dovrebbe, ad avviso della Corte territoriale, far presumere che lo stesso prima di apporre la sottoscrizione al modulo abbia vagliato tutte le conseguenze, essendo pienamente edotto sull’importanza di tale sottoscrizione nell’economia del contratto di prestazione sanitaria), non risulta assolutamente sufficiente, tenuto conto che da tale circostanza non può desumersi che il consenso prestato sia stato nella specie effettivamente informato nel senso sopra evidenziato, cioè prestato sulla base di una adeguata ed esplicita informazione, anche alla luce delle circostanze del caso concreto, in cui, in particolare, il foglio prestampato contenente l’informativa relativa all’intervento pacificamente non è stato prodotto agli atti, sicché non è dato conoscerne il contenuto, ed é stato fatto sottoscrivere da una segretaria nell’imminenza dell’operazione.
Si osserva che la finalità dell’informazione che il medico è tenuto a dare è, come si rileva da quanto già in precedenza posto in rilievo, quella di assicurare il diritto all’autodeterminazione del paziente, il quale sarà libero di accettare o rifiutare la prestazione medica (v. anche Cass. 9 febbraio 2010, n. 2847).
È, pertanto, irrilevante la qualità del paziente al fine di stabilire se vi sia stato o meno consenso informato, potendo essa incidere solo sulle modalità di informazione, in quanto l’informazione deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone. Il consenso deve però essere sempre completo, effettivo e consapevole ed è onere del medico provare di aver adempiuto tale obbligazione, a fronte dell’allegazione di inadempimento da parte del paziente (Cass. 27 novembre 2012, n. 20984; Cass.28 luglio 2011, n. 16453 e Cass. 9 febbraio 2010, n. 2847).
2.10. Le doglianze del ricorrente di cui al primo motivo lettera A) sono, quindi, fondate in relazione a tale solo profilo, non essendo condivisibili le argomentazioni in base alle quali la Corte di merito ha ritenuto nella specie sussistente un consenso informato e, soprattutto, non essendo le stesse idonee e sufficienti a sorreggere la decisione adottata al riguardo, sicché il Giudice del rinvio dovrà riesaminare la vicenda in questione con riferimento al predetto ambito.
3. Risultano, invece, inammissibili le ulteriori doglianze rappresentante dal ricorrente nel primo motivo alla lettera B), in cui si lamenta un altro grave errore asseritamente commesso dal prof. N. nell’aver il predetto eseguito l’intervento contemporaneamente ad entrambi gli occhi e si censura la sentenza impugnata per non aver tenuto conto di quanto evidenziato al riguardo dal consulente di parte, prof. T. , nonché alla lettera C), in cui si deduce la mancata assistenza post-operatoria, avendo il N. , andato in vacanza, affidato il paziente ad un giovane assistente che avrebbe prescritto una terapia cortisonica locale che, secondo il predetto consulente di parte, avrebbe provocato solo risultati negativi.
3.1. Entrambe le censure, infatti, non sono assistite da un idoneo c.d. quesito di fatto, avendo il ricorrente, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., in relazione alla prima, indicato che “il precedente paragrafo evidenza il fatto controverso in relazione al quale si assume il vizio di motivazione della sentenza impugnata” e, in relazione alla seconda, precisato che “la mancata assistenza post-operatoria costituisce il fatto controverso in relazione alla quale la motivazione si assume omessa, insufficiente e controversa”.
3.2. Ed invero é stato affermato da questa Corte che é inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., per le cause – come quella all’esame -ancora ad esso soggette ratione temporis, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la ratio che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla suprema Corte, la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (v. Cass., 18 novembre 2011, n. 24255).
Nel caso di specie il requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c. risulta solo apparentemente rispettato, mancando, in relazione a quanto dedotto sotto la lettera B), perfino la chiara indicazione sintetica, evidente ed autonoma (indicata invece dal ricorrente per relationem) del fatto controverso rispetto al quale si assume che la motivazione della sentenza sia viziata, e difettando, rispetto ad entrambe le doglianze all’esame, l’indicazione delle ragioni per le quali i dedotti vizi della motivazione renderebbero quest’ultima inidonea a giustificare la decisione, necessitando a tal fine, in particolare, la enucleazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso nel quale ciò risulti in modo non equivoco.
3.3. A tanto deve aggiungersi che le censure di cui alle predette lettere B) e C) del primo motivo di ricorso difettano anche di autosufficienza, non essendo stato indicato in quali atti il consulente di parte, prof. T. , abbia evidenziato le circostanze evidenziate nelle medesime censure, né quando tali atti siano stati prodotti e neppure sono stati riportati i brani degli stessi relativi alle questioni cui si fa riferimento nell’illustrazione del motivo.
4. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta insufficienza e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui esclude l’esistenza del nesso causale.
4.1. Il motivo è inammissibile.
4.2. A conclusione dell’illustrazione del motivo all’esame il ricorrente si è limitato ad affermare che “il paragrafo che precede contiene il requisito di inammissibilità del presente motivo di ricorso per cassazione richiesto dall’art. 366 bis c.p.c.”.
Manca, quindi, la formulazione del c.d. quesito di fatto e vanno in questa sede reiterate le osservazioni già espresse nel p. 3.3.
5. Con il terzo motivo il ricorrente deduce che, “tenuto presente il principio della soccombenza ed avuto riguardo al comportamento processuale delle parti, l’accoglimento del ricorso comporterà necessariamente la condanna del resistente alle spese di tutti i gradi del giudizio”.
5.1. Il motivo, peraltro privo del quesito ex art. 366 bis c.p.c., va disatteso in quanto non muove censure alla sentenza impugnata ma fa riferimento ad un ipotizzato e sperato accoglimento del ricorso e, quindi, ad una ipotizzata e sperata cassazione della sentenza impugnata che, oltre tutto, travolgerebbe la pronuncia sulle spese. Ed invero il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta la necessità dell’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e dell’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione (Cass. 25 settembre 2009, n. 20652). Tali requisiti difettano nel caso di specie per quanto sopra evidenziato.
6. Conclusivamente, va accolto, nei limiti sopra indicati, il solo primo motivo, mentre vanno rigettate le ulteriori doglianze sollevate con il ricorso all’esame.
La sentenza impugnata è cassata in relazione alla censura accolta.
La causa é rinviata alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.
Il Giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, per quanto di ragione; rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

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