cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 20 febbraio 2015, n. 3387

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni B. – Presidente

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25147/2013 proposto da:

(OMISSIS) ((OMISSIS)), (OMISSIS) ((OMISSIS)), (OMISSIS) ((OMISSIS)) e (OMISSIS) ((OMISSIS)), che agiscono iure proprio e iure hereditatis quali familiari ed eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) S.P.A. ((OMISSIS)) (gia’ (OMISSIS) gia’ (OMISSIS) S.P.A.), a mezzo della propria mandataria e rappresentante (OMISSIS) S.C.P.A. in persona dei suoi procuratori speciali (OMISSIS) e (OMISSIS) elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

(OMISSIS) ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3467/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/06/2013, R.G.N. 5628/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/12/2014 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega non rituale e non autorizzato a discutere;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso p.q.r..

RITENUTO IN FATTO
1. – (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali familiari ed eredi di (OMISSIS), agivano in giudizio, nei confronti dell’ (OMISSIS) S.p.A. e di (OMISSIS), per conseguire il risarcimento dei danni patiti, iure proprio e iure hereditatis, a seguito del sinistro stradale occorso il (OMISSIS), allorquando lo (OMISSIS), conducente del motociclo assicurato presso la predetta compagnia, investiva il loro congiunto (OMISSIS) nel mentre questi stava attraversando la strada, causandogli gravi lesioni personali, in conseguenza delle quali decedeva circa sette mesi dopo la data del sinistro.
1.1. – L’adito Tribunale di Roma, con sentenza del maggio 2007 resa nel contraddittorio delle parti, dichiarava lo (OMISSIS) responsabile del sinistro nella misura del 50% e condannava i convenuti, in solido tra loro, al pagamento della somma di euro 99.727,18 in favore di (OMISSIS) (di cui euro 5.727,18 a titolo di danno biologico e morale iure proprio, euro 44.000,00 a titolo di danno morale da morte ed euro 50.000,00 per la quota di 1/2 del danno biologico e morale del de cuius), della somma di euro 96.767,00 in favore di (OMISSIS) (di cui euro 2.727,50 a titolo di danno biologico e morale iure proprio, euro 44.000,00 a titolo di danno morale da morte ed euro 50.000,00 per la quota 1/2 del danno biologico e morale del de cuius), della somma di euro 32.7767,50 in favore di (OMISSIS) (di cui euro 2.727,50 a titolo di danno biologico e morale iure proprio, euro 30.000,00 a titolo di danno morale da morte), della somma di euro 8.551,43 in favore di (OMISSIS) (di cui euro 12.741,00 a titolo di danno biologico e morale iure proprio, euro 55.000,00 a titolo di danno morale da morte ed euro 810,43 a titolo di rimborso spese), oltre al pagamento della meta’ delle spese del giudizio, compensando la restante meta’.
2. – Avverso tale sentenza proponevano appello (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), al quale resistevano l’ (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS); con sentenza resa pubblica il 12 giugno 2013, la Corte di appello di Roma rigettava l’impugnazione, confermando in toto la sentenza gravata, della quale condivideva “integralmente la ricostruzione del fatto”.
2.1. – La Corte territoriale – sul primo motivo di appello concernente la responsabilita’ del sinistro stradale – ribadendo l’applicazione dell’articolo 2054 c.c., comma 1, operata dal primo giudice, osservava che, mentre lo (OMISSIS) non aveva vinto la presunzione legale a suo carico, risultava evidente il concorso di colpa del danneggiato, posto che questi aveva “intrapreso l’attraversamento della strada, in mancanza di strisce pedonali, senza avvedersi (o, peggio ancora, avvedendosi, ma procedendo comunque) del sopraggiungere del veicolo, il quale aveva la precedenza e viaggiava a velocita’ sicuramente assai moderata, come si desume dalla circostanza che esso e’ stato rinvenuto fermo in immediata prossimita’ del corpo del (OMISSIS)”, la’ dove, inoltre, l’imprudenza della condotta del pedone era resa piu’ rilevante dal fatto che “l’incidente ha avuto luogo intorno alle sei di sera di un giorno di novembre, dunque in condizioni di scarsa visibilita’, aggravate dalla pioggia”.
2.2. – In ordine al secondo motivo di gravame (riguardante il danno psichico patito dai congiunti del defunto), il giudice di appello osservava che, dalla relazioni tecniche richiamate dagli appellanti, emergevano a carico di questi ultimi “disturbi (ansia, rabbia, depressione, senso di estraneita’, perdita di punti di riferimento, insicurezza, angoscia, vertigine, e cosi’ via)”, i quali assumevano “senz’altro rilievo sotto il profilo morale-esistenziale” e potevano “assumerlo altresi’ dall’angolo visuale del danno psichico, ove esitino in una vera e propria malattia”. Tuttavia, la malattia non era “ipotesi realisticamente integrata” a carico del “tre figli” della vittima del sinistro, giacche’ nell’atto di appello, “sulla scia delle tre relazioni menzionate”, non veniva neppure posta “una specifica diagnosi, formulata, per l’appunto, nei riguardi dei (OMISSIS)”. Sicche’, la Corte territoriale condivideva le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio (non inficiate dalla generiche critiche del consulente di parte) il quale, sulla scorta dei raccolti pareri psichiatrici, aveva “ritenuto i tre figli colpiti da danno biologico soltanto temporaneo, limitatamente all’arco di durata della malattia del defunto genitore”.ù
Il giudice di appello evidenziava, quindi, che il risarcimento del danno psichico in favore dei tre figli del defunto non poteva “coesistere” con il risarcimento, da essi conseguito, del danno “morale-esistenziale, derivato dalla perdita … del rapporto parentale”, giacche’ la “medesima ansia, rabbia depressione eccetera” rappresentano “le medesime ricadute sofferenziali-relazionali riguardate dal duplice angolo di visuale del risarcimento del danno psichico e di quello morale-esistenziale” e non poteva esserci “duplicazione risarcitoria”.
Quanto, poi, alla (OMISSIS), la duplicazione risarcitoria (danno psichico e danno da perdita del rapporto parentale) non poteva essere evitata in mancanza di appello incidentale sul punto.
2.3. – In relazione al gravame sulla liquidazione del danno biologico iure hereditatis (terzo motivo di impugnazione), la Corte d’appello reputava palesemente infondata la pretesa degli appellanti di conseguire un importo (euro 1.320.000,00) superiore a quello massimo ottenibile in ragione di una invalidita’ permanente del 99% in caso di sopravvivenza del danneggiato, la’ dove nella specie era, invece, corretta la parametrazione del danno biologico “all’importo giornaliero dell’invalidita’ temporanea al 100%” per il periodo residuo di vita della vittima del sinistro (quasi dieci mesi), ulteriormente personalizzato “al fine di ricomprendervi il profilo morale”, per l’attesa consapevole della morte, tramite la moltiplicazione “quasi per 20 volte” dell’importo inizialmente ottenuto “(somma, secondo le tabelle del 2006, come pure del 2007, che non arrivava a euro 12.000)”.
2.4.- Quanto all’impugnazione (quarto motivo) sulla liquidazione del danno biologico iure proprio, il giudice di appello la riteneva inammissibile, per difetto di specificita’ ai sensi dell’articolo 342 c.p.c., risolvendosi essa nella “apodittica affermazione della insufficiente liquidazione operata dal tribunale, avuto riguardo alle risultanze della propria consulenza tecnica di parte”, siccome preferibile alla c.t.u.. Peraltro, in relazioni ai figli del defunto, era gia’ risultata erronea la doglianza rivolta conseguire anche il danno psichico permanente.
2.5. – La Corte territoriale reputava inammissibile, per genericita’, anche il motivo (quinto) volto a censurare il mancato riconoscimento del danno patrimoniale futuro, non avendo gli appellanti replicato “all’affermazione del primo giudice secondo cui la pensione era da presumersi reversibile”, ne’ essendo emerso nel corso del giudizio quale fosse il reddito del (OMISSIS), elemento necessario per calcolare, anche in via equitativa, il pregiudizio asseritamente patito.
2.6. – Il giudice di appello dichiarava, altresi’, inammissibile anche l’impugnazione (sesto motivo) sul criterio di liquidazione tabellare utilizzato dal Tribunale, giacche’ “la astratta successione” di un criterio di liquidazione in base alle tabelle “non sfiora neppure la liquidazione in concreto operata dal tribunale, sulla base di una dettagliata motivazione mossa dalla disamina delle circostanze del caso”; sicche’, avendo le tabelle solo funzione di orientare la liquidazione (e non gia’ valore “di legge”), gli appellanti “avrebbe dovuto specificamente indicare in che cosa avesse eventualmente errato il tribunale nel procedere alla liquidazione del danno nel modo seguito”.
2.7. – Quanto, infine, al gravame (settimo motivo) sul riconoscimento del danno esistenziale, la Corte territoriale osservava, al di la’ della sua ammissibilita’, che il Tribunale aveva provveduto ad una liquidazione unitaria del danno “da lutto” sotto i profili “morale ed esistenziale, “pur concettualmente distinti”, comunque “sempre fortemente intrecciati”.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di quattro motivi.
Resistono con distinti controricorsi l’ (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS).
Quest’ultimo, in prossimita’ dell’udienza, ha nominato nuovo difensore con atto denominato “comparsa di costituzione per sostituzione di difensore nel controricorso”; il nuovo difensore ha sottoscritto e depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilita’ della nomina dell’avv. (OMISSIS), in precedenza soltanto domiciliatario, quale nuovo difensore (in luogo del revocato avv. (OMISSIS)) del controricorrente (OMISSIS), in quanto effettuata con atto denominato “comparsa di costituzione per sostituzione di difensore nel controricorso” e non con atto pubblico o con scrittura privata autenticata ai sensi dell’articolo 83 c.p.c., comma 2, nella sua formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69, articolo 45 (giacche’ dette modifiche – che avrebbero consentito una nomina come quella anzidetta – non possono trovare applicazione nella presente controversia, in quanto operanti, soltanto per i giudizi introdotti dopo l’entrata in vigore delle legge stessa, alla stregua di quanto disposto dalla medesima Legge n. 69, all’articolo 58). Sicche’, nella fattispecie, e’ ancora pienamente efficace la seguente regula iuris: “Nel giudizio di cassazione – diversamente rispetto a quanto avviene con riguardo ai giudizi di merito – la procura speciale non puo’ essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, poiche’ l’articolo 83, comma 3, nell’elencare gli atti a margine o in calce; ai quali puo’ essere apposta la procura speciale, individua, con riferimento al giudizio di cassazione, soltanto quelli suindicati. Pertanto, se la procura non viene rilasciata su detti atti, e’ necessario che il suo conferimento si realizzi nella forma prevista dal citato articolo 83, comma 2, cioe’ con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata. A quest’ultima conclusione deve pervenirsi anche con riferimento all’ipotesi in cui sopraggiunga la sostituzione del difensore nominato con il ricorso (o controricorso), non rispondendo alla disciplina del giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio a seguito della sua instaurazione con la notifica e il deposito del ricorso (o controricorso) e non soggetto agli eventi di cui all’articolo 299 c.p.c. e segg., il deposito di un atto redatto dal nuovo difensore nella specie denominato comparsa di costituzione per sostituzione di difensore nel controricorso su cui possa essere apposta la procura speciale” (tra le tante, Cass., 5 giugno 2007, n. 13086; cfr. anche Cass., 13 febbraio 2013, n. 3554).
1.1. – Ne consegue l’inammissibilita’ della memoria ex articolo 378 c.p.c., redatta e depositata dal difensore privo di valida procura.
2. – Con il primo articolato mezzo del ricorso e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’articolo 2054 c.c., articolo 190 C.d.S., comma 5, articolo 191 C.d.S., comma 2, articolo 141 C.d.S., commi da 1 a 4, e articolo 145 C.d.S., comma 1 (e dei principi al riguardo enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimita’), nonche’ dedotto vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Le censure dei ricorrenti investono la decisione sul concorso (al 50%) di responsabilita’ per la causazione del sinistro (primo motivo di appello), assumendo che la Corte territoriale, in assenza di elementi fattuali nuovi o diversi da quelli in precedenza acquisiti, avrebbe erroneamente presunto una condotta imprudente del pedone, la’ dove invece era stato il conducente del ciclomotore (che circolava in prossimita’ di area di incrocio in centro abitato, densamente popolato, in ora serale e scarsa visibilita’, spettando al pedone la precedenza per aver iniziato l’attraversamento e, anzi, gia’ occupato il centro della carreggiata, larga 9 metri) a violare le norme del codice della strada innanzi indicate, cosi da rendere “impossibile vincere la presunzione juris tantum” di sua esclusiva responsabilita’ ex articolo 2054 c.c.. Peraltro, il ragionamento seguito dai giudici di merito sarebbe incongruo e contraddittorio per non aver ben correlato le evidenze processuali relative al punto d’urto (centro della carreggiata) ed alla presumibile velocita’ del ciclomotore (che era da ritenersi elevata o, comunque, inadeguata alle circostanze di luogo e di tempo, tanto da determinare un urto con gravi conseguenze traumatiche alla zona parietale della vittima). Inoltre, il conducente del veicolo aveva reso dichiarazioni del tutto inattendibili, non potendo costituire elemento utile il rapporto sul sinistro redatto dai vigili urbani, giunti successivamente all’evento e in assenza di testimoni (e, dunque, non essendo probante la posizione del corpo del (OMISSIS) dopo l’urto, ben potendo il ciclomotore esser stato spostato). I ricorrenti argomentano, infine, sui principi giurisprudenziali della materia che sarebbero stati violati dal giudice di appello, avendo questi mancato di dar rilievo, segnatamente, all’assenza di prova su una “manovra di attraversamento della carreggiata imprevedibile e repentina” da parte del (OMISSIS).
2.1. – Il motivo non puo’ trovare accoglimento.
Alla luce della giurisprudenza, assolutamente prevalente e consolidata, di questa Corte (tra le tante, Cass., 13 marzo 2009, n. 6168; Cass., 8 agosto 2007, n. 17397; Cass., 22 maggio 2007, n. 11873; Cass., 29 settembre 2006, n. 21249), la presunzione di colpa del conducente dell’autoveicolo investitore prevista dall’articolo 2054 c.c., comma 1, non opera in contrasto con il principio della responsabilita’ per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalita’ fra evento dannoso e condotta umana.
Pertanto, la circostanza che il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione non preclude l’indagine in ordine all’eventuale concorso di colpa, ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1, del pedone investito, sussistente laddove il comportamento di quest’ultimo sia stato improntato a pericolosita’ ed imprudenza (per un caso di concorso di colpa determinato dall’attraversamento del pedone al di fuori delle strisce pedonali, senza dare la precedenza alle autovetture, quale obbligo sussistente anche nella vigenza del vecchio codice della strada, cfr. piu’ di recente, nel solco dell’orientamento anzidetto, Cass., 5 marzo 2013, n. 5399; analogamente, cfr. Cass., 24 novembre 2009, n. 24689).
Cio’ sta a significare, per converso, non che sia esclusa la possibilita’ di delibare l’eventuale concorso di colpa tra conducente del mezzo e pedone allorquando non sia dato apprezzare da parte di quest’ultimo una condotta imprevedibile e anormale – tale, dunque, da impedire al conducente, che proceda nel rispetto di tutte le norme della circolazione stradale e quelle di comune prudenza, di prevenire l’evento -, ma che una situazione come quella appena descritta configura il paradigma idoneo a legittimare un giudizio di completa elisione della responsabilita’ del conducente e di superare, quindi, la presunzione di responsabilita’ di cui all’articolo 2054 c.c., comma 1.
Una volta, poi, che sia stato accertato il concorso di colpa tra investitore ed investito, i criteri di ripartizione della colpevolezza costituiscono oggetto di un giudizio di fatto che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimita’ se sorretto da adeguata motivazione.
A siffatti principi il Collegio intende dare continuita’, rilevando, altresi’, che il precedente su cui i ricorrenti insistono particolarmente (Cass., 28 novembre 2007, n. 24745) soltanto in apparenza contraddice l’indirizzo giurisprudenziale richiamato, giacche’ in motivazione, nell’esaminare concretamente la fattispecie controversa, evidenzia la mancanza di supporto argomentativo da parte del giudice di merito in ordine alla “imputabilita’ soggettiva” o al “concorso causale” del pedone.
La Corte territoriale si e’, dunque, mossa nell’alveo di una corretta interpretazione dell’articolo 2054 c.p.c., valutando le rispettive condotte del conducente e del pedone, per giungere, in forza dell’apprezzamento di fatto ad essa riservato, costruito in base ad una complessiva valutazione delle risultanze probatorie e, segnatamente, in assenza di deposizioni testimoniali, sulla scorta degli elementi oggettivi emergenti dal verbale dei vigili urbani sopraggiunti al sinistro, su cui era incentrata la (condivisa) “ricostruzione del fatto” (e non gia’, dunque, la conseguente valutazione) operata dal primo giudice: cfr. p. 14 della sentenza impugnata, ad individuare gli estremi di una concorrente, pari, responsabilita’ nella causazione del sinistro. A tal riguardo il giudice di appello ha, infatti, escluso che il conducente del motociclo avesse fornito prova del superamento della presunzione legale posta dall’articolo 2054 c.c. (e, dunque, di aver fatto tutto il possibile per evitare l’evento), ma, al contempo, ha ritenuto gravemente imprudente la condotta del pedone, per aver intrapreso l’attraversamento della strada in assenza di strisce pedonali e in situazione di scarsa visibilita’ (in ragione della pioggia e dell’ora serale), “nonostante stesse sopraggiungendo a brevissima distanza il ciclomotore” (e, dunque, che il mezzo avesse la precedenza), cio’ essendo desumibile “dalla sua ridottissima velocita’”, siccome comprovata dalla posizione del veicolo dopo l’urto e cioe’ “in. immediata prossimita’ del corpo del (OMISSIS)”.
Si tratta di un apprezzamento di fatto, su cui si impernia anche il governo delle norme sulla circolazione stradale ritenute rilevanti nella concreta fattispecie, che si sottrae alle censure dei ricorrenti, non palesando errori di diritto, ne’ intrinseche aporie. Peraltro, le doglianze ad esso mosse, oltre ad essere orientate ad aggredire atomisticamente gli elementi sui quali si impernia il complessivo giudizio fattuale (senza, tuttavia, evidenziare prove decisive delle quali sia stata trascurato l’esame, ma, anzi, cercando di depotenziare le emergenze probatorie acquisite), effettuano una lettura delle risultanze processuali diversa ed alternativa a quella della Corte territoriale, surrogandosi, inammissibilmente, nell’esercizio di un potere spettante soltanto al giudice del merito, nella specie correttamente esercitato.
3. – Con il secondo articolato mezzo e’ prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli articoli 1226, 2056 e 2059 c.c., articoli 2, 29, 30, 31 e 32 Cost. (e dei principi al riguardo enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimita’), nonche’ dedotto vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Le doglianze attengono alle pretese voci di danno e, segnatamente, quelle relative al danno psichico, al danno biologico iure hereditatis ed al danno esistenziale (rispettivamente, secondo, terzo e settimo motivo di appello).
a) Quanto al danno psichico, la Corte territoriale, aderendo acriticamente al dictum del primo giudice e senza congruamente apprezzare le risultanze processuali, non avrebbe tenuto conto dell’accertamento oggettivo di carattere clinico di detto danno effettuato dalle specialiste delle quali si era avvalso il c.t.u., mancando, poi, di recepirne la “opinione espressa”, cosi’ erroneamente da riconoscere “un effettivo danno psicopatologico” alla sola (OMISSIS) e non gia’ ai tre figli del (OMISSIS), ritenuti vittime soltanto di “transeunti turbamenti della psiche con ripercussioni esistenziali e morali”.
b) Quanto al danno biologico patito dalla vittima del sinistro (preteso iure hereditatis dagli attori), trattandosi di “danno biologico terminale”, giacche’ alle lesioni era seguita, dopo nove mesi di lucida agonia, la morte della vittima del sinistro, ad esso avrebbe dovuto riconoscersi “maggiore gravita … rispetto anche al danno alla salute valutato al 100%”, non avendo, quindi, la Corte territoriale esercitato correttamente il potere di liquidazione equitativa, che, nella specie, non poteva condurre al riconoscimento di somme irrisorie (come evidenziato, segnatamente, dalla sentenza n. 7632 del 2003 di questa Corte).
e) Quanto, infine, al risarcimento del danno esistenziale, i ricorrenti (richiamando la sentenza n. 20292 del 2012 di questa Corte) assumono che la Corte d’appello, constatando l’intreccio tra danno esistenziale e danno morale, avrebbe reso una motivazione solo apparente, perpetuando l’errore del primo giudice che non aveva provveduto ad una liquidazione separata dei vari pregiudizi.
3.1. – Il motivo, in tutta la sua articolazione, e’ privo di consistenza.
3.1.1. – Quanto alla doglianza sub a), la Corte territoriale (cfr. p.2.2. del “Ritenuto in fatto” che precede) ha espresso una motivazione sufficiente e plausibile, tenendo conto di tutte le risultanze processuali e delle critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio, per giungere al convincimento che, a carico dei figli della vittima del sinistro, sussisteva un danno biologico temporaneo, per la durata della malattia del padre, in ragione di disturbi emotivi relazionali (ansia, rabbia, depressione, senso di estraneita’, perdita di punti di riferimento, insicurezza, angoscia, vertigine, e cosi via), non altrimenti esitato in malattia psichica, neppure diagnosticata nell’atto di appello sulla scorta degli elaborati tecnici in base ai quali faceva leva il motivo di gravame.
Sicche’ la portata della evidenziata ratio decidendi resiste alle doglianze dei ricorrenti, che, del resto, non ne colgono appieno la portata, insistendo nella stessa prospettiva che permeava l’originario motivo di gravame.
3.1.2. – Deve, poi, ritenersi inammissibile la censura sub b), giacche’, a fronte di una motivazione (cfr. p.2.3. del “Ritenuto in fatto” che precede) in cui si da adeguatamente conto dei criteri della liquidazione del danno biologico patito dal vittima del sinistro per il periodo residuo di vita (mettendosi in risalto anche la durata non breve del periodo di sopravvivenza) e della personalizzazione del danno (con una moltiplicazione di quasi venti volte dell’importo iniziale), i ricorrenti adducono in modo del tutto generico (senza fornire elementi oggettivi ulteriori a quelli utilizzati dalla Corte territoriale) che il potere di liquidazione equitativa sia stato male esercitato, evocando, poi, un precedente di questa Corte (Cass., 16 maggio 2003, n. 7632) da cui la sentenza impugnata non si discosta affatto, applicando, anzi, il principio di diritto ivi enunciato in fattispecie che effettivamente si attaglia alla sua portata (e cioe’ quella di morte sopravvenuta alle lesioni dopo un considerevole lasso temporale, nella specie quasi dieci mesi), la’ dove la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass., 8 aprile 2010, n. 8360; Cass., 24 marzo 2011, n. 6754; Cass., 20 settembre 2011, n. 19133; Cass., 13 giugno 2014, n. 13537), riconduce alla dimensione del danno morale (ovvero del danno non patrimoniale) il danno c.d. tanatologico (o anche quello “catastrofale”), ossia l’ipotesi della morte che segua le lesioni fisiche dopo breve (o brevissimo) tempo, con sofferenza della vittima rimasta lucida durante l’agonia, in consapevole attesa della fine.
3.1.2.1. – Infine, e’ da soggiungere soltanto che il difensore dei ricorrenti si e’ soffermato, nella discussione orale in udienza, sul diritto al risarcimento del c.d. “danno alla vita”, richiamando la sentenza di questa Corte n. 1361 del 23 gennaio 2014, cosi’ introducendo, pero’, una questione che non e’ stata affatto veicolata con i motivi di ricorso e, quindi, gia’ come tale inammissibile.
Peraltro, non puo’ non rilevarsi che la ricostruzione sostenuta da Cass. n. 1361 del 2014 si fonda comunque sulla postulata diversita’ ontologica tra danno biologico e danno da perdita della vita, con la conseguenza che, per conseguire il risarcimento di tale ultima tipologia di danno, occorre proporre rituale e tempestiva domanda gia’ nel giudizio di merito (ossia in primo grado), la quale, pertanto, non puo’ essere prospettata per la prima volta in questa sede di legittimita’ (cio’ che, dunque, non avrebbero potuto comunque fare i ricorrenti, in difetto di previa proposizione di detta domanda).
3.1.3. – Quanto, infine, alla censura sub c), occorre osservare che la Corte territoriale ha confermato la decisione del Tribunale di liquidazione unitaria del danno non patrimoniale ai sensi dell’articolo 2059 c.c., patito dagli attori, in forza della quale era ricompresa “nella quantificazione del danno morale” anche “l’ulteriore voce richiesta di danno esistenziale”, per lo “stravolgimento delle abitudini di vita” ed il “peggioramento del proprio stato d’animo”, operandosi “una personalizzazione del danno nella sua complessiva quantificazione”, anche in ragione del fatto che, nella specie, “tutto il danno biologico e morale liquidato attiene alla condizione psicologica di vita e relazionale degli attori”. Si tratta quindi, di motivazione che sfugge alle critiche dei ricorrenti, non solo perche’, da un lato, coerente con l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. in particolare Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26792) in punto di unitarieta’ del danno non patrimoniale e nell’ottica di evitare duplicazioni risarcitorie (che anche i precedenti citati dai ricorrenti non mettono in discussione), e, dall’altro, nel suo percorso intelligibile ed affatto contraddittorio, in alcun modo apparente. Ma anche perche’ la stessa motivazione ha risposto alle palesate esigenze degli appellanti (ora ricorrenti) di una valutazione del danno non patrimoniale (in tutta la sua estensione) in ragione del “pregiudizio subito dai familiari del Signor (OMISSIS) in relazione al normale, quotidiano, relazionarsi alla vita” (cfr. p. 41 del ricorso), senza che, poi, in questa sede, siano state sollevate critiche, specifiche e pertinenti, sotto il profilo della concreta liquidazione effettuata dal giudice del merito.
4. – Con il terzo mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 342 c.p.c..
La Corte territoriale, nell’esaminare il quarto, quinto e sesto motivo di impugnazione, li avrebbe erroneamente dichiarati inammissibili per difetto del requisito di specificita’, giacche’ le argomentazioni svolte dagli appellanti non erano affatto generiche alla stregua dei principi espressi dalla giurisprudenza in materia, come risulterebbe: per il quarto motivo dai da pp. 1 a 3, sub Cap. B.3.2., pp. 29/31 dell’atto di appello; per il quinto motivo dai da pp. 1 a 7, sub Cap. B.3.3., pp. 31/33 dell’atto di appello; per il sesto motivo dai da pp. 1 a 3, sub Cap. B.3.4., pp. 31 e 34 dell’atto di appello.
4.1. – Il motivo e’ infondato.
4.1.1. – Occorre premettere che la denuncia, con il ricorso per cassazione, di un vizio attinente all’applicazione dell’articolo 342 c.p.c., in ordine alla specificita’ dei motivi di appello, investe il giudice di legittimita’ del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, non potendo essere limitata la cognizione all’esame della sufficienza e logicita’ della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione (cfr. in tal senso, Cass., 10 settembre 2012, n. 15071). Si tratta, infatti, di un error In procedendo comportante la nullita’ della sentenza impugnata, che si sostanzia nel compimento di un’attivita’ deviante da un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore (cfr. Cass., sez. un., 22 maggio 2012, n. 8077, che ha esaminato, nella medesima prospettiva, il vizio di nullita’ dell’atto di citazione per indeterminatezza dell’oggetto della domanda e delle ragioni poste a suo fondamento, anch’esso, dunque, comportante – come nel caso di specie – il previo esercizio del potere del giudice del merito di interpretare un atto del processo), per cui l’accertamento demandato alla Corte di cassazione deve consistere unicamente nella verifica del rispetto, da parte del giudice di merito, della legge processuale, a nulla rilevando il modo in cui egli abbia motivato la propria decisione (cfr. Cass., 31 luglio 2012, n. 13683).
Cio’ posto, puo’ procedersi alla delibazione dell’atto di appello, giacche’ la censura, sebbene dedotta sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenzia nella sostanza il vizio processuale che si asserisce inficiante la decisione adottata sul punito dalla Corte di appello (e, dunque, da intendersi veicolato in base al citato articolo 360, n. 4), nonche’ rispetta la necessaria specificita’, indicando puntualmente anche le parti rilevanti dell’atto processuale su cui questa Corte deve soffermare la propria indagine.
Ai fini di tale delibazione rileva il principio, consolidato, per cui la specificita’ dei motivi di appello deve essere commisurata alla specificita’ della motivazione e non e’ ravvisabile laddove l’appellante, nel censurare le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado, ometta di indicare, per ciascuna delle ragioni esposte nella sentenza impugnata sul punto oggetto della controversia, le contrarie ragioni di fatto e di diritto che ritenga idonee a giustificare la doglianza (Cass., 27 gennaio 2014, n. 1651; Cass., 27 gennaio 2011, n. 1924; Cass., 18 aprile 2007, n. 9244; nella medesima prospettiva, Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28057).
4.1.2. – La dichiarata inammissibilita’ del “quarto motivo” (cfr. pp. 13 e 18 della sentenza impugnata) riguarda esclusivamente la misura della liquidazione del danno biologico in favore della (OMISSIS), la’ dove richiesta nel “30%”.
La decisione in rito non attiene, dunque, alla posizione dei figli di (OMISSIS), essendo stata respinta la loro domanda di liquidazione del danno biologico sub specie di psichico permanente; ne’, peraltro, investe ulteriori profili della liquidazione del danno in questione (come quello dell’applicazione delle tabelle), affrontati nel merito dal giudice del gravame (cfr. p. 17 della sentenza impugnata, in ordine al terzo motivo di appello). Tanto precisato, le ragioni dell’impugnazione che specificamente interessano si riducono sostanzialmente alla seguente affermazione: “Per i motivi gia’ esposti nei paragrafi dedicati ai (contestati) risultati della espletata CTU, si puo’ ritenere ragionevole valutare nel 30% il danno biologico subito dalla moglie” (p. 30 dell’atto di appello).
Invero, tenuto conto che sulle critiche alla c.t.u. il giudice di appello si era gia’ espresso, nel merito, in sede di scrutinio del secondo motivo di impugnazione e che tale motivazione, oggetto di censura in questa sede con il secondo mezzo di ricorso per cassazione, ha superato il vaglio di questa Corte, il riferimento alla percentuale del 30% di invalidita’ (ove non lo si ritenga di per se’ assorbito nell’esame anzidetto) rimane, comunque, del tutto isolato e privo di supporto argomentativo specifico, non prendendosi affatto in considerazione (e, quindi, specificamente criticata) la motivazione resa dal primo giudice a fondamento della riconosciuta percentuale del 12/13% (cfr. pp. 9/10 della sentenza impugnata).
4.1.3. – La dichiarata inammissibilita’ del quinto motivo di appello (pp. 13, 14 e 18 della sentenza impugnata) riguarda la pretesa risarcitoria del “danno patrimoniale futuro”.
Il giudice di primo grado aveva escluso che fosse stata fornita prova della “capacita’ reddituale del sig. (OMISSIS)” e della sua “effettiva contribuzione economica alle esigenze della moglie e dei figli, piu’ che maggiorenni all’epoca dei fatti”, non essendo stata prodotta neppure la dichiarazione dei redditi del familiare defunto; peraltro, era da presumersi che il de cuius fosse pensionato e che, quindi, il coniuge potesse “godere della sua pensione di reversibilita’”.
Nell’atto di appello (segnatamente a p. 32), oltre al richiamo di precedenti giurisprudenziali, gli unici elementi di fatto richiamati sono l’eta’ del defunto, la conclusione dell’attivita’ lavorativa come dirigente d’azienda e l’acquisto di un immobile nel 1998, in forza dei quali si sostiene che “egli aveva … ancora numerosi anni di capacita’ produttiva” e che “avrebbe continuato a contribuire ai bisogni familiari”.
Sicche’, appare evidente che quanto dedotto con l’impugnazione prescinda del tutto dalla ratio decidendi – sopra richiamata – che avrebbe dovuto essere puntualmente criticata.
4.1.4. – La dichiarata inammissibilita’ del sesto motivo (pp. 14, 18 e 19 della sentenza impugnata) riguarda la liquidazione del danno “morale” in base al sistema delle tabelle.
Nell’atto di appello (pp. 33 e 34) il profilo argomentativo dell’impugnazione si incentra esclusivamente sull'”intervenuto cambiamento nel 2007 dei criteri tabellari di riferimento”, assumendosi, quindi, che “i criteri tabellari del 2006 sono ormai da considerare superati, dovendosi in effetti applicare i nuovi parametri valevoli per il 2007”.
Nessuna critica viene, dunque, mossa alla concreta liquidazione del danno nella specie operata dal giudice di primo grado, sulla base di elementi e parametri oggettivi, nonche’ contestualizzati rispetto alla vicenda controversa (cfr. pp. 9 e 10 della sentenza impugnata). Con la conseguenza che il motivo di appello si colloca su un piano di non consentita astrattezza, postulando un mero automatismo della misura risarcitoria derivante dalla meccanica applicazione di tabelle aggiornate, che, pero’, in siffatti termini, non e’ dato configurare, considerato che dette tabelle rappresentano un criterio di liquidazione che funge da parametro di conformita’ rispetto ad una valutazione equitativa del danno non patrimoniale, ai sensi degli articoli 1226 e 2056 c.c., dal quale il giudice, ricorrendo in concreto circostanze idonee, puo’ motivatamente discostarsi (cfr., in tale prospettiva, Cass., 7 giugno 2011, n. 12408; sull’inammissibilita’, per difetto di specificita’, di motivo di appello concernente la mera applicazione del sistema tabellare, cfr. anche Cass., 17 settembre 2013, n. 21229).
5. – Con il quarto mezzo e’ prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, non essendosi pronunziata la Corte territoriale in ordine alla denunciata responsabilita’ oltre il massimale previsto dalla polizza di assicurazione stipulata dal signor (OMISSIS) contro il rischio derivante dalla circolazione del ciclomotore, avendo l’ (OMISSIS) S.p.A. mal gestito la vertenza, con conseguente richiesta di condanna in solido della stessa al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali reclamati dagli appellanti”.
La Corte d’appello, investita del motivo di impugnazione sulla omessa pronuncia del Tribunale sulla richiesta condanna ultramassimale dell’ (OMISSIS) per mala gestio, avrebbe anch’esso mancato di pronunciarsi al riguardo, con conseguente “omessa motivazione circa tale fatto, certamente controverso e decisivo per il giudizio”.
5.1. – Il motivo e’ inammissibile.
Non solo – insistendosi unicamente sul vizio di motivazione – non viene specificamente dedotta la nullita’ della sentenza impugnata per violazione dell’articolo 112 c.p.c., quale denuncia che deve in ogni caso evincersi dal contesto del motivo a prescindere dalla esatta indicazione delle norme di legge delle quali si lamenta l’inosservanza (Cass., sez. un., 24 luglio 2013, n. 17931; Cass., 29 agosto 2013, n. 19882), ma neppure e’ reso intelligibile il pregiudizio che l’impugnazione intende eliminare (la quale deve essere sorretta da un interesse concreto, che spieghi influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, in funzione di una pronuncia avente pratico rilievo: tra le altre, Cass., 23 maggio 2008, n. 13373; in relazione puntuale ad errores in procedendo, cf r. Cass., 9 luglio 2014, n. 15676), posto che neppure e’ allegato che la pronuncia di condanna dell’ (OMISSIS) S.p.A., in solido con lo (OMISSIS), abbia avuto ad oggetto un importo che superava il massimale di polizza assicurativa, cosi da rendere necessario l’esame da parte della Corte di appello (e dello stesso primo giudice) della domanda di condanna della compagnia assicurativa ultramassimale (altrimenti assorbita nella decisione resa).
6. – Il ricorso va, dunque, rigettato ed i ricorrenti condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, come liquidate in dispositivo (con la precisazione che, in favore dello (OMISSIS), non possono liquidarsi le spese processuali in relazione all’attivita’ difensiva compiuta dal legale privo di valida procura).
P.Q.M.
LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in complessivi euro 4.500,00, di cui di cui euro 200,00, per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge, in favore della (OMISSIS) S.p.A., nonche’ in complessivi euro 2.700,00, di cui di cui euro 200,00, per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge, in favore di (OMISSIS).
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis

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