cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 21 aprile 2015, n. 16613

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente

Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 5331/2013 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 12/05/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/03/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Fulvio Baldi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Firenze, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente, con sentenza del 12.5.2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Livorno del 26.6.2013, appellata da (OMISSIS), rideterminava la pena nei confronti dello stesso in anni tre di reclusione ed euro 2600 di multa.

Il GUP del Tribunale livornese, all’esito di giudizio abbreviato concedeva all’imputato l’attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, prevalente sulla contestata recidiva, e, con l’aumento per la continuazione interna e la diminuente del rito, lo condannava alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione ed euro 6.000 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali, con interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, confisca e distruzione dello stupefacente e di quant’altro in sequestro e confisca della somma di denaro sequestrata.

L’imputazione era, in concorso con il coimputato (OMISSIS), quella per il reato previsto e punito dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 81 e 110, articolo 73, commi 1 e 1 bis, perche’, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, del citato Decreto del Presidente della Repubblica, in concorso fra di loro, illecitamente detenevano a fine di spaccio all’interno dell’auto a bordo della quale viaggiavano (ed in particolare occultati sotto la protezione posta a base della leva del cambio) tre panetti di hashish per un peso complessivo di circa gr 311,83 (due dei quali ancora integri ed un terzo mancante di un piccolo pezzo gia’ stoccato) nonche’ gr. 1,95 di sostanza stupefacente tipo cocaina occultata addosso della persona del (OMISSIS) ed ulteriori gr. 2,23 di sostanza stupefacente tipo hashish occultati addosso ai (OMISSIS) (che deteneva altresi’ indosso la somma in contanti di euro 1.280) Con la recidiva semplice per entrambi In (OMISSIS).

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a. Carenza ed illogicita’ della motivazione.

Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale, cosi’ come il giudice di primo grado, abbiano ritenuto sussistente il reato contestato senza che venisse disposta ed eseguita una perizia volta ad accertare la natura stupefacente della sostanza rinvenuta.

Tali analisi, a differenza di quanto solitamente avviene, non erano state eseguite neppure nelle forme dell’accertamento tecnico di parte.

Ci si duole che sia stato eseguito soltanto il Drugtest da parte degli agenti di P.G. e si richiama un precedente del 1990 di questa Corte secondo cui lo stesso sarebbe sufficiente soltanto quando non e’ tecnicamente possibile effettuare una perizia tossicologica sulla sostanza.

Il giudice di secondo grado si sarebbe limitato, sul punto, a confermare la sentenza di primo grado, riproponendo acriticamente il processo argomentativo seguito da quello.

b. Errata applicazione della legge, violazione dell’articolo 2 c.p. – erronea identificazione della norma piu’ favorevole, carenza ed illogicita’ della motivazione.

Il giudice di secondo grado, chiamato a decidere sulla norma applicabile in concreto piu’ favorevole, attesa la successione di leggi nel tempo, avrebbe compiuto una valutazione errata e non conforme al dettato normativo.

Si ricordano le modifiche che ha subito il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, per sostenersi che nel caso di specie, poiche’ il giudice di primo grado aveva ritenuto di dover assegnare prevalenza alla attenuante speciale di cui all’articolo 73, comma 5, rispetto alla contestata recidiva, doveva necessariamente considerarsi come legge piu’ favorevole la disciplina del fatto lieve cosi’ come prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, nella sua originaria formulazione.

Quanto sopra non e’ avvenuto in quanto il giudice d’appello, secondo il ricorrente, ha ritenuto applicabile, sulla scorta di un ragionamento assolutamente non esposto in motivazione, la normativa ultima con conseguente determinazione di una pena base alla quale e’ stato applicato l’aumento per la contestata recidiva.

Tale determinazione avrebbe – secondo la tesi proposta in ricorso – contemporaneamente violato sia il principio esposto dall’articolo 2 c.p., in tema di applicazione della disciplina piu’ favorevole, sia il divieto di reformatio in peius, in quanto nel caso concreto e’ stato applicato un aumento di pena per una circostanza aggravante gia’ giudicata subvalente dal giudice di primo grado.

c. Carenza di motivazione in ordine alla determinazione della pena irrogata.

Tanto il giudice di primo grado che quello di appello non avrebbero adeguatamente motivato in punto di determinazione della pena, addivenendo nel migliore dei casi a formule astratte prive di riscontro nei fatti, che, in definitiva richiamano esclusivamente i criteri dettati dall’articolo 133 c.p..

Si richiama la giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ ricordandosi come la stessa affermi pacificamente che al giudice e’ imposta una motivazione tanto piu’ precisa e accurata, tanto piu’ egli intenda irrogare, come nel caso in esame, una pena lontana dal minimo della cornice edittale.

d. Violazione di legge, violazione ed errata applicazione dell’articolo 81 c.p., carenza di motivazione.

Tanto la sentenza di primo grado che quella di appello opererebbero un aumento della pena non meglio precisata per una continuazione interna che non troverebbe alcuna descrizione del capo di imputazione.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi in precedenza illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.

2. Quanto all’infondatezza del primo motivo (sub a.) il Collegio intende ribadire il condivisibile principio, reiteratamente affermato negli ultimi anni da questa Corte, secondo cui per accertare la natura di stupefacente di una sostanza non e’ necessaria la perizia o un accertamento tecnico da svolgersi secondo le disposizioni di cui all’articolo 360 c.p.p., essendo all’uopo sufficiente il materiale probatorio costituito da dichiarazioni dell’imputato, indagine con narcotest “et similia” (cosi’ sez. 6 , n. 43226 del 26.9.2013, Hu, rv. 257462, nel giudicare un caso relativo a narcotest effettuato su Ketamina; conf. sez. 4, n. 22238 del 29.1.2014, Feola ed altri, rv. 259157; conf. sez. 4, n. 4817 del 20.11.2003, De Lorenzo ed altri, rv. 229364).

Non va trascurato, peraltro, che in primo grado si e’ proceduto con rito abbreviato e che questa Corte regolatrice ha un dictum consolidato nel ritenere che nel giudizio abbreviato sono rilevabili e deducibili solo le nullita’ di carattere assoluto e le inutilizzabilita’ c.d. patologiche, con la conseguenza che l’irritualita’ dell’acquisizione dell’atto probatorio e’ neutralizzata dalla scelta negoziale delle parti di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignita’ di prova gli atti di indagine compiuti senza rispetto delle forme di rito (cosi’ sez. 2, n. 19483 del 16.4.2013, Avallone ed altri, rv. 256038, conf. sez. 5, n. 46046 del 6.6.2012, Paludi ed altro, rv. 254081 e gia’ questa sez. 3 n. 29240 del 9.6.2005, Fiero, rv. 232374 in un caso di giudizio abbreviato in cui e’ stata ritenuta corretta l’utilizzazione di un’intercettazione telefonica non trascritta ritualmente, a seguito di consulenza tecnica ex articolo 268 c.p.p., ma riprodotta su cosiddetto “brogliaccio”; e sez. 4 n. 5801 del 3.11.1999 dep. 19.5.2000, Alice F. e altri, rv. 216600).

2. Infondate sono anche le doglianze in precedenza ricordate sub b. in punto di violazione di legge sulla pena.

Le sentenze sono state pronunciate in primo grado il 26.6.2013 e in secondo grado il 12.5.2014.

In proposito va ricordato che la norma di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e’ stata piu’ volte interessata, nelle more del presente procedimento, da interventi del legislatore.

La prima modifica legislativa e’ intervenuta con il Decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 146, articolo 2, comma 1, lettera a), convertito, senza modifiche sul punto, dalla Legge 21 febbraio 2014, n. 10 (in G.U. Serie generale n. 43 del 21.2.2014) che ha trasformato quella che per giurisprudenza consolidata di questa Corte era pacificamente ritenuta una circostanza attenuante ad effetto speciale (cfr. ex plurimis Sez. Unite n. 9148 del 31.5.1991, Parisi, rv. 187930; conf. sez. 1, n. 496 del 3.2.1992, confi, comp. Pret. e Trib. Palermo in proc. Di Gaetano, rv. 191131; e, anche dopo le modifiche introdotte dalla Legge n. 49 del 2006, articolo 4 bis, ancora Sez. Unite n. 35737 del 24.6.2010, P.G. in proc. Rico, rv. 247910; conf. sez. 6 n. 458 del 28.9.2011 dep. 11.1.2012, Khadhraoui Farouk e altro, rv. 251557; sez. 6, n. 13523 del 22.10.2008 dep. 26.3.2009, De Lucia e altri, rv. 243827) in un’ipotesi autonoma di reato.

Le perplessita’ avanzate sul punto da taluno dopo l’emanazione del Decreto Legge n. 146 del 2013, venivano presto fugate dall’analisi dei lavori parlamentari e dagli ulteriori “ritocchi” posti in essere con la citata Legge n. 10 del 2014, di conversione laddove nei vari richiami operati alla fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, il legislatore si e’ preoccupato di sostituire il riferimento alla “circostanza” di cui al comma 5 con quello al “delitto” (ad esempio all’articolo 380 c.p.p., comma 2, lettera h, o all’articolo 19, comma 5, delle disposizioni sul processo penale a carico di minorenni).

Del resto, gia’ l’avere con il Decreto Legge n. 146 del 2013, introdotto una clausola di riserva per circoscrivere negativamente l’applicazione della norma, scrivendo “salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato” lasciava chiaramente intendere che quello di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, voleva essere un titolo autonomo di reato. Conclusioni cui portava anche l’individuazione da parte del legislatore di un soggetto attivo (“chiunque”) e di una condotta “commette”, tipici delle norme incriminatrici autonome. O il fatto che lo stesso Decreto Legge n. 146 del 2013, articolo 2, era rubricato “Delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entita’”.

Con quella prima novella, ex Decreto Legge n. 146 del 2013, che ha mantenuto indistinta la sanzione penale per i fatti di lieve entita’ che riguardassero le droghe c.d. “leggere” e quelle c.d. “pesanti”, il massimo edittale previgente veniva abbassato.

Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, post novella del dicembre 2013 puniva, infatti, con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 3.000 a euro 26.000 chiunque, salvo che il fatto costituisse piu’ grave reato, commettesse uno dei fatti previsti dal medesimo articolo 73, che per i mezzi, le modalita’ o le circostanze dell’azione ovvero per la qualita’ e quantita’ delle sostanze, sia “di lieve entita’”. La norma previgente prevedeva identica sanzione pecuniaria e, quanto alla pena detentiva, identico minimo edittale (anni uno di reclusione) ma una pena massima piu’ alta (anni sei di reclusione).

L’affermata natura di reato autonomo ha sottratto da quel momento la norma al bilanciamento con eventuali circostanze aggravanti o con la recidiva, che spesso finiva per portare il trattamento sanzionatorio, anche per fatti di lieve entita’ (a fronte ad esempio di una recidiva reiterata ritenuta equivalente all’ipotesi attenuata, qual era il quinto comma previgente) a dover necessariamente riferirsi alle ben piu’ severe pene di cui all’articolo 73, comma 1.

L’abbassamento del massimo edittale produce da allora effetti di maggior favore per l’imputato sui termini di custodia cautelare e su quelli per il computo della prescrizione, applicabili per il principio del favor rei anche ai fatti commessi sotto la vigenza della norma precedente.

3. E’ poi intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014, che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, articoli 4 bis e 4 vicies ter, (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonche’ la funzionalita’ dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 febbraio 2006, n. 49, articolo 1, comma 1.

Con la sentenza in questione, rimossa dal giudice delle leggi la novella del 2006 di cui alla c.d. legge Fini – Giovanardi, si e’ avuta la reviviscenza del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 4, nel testo anteriore alle modifiche con quella apportate che, mentre prevedono un trattamento sanziona-torio piu’ mite, rispetto a quello caducato, per gli illeciti concernenti le cosiddette “droghe leggere” (puniti con la pena della reclusione da due a sei anni e della multa, anziche’ con la pena della reclusione da sei a venti anni e della multa), viceversa contemplano sanzioni piu’ severe per i reati concernenti le cosiddette “droghe pesanti” (puniti, oltre che con la multa, con la pena della reclusione da otto a venti anni, anziche’ con quella da sei a venti anni).

E’ stata la stessa Corte Costituzionale a precisarlo in sentenza laddove ha affermato che “in considerazione del particolare vizio procedurale accertato in questa sede, per carenza dei presupposti ex articolo 77 Cost., comma 2, deve ritenersi che, a seguito della caducazione delle disposizioni impugnate, tornino a ricevere applicazione il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate”.

Anche per quanto riguardava i rapporti con (“allora vigente quinto comma la Consulta era stata esplicita. Si legge in sentenza: “E’ appena il caso di aggiungere che, alla luce delle considerazioni sopra svolte, risulta evidente che nessuna incidenza sulle questioni sollevate possono esplicare le modifiche apportate al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, dal Decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 146, articolo 2, (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 febbraio 2014, n. 10, articolo 1, comma 1”. “Trattandosi di ius superveniens che riguarda disposizioni non applicabili nel giudizio a quo – scrivono ancora i giudici costituzionali per giustificare il rigetto della richiesta in tal senso-non si ravvisa la necessita’ di una restituzione degli atti al giudice rimettente, dal momento che le modifiche, intervenute medio tempore, concernono una disposizione di cui e’ gia’ stata esclusa l’applicazione nella specie, e sono tali da non influire sullo specifico vizio procedurale lamentato dal giudice rimettente in ordine alla formazione della Legge di conversione n. 49 del 2006, con riguardo a disposizioni differenti. Inoltre, gli effetti del presente giudizio di legittimita’ costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il Decreto Legge n. 146 del 2013, sopra citato, in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata e indipendente da quest’ultima”.

4. La giurisprudenza di questa Corte Suprema si era, percio’, attestata nel ritenere, quanto alle ipotesi riconosciute ricomprese nel fatto di lieve entita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, che trovasse applicazione:

a) per le condotte a far tempo dal 24.12.2013, data di entrata in vigore del Decreto Legge 14 giugno 2013, la norma unica, per droghe “pesanti” e droghe leggere” che prevedeva una pena detentiva da 1 a 5 anni di reclusione e la multa da 3000 a 26.000 euro.

b) per le condotte precedenti al Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito in Legge 21 febbraio 2006, n. 49, (la cosiddetta Legge Fini-Giovanardi) ed anche, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 32/2014, per tutte quelle successive fino al 23.12.2013, la normativa piu’ favorevole per le c.d. droghe leggere, che prevedeva una pena da sei mesi a 4 anni e la multa da 1032 a 10329 euro. Per le c.d. droghe pesanti si applicava comunque la nuova legge in quanto quella previgente, che prevedeva una sanzione differenziata da 1 a 6 anni di reclusione e da 3582 a 25822 euro, era meno favorevole.

E’ intervenuto poi il Decreto Legge 20 marzo 2014, n. 36, conv. in Legge 16 maggio 2014, n. 79, con la cui legge di conversione, in vigore dal 17.5.2014, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e’ stato sostituito dal seguente: “5. Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo, che per i mezzi, le modalita’ o le circostanze dell’azione ovvero per la qualita’ e quantita’ delle sostanze e’ di lieve entita’, e’ punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1032 a euro 10.329”.

Con la seconda novella, del 2014, dunque, la pena per il fatto di lieve entita’ gia’ prevista per le c.d. “droghe leggere” dalla Legge Iervolino – Vassalli viene adottata, indifferentemente, per tutti i fatti di lieve entita’, indipendentemente dalla collocazione dello stupefacente nell’una o nell’altra tabella.

5. Si e’ posto allora il problema dell’ambito applicativo della norma oggi vigente rispetto ai processi in corso.

Per quanto riguarda, i profili processuali, la norma di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, oggi vigente e’ in ogni caso piu’ favorevole.

Gia’ con il testo novellato dal Decreto Legge n. 146 del 2013, e l’introduzione della figura di reato autonomo i termini di prescrizione del reato si erano fortemente ridotti.

Dal 24.12.2013, anche per i fatti pregressi per il principio del favor rei, gli stessi possono essere determinati ai sensi dell’articolo 157 c.p., commi 1, 2 e 3, tenendo come riferimento il massimo della pena edittale e, comunque, trattandosi di delitto, un tempo non inferiore a sei anni.

In precedenza, poiche’ la normativa sulla prescrizione non consente di tenere conto delle attenuanti, anche se ad effetto speciale (qual era l’articolo 73, comma 5 previgente), il termine di prescrizione si determinava comunque in 20 anni, pari al massimo edittale previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1.

A parita’ di termine prescrizionale rispetto al reato novellato ex Decreto Legge n. 146 del 2013, (che resta di sei anni piu’ un quarto in caso di atti interruttivi) il nuovo massimo edittale (quattro anni di reclusione) previsto dalla novella di cui alla Legge n. 79 del 2014, ha delle ulteriori conseguenze favorevoli per l’imputato, in quanto continua a consentire l’arresto in flagranza ai sensi dell’articolo 381 c.p.p., comma 1, (e il conseguente giudizio direttissimo in caso di convalida), ma rende inapplicabile, la misura della custodia cautelare in carcere in quanto, secondo il dettato di cui all’articolo 280 c.p.p., novellato dal Decreto Legge n. 78 del 2013, conv. con modif. nella Legge n. 94 del 2013, la custodia cautelare in carcere puo’ essere disposta solo per i delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

Inoltre, la riduzione a quattro anni della pena edittale massima determina, inoltre, la possibilita’ per l’imputato di richiedere la sospensione del processo con messa alla prova, ai sensi dell’articolo 168 bis c.p., (introdotto dalla Legge 28 aprile 2014, n. 67), con la prospettiva dell’estinzione del reato a lui ascritto, in caso di esito positivo della prova stessa.

6. Per quanto concerne, invece, i profili attinenti alla pena, pare evidente che il nuovo quinto comma si applichera’, trattandosi di lex mitior sopravenuta piu’ favorevole ai sensi di cui all’articolo 2 c.p., comma 4, a tutti i processi pendenti per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore del Decreto Legge n. 146 del 2013, e dunque per i fatti commessi a partire dal 24 dicembre 2013.

Quanto ai processi per fatti precedenti a tale data, invece, l’intervenuta declaratoria di illegittimita’ costituzionale della legge “Fini-Giovanardi” comporta che debba considerarsi come mai abrogata la disciplina di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, nella versione originaria della legge “Iervolino-Vassalli”, che, come visto, sanzionava con la reclusione da uno a sei anni e la multa de 2582 a 25.822 i fatti di lieve entita’ concernenti le droghe ed, “pesanti” e con la della reclusione da sei mesi a quattro anni e la multa da 1032 a 10329 quelli riguardanti le droghe “leggere”.

In relazione ai fatti commessi fino al 23.12.2013, dunque, la legge vigente al momento del fatto deve considerarsi quella di cui alla Legge Iervolino-Vassalli, rispetto alla quale, per quanto riguarda le c.d. droghe “pesanti”, la disciplina oggi vigente e’ sempre piu’ favorevole, e in quanto tale andra’ applicata ai sensi dell’articolo 2 c.p., comma 4, in quanto lex mitior sopravvenuta rispetto a quella di cui al tempus commissi delicti.

Non e’ ugualmente scontato, invece, che trovi sempre applicazione la nuova legge per le cosiddette droghe leggere.

Il nuovo articolo 73, comma 5, infatti, prevede oggi per i fatti di lieve entita’ riguardanti qualunque tipo di stupefacente la medesima pena che la Legge Iervolino Vassalli contemplava per le droghe c.d. “leggere”. Quella dell’epoca, tuttavia, era pacificamente un’ipotesi di circostanza attenuante ad effetto speciale, mentre quello attuale e’ un reato autonomo.

Cio’ comportera’, dunque, che di volta in volta il giudice sara’ chiamato a verificare quale sia, in concreto, la disciplina piu’ favorevole.

Nella maggior parte dei casi lo sara’ la nuova norma in quanto, trattandosi di reato autonomo, le diminuzioni o gli aggravamenti di pena, dovuti alla presenza della recidiva o di altre aggravanti, si applicheranno sulla pena base determinata ai sensi del comma 5, anziche’ sulla pena base di cui al comma 4, (che contemplava la reclusione da due a sei anni e la multa da 5164 a 77.468 Euro), come sarebbe potuto accadere nel regime previgente in caso di ritenuta prevalenza e equivalenza delle aggravanti.

Non sara’ cosi’, pero’, in tutti quei casi in cui il giudice del merito abbia ritenuto quella che era pacificamente una circostanza attenuante qual era il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, prevalente su eventuali aggravanti e sulla recidiva.

Va ricordato sul punto, peraltro, che tale giudizio di prevalenza e’ stato possibile anche per la recidiva reiterata prevista dall’articolo 99 c.p.p., comma 4, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 251/2012 che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 69 c.p., laddove non lo consentiva. In tali casi, infatti, la norma previgente, secondo la quale il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, aveva natura circostanziale, risulta per le droghe leggere in concreto piu’ favorevole, e deve trovare applicazione ex articolo 2 c.p., comma 4, in quanto consente al giudice, pur in presenza di circostanze aggravanti o di recidiva, di applicare la sola pena di cui al comma 5.

Puo’ affermarsi, dunque, il principio per cui l’articolo 73, comma 5, nella formulazione oggi vigente, introdotta dalla Legge n. 79 del 2014, trova applicazione a tutti i processi ancora in corso per fatti di lieve entita’ relativi a droghe “pesanti”.

Per quelli relativi alle c.d. “droghe leggere” per fatti commessi fino al 23.12.2013 occorrera’ verificare, a parita’ di pena, se in concreto sia piu’ favorevole per l’imputato l’applicazione della ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, quale ipotesi circostanziale ovvero quale reato autonomo.

E ricorrera’ la prima evenienza solo in quei casi in vi siano recidiva o circostanze aggravanti contestate e il giudice ritenga le stesse minusvalenti, ex articolo 69 c.p., rispetto all’ipotesi attenuata di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5.

7. Fatto questo breve excursus normativo, alla luce dei principi ricordati, il motivo proposto dal ricorrente sarebbe stato fondato se l’imputazione avesse riguardato solo droghe c.d. leggere. Ma, come vedremo, cosi’ non e’. Se, infatti, vi fosse stato in contestazione solo l’hashish, avendo il giudice di primo grado ritenuta quella che all’epoca era pacificamente una circostanza attenuante prevalente sulla recidiva, si era in concreto di fronte al caso tipico in cui la legge piu’ favorevole era quella vigente all’epoca dei fatti (e cioe’ il reviviscente Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, nel testo della legge Iervolino-Vassalli). Cio’ in quanto, applicando la nuova legge si sarebbe stati di fronte ad un reato autonomo e quindi ci sarebbe dovuto essere l’aumento per la recidiva che, pur ritenendola subvalente, il giudice di primo grado aveva considerato.

Ma nel caso che ci occupa, in contestazione, vi e’ anche la cocaina.

Allorquando e’ stata pronunciata la sentenza di secondo grado non era ancora entrata in vigore la Legge 17 maggio 2014, n. 79, che ha introdotto la norma di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, oggi vigente che, come detto, indifferentemente, prevede sia per le droghe c.d. leggere che per quelle c.d. pesanti salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1032 a euro 10.329.

La Corte territoriale, pero’, scrive testualmente in motivazione (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata) di ritenere piu’ favorevole la pena edittale variabile tra mesi sei ed anni quattro di reclusione, oltre la multa.

Lo fa, sbagliando, evidentemente trascurando che in contestazione c’era anche la detenzione a fini di spaccio di cocaina, per cui secondo la normativa vigente al momento in cui pronunciava la sentenza la forbice edittale vigente per quanto riguardava il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, era quella compresa tra uno e cinque anni di reclusione, oltre la multa.

Tuttavia, sbagliando rispetto alla legge dell’epoca, la Corte fiorentina, ha finito per applicare la piu’ favorevole pena oggi vigente.

E’ evidente, infatti, e va qui ribadito, che nella valutazione tra legge piu’ o meno favorevole le leggi vanno comparate in toto, evidentemente non potendo operare un’applicazione frazionata che crei una terza legge che utilizzi gli aspetti piu’ favorevoli dell’una e dell’altra.

Percio’, applicando la legge che prevede la pena piu’ favorevole in relazione alla presenza di droghe pesanti (tale in quanto il “reviviscente” articolo 73, comma 5, della Legge Iervolino Vassalli prevedeva per le droghe pesanti una cornice edittale da uno a sei anni di reclusione, oltre la multa), essendosi di fronte ad un reato autonomo, andava operato l’aumento per la recidiva, che il giudice di primo grado aveva considerato, pur ritenendolo subvalente. E il risultato non e’ violativo del principio del divieto di reformatio in peius , in quanto le pene risultanti in appello dopo gli aumenti per continuazione e recidiva che quella finale sono rispettivamente piu’ miti di quelle risultanti in primo grado dopo l’aumento per la sola continuazione e di quella finale.

8. Si e’ detto, in precedenza, di come gia’ in imputazione veniva contestata la continuazione tra i vari episodi di spaccio, in relazione, evidentemente anche alla varieta’ di sostanze stupefacenti. Derivandone l’infondatezza del motivo di ricorso sopra indicato sub d.

Va rilevato, infine, come infondato sia anche il motivo di appello sub e. con cui si denuncia un vizio motivazionale in relazione alla pena irrogata appare infondato.

I giudici di merito hanno, infatti, dato conto in motivazione -soprattutto quello di primo grado – di un fatto avente un disvalore non di poco conto, ma, valutati tutti gli elementi dello stesso, hanno ritenuto di considerarlo di “lieve entita’”. Sebbene, dunque, effettivamente si siano limitati a richiamare in via generale la norma di riferimento di cui all’articolo 133 c.p., appare, tuttavia, evidente il motivo per cui, di fronte una pluralita’ di sostanze stupefacenti e di quantitativi non irrisori (gr 311,83 di hashish, nonche’ gr. 1,95 di cocaina, nonche’, ancora gr. 2,23 di hashish), pur riconoscendo l’ipotesi attenuata di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, non hanno potuto irrogare una pena vicina ai minimi edittali di quest’ultima.

9. Al rigetto del ricorso consegue la condanna, ex lege, al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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