Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 26 agosto 2014, n. 18232

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21452-2008 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 394/2008 del TRIBUNALE di CASSINO, depositata il 09/06/2008, R.G.N. 1296/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/05/2014 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’articolo 111 Cost., comma 7, contro (OMISSIS) avverso la sentenza del 9 giugno 2008, con la quale il Tribunale di Cassino in funzione di giudice dell’esecuzione, ha accolto, per quanto ancora interessa l’opposizione proposta dall’intimato con ricorso del 5 giugno 2006 avverso l’esecuzione forzata immobiliare n. 17 del 2006, introdotta da essa ricorrente con pignoramento del 13 gennaio 2006 sulla base di un precetto del 28 ottobre 2005, in forza di titolo esecutivo rappresentato dalla condanna alle spese giudiziali disposta dalla sentenza n. 165 del 2005 del Tribunale di Cassino, impugnata in grado di appello dinanzi alla Corte d’Appello di Roma.
Detta sentenza aveva rigettato una domanda proposta dagli intimati contro la ricorrente e condannato i medesimi alle spese.
2. L’intimata non ha resistito al ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione dell’articolo 282 c.p.c., per avere la sentenza impugnata negato l’efficacia di titolo esecutivo alla sentenza n. 165/2005 resa dal Tribunale di Cassino, contenente la condanna alle spese del giudizio in conseguenza del rigetto di un’azione di rivendicazione nullita’”.
Il motivo si duole che il Tribunale abbia ritenuto che l’articolo 282 c.p.c. (nel testo a suo tempo novellato dalla Legge n. 353 del 1990) non consenta di ritenere che la condanna alle spese giudiziali accessoria ad una sentenza di rigetto della domanda nel merito non passata in cosa giudicata possa essere ritenuta titolo esecutivo per le stesse.
Il Tribunale, nella sua motivazione, pur consapevole dell’orientamento in senso contrario affermato da Cass. n. 9236 del 2000 e Cass. n. 21367 del 2004, ha reputato che esso si dovesse considerare superato sulla base delle motivazioni prospettate da Corte costituzionale n. 232 del 2004, che, com’e’ noto, disse inammissibile la questione di costituzionalita’ della norma dell’articolo 282 c.c..
2. Il motivo e’ fondato sulla base dell’ormai consolidato orientamento della Corte, che ha evidenziato come e perche’ le considerazioni svolte dal Giudice delle Leggi nella detta decisione non siano dotate di efficacia persuasiva, la’ dove hanno sostenuto che la questione della esecutivita’ della condanna alle spese giudiziali accessoria a sentenza di rigetto si collocherebbe del tutto al di fuori dell’efficacia dell’articolo 282 c.p.c..
Non solo siffatta giurisprudenza e’ ampiamente consolidata, sicche’ e’ stato gia’ – in altra occasione (Cass. n. 23631 del 2012 e 13373 del 2012) – escluso che si vi fosse alcuna situazione di contrasto che rendesse opportuno rimettere la questione alle Sezioni Unite, come allora si era sollecitato, ma, inoltre, essa ha evidenziato ampiamente l’assenza di una situazione di contrasto dell’orientamento ormai consolidato proprio con quanto affermato dalla sentenza n. 232 del 2004.
A favore della tesi dell’esecutivita’ immediata si vedano: Cass. n. 22495 del 2010; n. 1283 del 2010; n. 16003 del 2008; n. 16262 del 2005; 16263 del 2005; n. 8059 del 2007; n. 16262 del 2005. Le stesse Sezioni Unite, nell’esaminare (sentenza n. 4059 del 2010) la questione della esecutivita’ dei capi condannatori accessori a sentenza costitutiva ai sensi dell’articolo 2932 c.c. hanno adottato una soluzione negativa in ragione della peculiarita’ di tale tipo di decisione, mostrando di avallare l’idea che al di fuori di questa particolarita’, la soluzione e’ ben diversa anche con riferimento alle stesse sentenze costitutive: si veda ampiamente in termini Cass. n. 24447 del 2011.
In particolare, sull’uno e sull’altro problema questa Corte si e’ ampiamente espressa con l’ordinanza n. 6639 del 2010, emessa a seguito di decisione ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c. e della quale e’ opportuno riportare la motivazione, che si e’ cosi’ articolata:
… si deve rilevare che del tutto inesattamente ed impropriamente si attribuisce nel ricorso alla citata sentenza della Corte costituzionale valore di legge in senso contrario a quell’asserto. In proposito, la Corte, nell’ord. n. 26276 del 2008 (sul ricorso n. r.g. 24961 del 2007) ha gia’ osservato quanto segue:
L’orientamento che ritiene applicabile l’immediata esecutivita’ della sentenza di primo grado assoggettata ad impugnazione anche alla condanna alle spese giudiziali accessoria ad una pronuncia di rigetto (e, quindi, di mero accertamento della infondatezza della domanda) e’ ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte: alla sentenza n. 21367 del 2004, che parte ricorrente conosce e da cui dissente quanto alle motivazioni, sono seguite le conformi Cass. n. 16262 del 2005, n. 16263 del 2005, n. 4306 del 2008; inoltre Cass. n. 18512 del 2007, con motivazione che ricostruisce il significato del precetto di cui all’articolo 282 c.p.c. autonomamente rispetto a Cass. n. 21367 del 2004, ha ritenuto provvisoriamente esecutivi i capi condannatoli accessori a pronuncia costitutiva: la motivazione di questa sentenza e’ idonea anche a superare le perplessita’ affacciate nel ricorso – sulla base di Corte costituzionale n. 232 del 2004 (peraltro discutibilmente supponente che la sentenza n. 21367 del 2004 abbia usato la nozione di accessorieta’ nel significato rilevante ai fini delle modificazioni della competenza per ragioni di connessione ai sensi dell’articolo 31 c.p.c.) – circa l’utilizzazione della nozione di accessorieta’ ai fini della condanna nelle spese. … la sentenza n. 232 del 2004 del Giudice delle leggi, pur avendo un dispositivo di rigetto, ha, in realta’, la sostanza di una declaratoria di inammissibilita’, in quanto la Corte costituzionale esaurisce espressamente la motivazione dicendo che la questione sollevata dal rimettente e’ fondata su un erroneo presupposto interpretativo, che cioe’ l’articolo 282 c.p.c. sia idoneo a giustificare l’esecutorieta’ del capo sulle spese di una sentenza non condannatoria nel merito.
Poiche’ siffatta lettura dell’articolo 282 c.p.c. e’ stata offerta dalla Corte costituzionale non gia’ con una pronuncia interpretativa di rigetto, per evidenziare, com’e’ suo tipico compito, un’interpretazione che renderebbe superabile la questione di costituzionalita’ dell’articolo 282 c.p.c., nella specie non puo’ venire in rilievo il principio di diritto che regola in punto di interpretazione i rapporti fra l’interpretazione del Giudice delle leggi e quella della Corte di cassazione e degli altri giudici.
Principio che e’ stato condivisibilmente cosi’ espresso: con la sentenza interpretativa di rigetto la Corte Costituzionale, nel ritenere non infondato il denunciato vizio di incostituzionalita’ della disposizione nella interpretazione non implausibile fornitane dal giudice a quo, in luogo di emettere una pronuncia caducatoria o additiva, indica una possibile, diversa interpretazione della stessa disposizione conforme a Costituzione.
Tale interpretazione adeguatrice operata dal giudice delle leggi rappresenta un esito di merito del sindacato di costituzionalita’ che non interferisce con il controllo di legittimita’ rimesso alla Corte di Cassazione, ed ha un effetto vincolante per i giudici ordinali e speciali, non esclusa la stessa Corte di Cassazione, nel senso che essi non possono piu’ accogliere quella interpretazione che la Corte costituzionale ha ritenuto, sia pure con una pronuncia di infondatezza della questione di legittimita’ costituzionale sottoposta al suo esame, viziata.
Essi possono solo risollevare la questione, ove non intendano aderire alla interpretazione adeguatrice del giudice delle leggi, ne’ ad altra interpretazione che, seppur diversa, ritengano parimenti conforme a Costituzione. (Cass. n. 166 del 2004).
Viene, invece, in rilievo il principio -ribadito di recente da questa Corte ed espressione tendenziale del principio di tendenziale coerenza dell’ordinamento nelle varie manifestazioni delle competenze dei suoi organi -secondo il quale l’interpretazione di una norma sottoposta a scrutinio di costituzionalita’, offerta dalla Corte costituzionale in una sentenza dichiarativa dell’infondatezza della questione, pur non essendo vincolante per il giudice chiamato successivamente ad applicare quella norma, rappresenta, per l’autorevolezza della fonte da cui proviene, un fondamentale contributo ermeneutico, che non puo’ essere disconosciuto senza valida ragione: il fondamento comune delle due distinte attivita’, pur finalisticamente diverse, esige infatti che, al fine dell’utile risultato della certezza del diritto oggettivo, le interpretazioni non vengano a divergere, se non quando sussistano elementi sicuri per attribuire prevalenza alla tesi contraria a quella in precedenza affermata (Cass. n. 5747 del 2007).
Questo principio, peraltro, non si attaglia al caso di specie, nel quale il giudizio dinanzi alla giurisdizione ordinaria pervenuto a questa Corte non e’ quello in cui ha avuto luogo il giudicato costituzionale di rigetto (che, com’e’ noto, avuto riguardo all’articolo 136 Cost., comma 1 non ha nemmeno un’efficacia preclusiva, potendo la questione non solo essere riproposta, sia pure con altri argomenti, ma addirittura potendo esserlo con gli stessi argomenti e ricevere una diversa risposta dalla Corte costituzionale in un diverso momento storico, come spesse volte e’ accaduto, non essendo la Corte stessa vincolata al suo precedente di rigetto). Viceversa, cio’ che viene in rilievo nella specie e’ un principio piu’ risalente, ancora una volta espressione del principio di tendenziale coerenza dell’ordinamento, pur nelle manifestazioni di competenza di organi diversi. Esso e’ quello secondo cui il fondamento comune delle interpretazioni, finalisticamente diverse, che compiono la Corte costituzionale e la Corte di cassazione esige che, ai fini dell’utile risultato della certezza del diritto obiettivo, le interpretazioni stesse non vengano a divergere, se non quando sussistano elementi sicuri per attribuire prevalenza alla tesi contraria a quella in precedenza affermatasi e saldamente costituita nella, communis opinio dottrinale e giurisprudenziale (Cass. sez. un. n. 2175 del 1969).
Ora, e’ vero che l’affermazione direttamente riferita all’esegesi dell’articolo 282 c.p.c. si inserisce nel solco della tradizionale interpretazione che legava l’esecutivita’ alla sentenza di condanna nel merito, ma non ne fa proprie le premesse, posto che non esclude che l’esecutivita’ possa riferirsi anche ai capi condannatoli di merito accessori a capi di accertamento o costitutivi che ne siano il presupposto, bensi’ sceglie di seguire un percorso argomentativo nuovo, cioe’ l’intendere la condanna nelle spese come estranea alla logica dell’anticipazione di tutela sostanziale rispetto al giudicato che sarebbe sottesa ad una norma come l’articolo 282 c.p.c. (e lo sarebbe stata quando l’esecutivita’ era riferita alla sentenza di secondo grado). Si tratta di una logica che, innanzi tutto e’ espressione di attivita’ interpretativa che non assume a fondamento alcuna giustificazione costituzionale, cioe’ non si pone, al livello dei principi costituzionali, e che, dunque, non puo’ essere ritenuta espressione di esercizio da parte della Corte costituzionale della sua attivita’ istituzionale di interprete dell’ordinamento costituzionale. Ne consegue che essa, ferma l’autorevolezza dell’organo da cui proviene, si pone sul piano della normale esegesi interpretativa e, pertanto, come tale puo’ essere oggetto di dissenso, specie da parte del giudice cui compete istituzionalmente lo svolgimento della ed. funzione di nomofilachia, atteso altresi’ che nella dottrina processualcivilistica da tempo era stato posto in discussione l’orientamento tradizionale. Peraltro, nella specie i passaggi argomentativi con i quali la sentenza mostra di ricollegare l’esecutivita’ di cui dice l’articolo 282 c.p.c. alla sentenza di condanna nel merito non sono nemmeno espliciti nell’individuate il fondamento di un simile collegamento esclusivo.
La’ dove precisano che il fondamento della condanna nelle spese e’ il principio di soccombenza non chiariscono perche’, una volta che il principio della soccombenza ha trovato manifestazione per il tramite del potere del giudice in una condanna, tale condanna, quale amminicolo della tutela in giudizio del diritto del convenuto che ha avuto ragione non debba trovare immediate attuazione.
Va detto, semmai, che il lettore della sentenza – e ne e’ prova il commento che la sentenza ha ricevuto in dottrina – dall’accento posto dalla Corte sul valore del principio di soccombenza ricava l’impressione che la Corte, pur opinando che non sia l’articolo 282 c.p.c. la chiave per giustificare l’esecutivita’ del capo condannatorio alle spese giudiziali accessorio a sentenza di rigetto della domanda di merito, ritenga, in realta’, che tale esecutivita’ si giustifichi proprio come implicazione del principio di soccombenza.
Se, infatti, la giustificazione ultima di quest’ultimo e’ che il soggetto che agisce o resiste in giudizio non deve, se ha ragione, subire (almeno di regola: l’eccezione e’ il potere di compensazione) sacrifici per essere stato costretto ad agire o a resistere in giudizio, quali quelli del costo del processo, allora appare giustificato che, mano a mano che il processo segue il suo corso, l’autorita’ della decisione non definitiva possa giustificare l’esecutivita’ immediata del capo sulle spese. Di modo che essa si giustifica per le ragioni poste a base dell’orientamento interpretativo sull’articolo 282 c.p.c. ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte siccome espresse da Cass. n. 18512 del 2007. Esse non sono basate sul concetto di accessorieta’ cui allude il Giudice delle leggi e da Esso non sono state in alcun modo esaminate ed anzi parrebbero, come non ha mancato di rilevare la dottrina, ricevere surrettizio avallo. In fine, nel senso dell’orientamento qui condiviso, si veda, da ultimo, Cass. n. 16003 del 2008.2.1. Dev’essere, dunque, ribadito che il capo condannatorio relativo alle spese accessorio ad una sentenza di primo grado di rigetto della domanda e’ immediatamente esecutivo ai sensi dell’articolo 282 c.p.c..
3. Le motivazioni appena riportate a giustificazione di tale principio di diritto (da ultimo richiamate dalle citate Cass. n. 23631 del 2012 e 13373 del 2012) comportano l’accoglimento del motivo di ricorso e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Cassino. Il rinvio e’ necessario, perche’ la sentenza impugnata aveva ritenuto assorbiti altri motivi di opposizione.
4. Al giudice di rinvio e’ rimesso di regolare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Cassino, in persona di diverso magistrato addetto all’ufficio anche per le spese del giudizio di cassazione.

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