cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 26 gennaio 2015, n. 3417

 

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da
– (OMISSIS), n. (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d’appello di BRESCIA in data 2/12/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROMANO Giulio, che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 2/12/2013, depositata in data 31/01/2014, la Corte d’appello di BRESCIA rigettava la richiesta di revisione della sentenza della Corte d’appello di MILANO emessa in data 12/01/2011 proposta da (OMISSIS), con cui il medesimo era stato condannato alla pena di anni 6, mesi 1 e gg. 10 di reclusione per i reati di violenza sessuale aggravata, sequestro di persona e lesioni aggravate; con sentenza emessa da questa stessa Sezione in data 11/04/2013 (n. 32106/2013, dep. 24/07/2013), veniva disposto l’annullamento dell’ordinanza 7/06/2012 con cui la Corte bresciana aveva in precedenza dichiarato inammissibile la predetta istanza di revisione, annullamento determinato dalla violazione del diritto al contraddittorio per essere stata l’ordinanza pronunciata de plano e non seguendo la procedura camerale di cui all’articolo 127 c.p.p..
2. Ha proposto ricorso il condannato a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta, deducendo cinque motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con un primo motivo, il vizio di violazione di legge ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera c), per erronea applicazione degli articoli 11, 178 e 179 c.p.p., articolo 634 c.p.p., comma 2, 1 e tab. A allegata al Decreto Legislativo n. 271 del 1998.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte d’appello di Brescia non era giudice competente ex articolo 11 c.p.p., a decidere in sede di rinvio; l’errore, che sarebbe stato provocato da questa stessa Corte di legittimita’ in sede di annullamento disposto con la sentenza dell’aprile 2013, non sarebbe stato rilevato dalla difesa del ricorrente davanti alla Corte d’appello di Brescia, ma cio’ non rileverebbe in quanto si tratterebbe di nullita’ assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del processo; ne discenderebbe, quindi, la nullita’ della sentenza pronunciata dalla Corte bresciana, con conseguente richiesta di annullamento con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, competente ex articolo 11 c.p.p., in base all’articolo 634 c.p.p., comma 2.
2.2. Deduce, con un secondo motivo, il vizio di violazione di legge ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera c), per erronea applicazione dell’articolo 630 c.p.p., lettera e), o dell’articolo 630 c.p.p., lettera d).
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte d’appello di Brescia avrebbe erroneamente qualificato l’istanza di revisione come proposta ai sensi dell’articolo 630 c.p.p., lettera d), anziche’ ai sensi della lettera c) della medesima disposizione processuale; in altri termini, avrebbe respinto l’istanza in base al presupposto che difetterebbe una condanna per calunnia nei confronti della p.o. (teste (OMISSIS)); diversamente, si sostiene in ricorso, la richiesta era motivata ai sensi dell’articolo 630 c.p.p., lettera c), in quanto le prove indicate (foto, lettere e conversazione registrata) erano da considerarsi come nuove perche’ recuperate in un momento successivo a quello dell’irrevocabilita’ della sentenza e che, comunque, avrebbero dovuto essere valutate unitamente a quelle gia’ acquisite, atteso che le stesse non erano rivolte a dimostrare la falsita’ delle dichiarazioni della p.o. ma finalizzate ad evidenziare la carenza di credibilita’ oggettiva e soggettiva della persona offesa; si osserva, ancora, che a prescindere dal giudizio per calunnia, sussiste un interesse all’accertamento della verita’, sicche’ spettava al giudice della revisione procedere incidentalmente all’accertamento della calunnia al fine di valutare l’attendibilita’ della ritrattazione della p.o.; su tale ultimo profilo, poi, il ricorrente censura l’affermazione della Corte d’appello secondo cui la mera ritrattazione non sarebbe di per se’ idonea ad intaccare il giudicato, in quanto – interpretando correttamente la giurisprudenza di legittimita’ piu’ avvertita – si deve ritenere che per intaccarlo la ritrattazione dev’essere corroborata dalle ragioni che determinarono il mendacio; nel caso in esame, la (OMISSIS) avrebbe chiarito le ragioni per le quali avrebbe mentito (v. pag. 14 ricorso), sicche’ la Corte d’appello avrebbe erroneamente valutato i motivi della revisione, con conseguente integrazione del rilevato vizio.
2.3. Deduce, con un terzo motivo, il vizio di motivazione di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera e), sub specie di contraddittorieta’ della motivazione in ordine alle ragioni dell’inidoneita’ dei nuovi elementi addotti a instaurare il giudizio di revisione.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte d’appello di Brescia avrebbe rigettato l’istanza di revisione ritenendo necessaria la prova della falsita’ delle dichiarazioni della (OMISSIS); sul punto, tuttavia, osserva il ricorrente come le lettere cui si riferisce il giudice della revisione sarebbero state solo esibite e non acquisite come prova dalla Corte d’appello, dunque non sarebbero mai state valutate; inoltre, si aggiunge in ricorso, mentre solo alcune missive risultano indirizzate all’A.G. (e quindi potrebbero essere considerate un vera e propria ritrattazione), le missive indirizzate dalla p.o. al ricorrente, unitamente alla foto “sexy” ed alla conversazione registrata, non potrebbero essere considerate giuridicamente una ritrattazione, sicche’ sul punto vi sarebbe contraddittorieta’ della motivazione e travisamento probatorio, avendo la Corte d’appello erroneamente qualificato le nuove prove non esibite ai giudici equiparandole alle missive esibite ai giudici di merito; le prime, in altri termini, avrebbero dovuto essere esaminate autonomamente, in quanto idonee ad intaccare il giudicato.
2.4. Deduce, con un quarto motivo, il vizio di motivazione di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera e), sub specie di travisamento della prova rispetto ad atti processuali.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte d’appello di Brescia avrebbe sostenuto erroneamente che gli argomenti addotti dalla difesa, ovvero la ritrattazione della (OMISSIS), non escluderebbero che la violenza sessuale sia comunque avvenuta; dopo aver riportato il passaggio motivazionale censurato (v. pag. 18/19 del ricorso), il ricorrente, oltre a dolersi del fatto che il giudice della revisione avrebbe utilizzato i medesimi argomenti gia’ in precedenza utilizzati dal GIP in sentenza, censura la sentenza della Corte d’appello di Brescia in quanto nella lettera citata la p.o. non avrebbe mai ammesso la violenza sessuale, ne’ un rapporto contro la sua volonta’, cosa piu’ volte ribadita sia davanti agli inquirenti che al ricorrente (sul punto, in particolare, il ricorrente richiama alcun passaggi di tali missive nonche’ della conversazione registrata in cui la donna sembrerebbe attribuire alla condotta degli inquirenti le accuse mosse al ricorrente, quasi che gli stessi abbiano voluto fomentarla contro il (OMISSIS) stravolgendo il significato del rapporto sessuale intercorso tra i due); il ricorrente censura, infine quanto affermato dalla Corte bresciana secondo cui la violenza sarebbe stata ammessa anche dal ricorrente durante un colloquio in carcere tra questi e la sorella; diversamente, si evidenzia, la lettura attenta dell’intercettazione ambientale escluderebbe che il ricorrente abbia inteso violentare la p.o., ma solo di averla picchiata quando si trovava sul divano, sicche’ la Corte d’appello avrebbe motivato pacificamente in contrasto con le prove su cui si e’ fondata la condanna del ricorrente nonche’ con i nuovi elementi addotti per chiedere la revisione del processo.
2.5. Deduce, con un quinto motivo, il vizio di violazione di legge di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera c), per erronea applicazione dell’articolo 192 c.p.p., in ordine alla credibilita’ della p.o. e correlato vizio motivazionale ex articolo 192 c.p.p., articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e).
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte d’appello di Brescia non avrebbe adeguatamente motivato sull’attendibilita’ della p.o., in quanto, alla luce delle discrasie, perplessita’ e contraddizioni emerse nel corso del giudizio, unite alla ritrattazione e consacrate con i nuovi elementi di prova nella richiesta di revisione, risulterebbe evidente che la versione fornita dalla p.o. sia priva della credibilita’ soggettiva ed oggettiva.
3. Con requisitoria scritta depositata presso la cancelleria di questa Corte in data 3 luglio 2014, il Procuratore Generale presso la S.C. ha chiesto rigettarsi il ricorso, in particolare rilevando – quanto alla violazione dell’articolo 11 c.p.p., in sede di attribuzione della competenza al giudice della revisione – che la competenza attribuita con sentenza della Cassazione, ancorche’ in violazione di legge, non e’ suscettibile di sindacato successivo; quanto al merito, ha rilevato che la richiesta di revisione dovesse essere ricondotta nella previsione dell’articolo 630 c.p.p., lettera d), e che, in ogni caso, volendo qualificarla ai sensi della lettera c), della norma processuale richiamata, non costituisce prova nuova la semplice ritrattazione, soprattutto alla luce delle considerazioni espresse dalla Corte territoriale circa l’inidoneita’ delle dichiarazioni della p.o. e degli ulteriori elementi documentali addotti ad intaccare il giudicato di condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso e’ infondato dev’essere rigettato per le ragioni di seguito esposte.
5. Seguendo l’ordine logico – strutturale dell’impugnazione di legittimita’, deve ritenersi privo di pregio il primo motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione dell’articolo 11 c.p.p., e articolo 634 c.p.p., comma 2.
Ed invero, pacifico sulla questione e’ l’orientamento di questa Corte secondo cui la sentenza di annullamento con la quale la Corte di cassazione devolve il giudizio al giudice del rinvio e’ attributiva della competenza in favore di questi, senza che la corretta applicazione dei criteri per la sua individuazione, stante il disposto dell’articolo 627 c.p.p., comma 1, possa essere in una qualunque sede sindacata. Ne consegue che la designazione, una volta intervenuta, non e’ suscettibile di revoca o modifica, quand’anche risulti effettuata in violazione della legge (v., da ultimo: Sez. 5, n. 13754 del 06/11/2008 – dep. 30/03/2009, Anello, Rv. 243592).
6. Puo’ quindi procedersi all’esame del secondo motivo, che il Collegio reputa infondato. Come esposto nell’illustrazione del relativo motivo, il ricorrente ritiene che la Corte d’appello abbia commesso un errore nel qualificare la richiesta di revisione ai sensi dell’articolo 630 c.p.p., lettera d), anziche’ ai sensi della lettera c) della richiamata norma processuale.
Orbene, rileva sul punto il Collegio come e’ lo stesso ricorrente a riconoscere che le “prove nuove” erano preordinate a porre in dubbio l’attendibilita’ della persona offesa e non erano finalizzate a fare rilevare la falsita’ delle dichiarazioni rese dalla medesima. Deve essere qui ricordato, invero, che, ai fini della valutazione incidentale da parte del giudice della revisione, e’ pur sempre necessario che il reato di calunnia sia estinto per prescrizione (tra le tante: Sez. 3, n. 4960 del 28/11/2007 – dep. 31/01/2008, Galli, Rv. 239088), non potendo ritenersi qualificabile come “prova nuova” la mera ritrattazione (v., ex multis: Sez. 3, n. 4960 del 28/11/2007 – dep. 31/01/2008, Galli, Rv. 239089), peraltro giustificata da motivazioni inverosimili, come affermato dal giudice della revisione (ossia, la volonta’ della persona offesa di redimere il (OMISSIS) facendolo uscire dal giro della droga, facendolo disintossicare anche attraverso la carcerazione), motivazioni perdipiu’ confliggenti con gli elementi di riscontro valutati dalla Corte d’appello.
6.1. Ritiene, peraltro, sulla questione il Collegio di dover svolgere alcune considerazioni, atteso che e’ possibile affermare che le dichiarazioni della persona offesa, costituenti una “ritrattazione”, con le quali la stessa sostiene che non vi fu violenza sessuale sono astrattamente qualificabili come dichiarazioni “liberatorie” che, in quanto promananti da soggetto “indagabile” per il reato di calunnia, sono soggette al regime valutativo proprio del reato probatoriamente collegato ex articolo 371 c.p.p., comma 2, lettera b), previsto dall’articolo 192 c.p.p., commi 2 e 3, proprio perche’ rese da soggetto che non puo’ essere sentito come testimone.
Deve, pertanto essere affermato ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., il seguente principio di diritto:
“In tema di revisione, le dichiarazioni delle persona offesa che ritratti le precedenti accuse rivolte nei confronti del condannato, non costituiscono, di per se’, prove nuove idonee a sostenere un’istanza di revisione ai sensi dell’articolo 630 c.p.p., lettera c), atteso che le stesse soggiacciono alle regole della valutazione probatoria previste dal combinato disposto dei commi secondo e terzo dell’articolo 192 c.p.p., le quali attribuiscono alle medesime la natura di semplici elementi di prova non dotate ex se di autonoma valenza probatoria, dovendo dette dichiarazioni essere prese in considerazione solo unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilita’”.
7. Parimenti infondato e’ il terzo motivo, con cui il ricorrente deduce il travisamento della prova, per aver la Corte d’appello erroneamente equiparato alle missive inviate ai giudici quelle inviate al (OMISSIS).
La censura si risolve, all’evidenza, in una manifestazione di dissenso rispetto alla “etichetta” attribuita alla documentazione prodotta in sede di istanza di revisione, essendo pacifico che la Corte d’appello abbia ritenuto – al di la’ della natura o meno di “ritrattazione” dei documenti non inviati ai giudici – che il contenuto di tali atti fosse complessivamente inidoneo ad inficiare la solidita’ del quadro probatorio a carico del ricorrente.
Sul punto non va dimenticato che in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purche’ specificamente indicati dal ricorrente, e’ ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilita’ della valutazione nel merito del risultato probatorio (da ultimo, v.: Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014 – dep. 03/02/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774).
8. Puo’ quindi procedersi all’esame del quarto motivo di ricorso, con cui il ricorrente deduce nuovamente il vizio di travisamento probatorio in quanto: a) nella lettera citata la p.o. non avrebbe mai ammesso la violenza sessuale, ne’ un rapporto contro la sua volonta’; b) la violenza non sarebbe stata ammessa dal ricorrente durante un colloquio in carcere tra questi e la sorella, oggetto di intercettazione ambientale.
Purtroppo, come gia’ evidenziato nel paragrafo che precede, la doglianza mira ancora una volta a censurare l’interpretazione operata dalla Corte d’appello relativamente al contenuto di tale atto, operazione non consentita in quanto la stessa esula dal sindacato di legittimita’ di questa Corte. D’altronde, osserva il Collegio, e’ stato gia’ affermato che l’interpretazione e la valutazione del contenuto di un’intercettazione (nella specie, ambientale) costituisce una questione di fatto, non sindacabile dalla Corte di legittimita’, sotto il profilo della manifesta illogicita’ o irragionevolezza della motivazione (v., tra le tante: Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013 – dep. 21/08/2013, Vecchio e altri, Rv. 257784), nella specie non rilevabile. Nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non deve infatti stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento: cio’ in quanto l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non consente alla Corte di una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perche’ e’ – estraneo al giudizio di legittimita’ il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (v., tra le tante: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – dep. 06/02/2004, Elia ed altri, Rv. 229369).
9. Dev’essere, infine, esaminato l’ultimo motivo di ricorso, per il quale il Collegio esprime analogo giudizio di infondatezza.
Il profilo, come anticipato nell’illustrazione del quinto motivo, attiene all’omessa motivazione sull’attendibilita’ della persona offesa, alla luce dei nuovi elementi di prova contenuti illustrati nell’istanza di revisione. La Corte d’appello, sul punto, motiva le ragioni per le quali le “prove nuove” non sarebbero state idonee ad inficiare il giudizio di attendibilita’, come del resto correttamente illustrato anche dal Procuratore Generale in sede di requisitoria scritta (pag. 2).
Il motivo e’ inammissibile, atteso che la novella dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), ad opera della Legge n. 46 del 2006, consente che per la deduzione dei vizi della motivazione il ricorrente faccia riferimento come termine di comparazione anche ad atti del processo a contenuto probatorio, ed introduce cosi’ un nuovo vizio definibile come “travisamento della prova”, per utilizzazione di un’informazione inesistente o per omissione della valutazione di una prova, entrambe le forme accomunate dalla necessita’ che il dato probatorio, travisato o omesso, abbia il carattere della decisivita’ nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica (Sez. 2, n. 19848 del 24/05/2006 – dep. 09/06/2006, P.M. in proc. Todisco, Rv. 234162). E, nel caso di specie, cio’ che difetta e’ proprio la prova della decisivita’, come infatti si evince dalla stessa motivazione dell’impugnato provvedimento in cui e’ lo stesso giudice della revisione ad escludere, con motivazione logica ed immune da vizi, che tali “nuove prove” fossero idonee ad inficiare il giudizio di attendibilita’.
10. In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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