La massima

La dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario – mediante la quale si realizza la separazione del patrimonio del defunto e la restrizione della responsabilità dell’erede intra vires hereditatis – è pur sempre dichiarazione di volere accettare l’eredità, sicché l’erede beneficiato acquista i diritti caduti nella successione e diventa soggetto passivo delle relative obbligazioni. Come tale, a differenza del chiamato che non abbia ancora accettato, il quale a norma dell’art. 486 cod. civ. sta in giudizio in rappresentanza dell’eredità, l’erede beneficiato è legittimato in proprio a resistere e a contraddire, tant’è che l’eventuale pronuncia di condanna al pagamento dell’intero debito ereditario va emessa nei suoi confronti, salvo che, in concreto, la responsabilità andrà contenuta intra vires hereditatis nel caso in cui egli abbia fatto valere il beneficio, proponendo la relativa eccezione.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

SENTENZA 26 luglio 2012, n.13206

Svolgimento del processo

Con ricorso del 10 marzo 2005 F..B. , quale legale rappresentante della figlia minore E.M..P. , propose opposizione all’esecuzione immobiliare promossa dal Comune di Porcia nei confronti suoi e della minore.
Dedusse l’opponente che la quota del bene staggito appartenente alla figlia, pari al 50% di un appartamento sito in (omissis), non era pignorabile, in quanto bene personale della minore medesima, erede beneficiata ex lege del padre premorto, laddove il titolo azionato riguardava un credito dell’esecutante nei confronti del de cuius.
Sulla base di tali premesse, chiese l’opponente che, accertata l’impignorabilità del bene, il pignoramento venisse dichiarato nullo.
Costituitosi in giudizio, il Comune di Porcia eccepì che, pur rispondendo al vero che la quota di immobile pignorata non era bene ereditario proveniente dal padre, si trattava tuttavia di bene acquistato dalla madre, in nome e per conto della figlia, con denaro in buona parte proveniente dalla vendita di un immobile sicuramente facente parte dell’asse ereditario paterno.
Con sentenza del 28 luglio 2006 il giudice adito ha respinto l’opposizione.
Ha osservato il decidente che la somma precettata dall’Ente era di Euro 23.661,79; che dell’asse ereditario faceva parte un cespite la cui vendita, autorizzata dall’autorità giudiziaria, aveva assicurato alla minore, quale parte di sua spettanza, l’importo di Euro 77.470,00; che la somma era stata reimpiegata dalla madre per l’acquisto della quota immobiliare pignorata.
In tale contesto ha affermato il Tribunale che il bene della minore, nel quale era stato trasformato quello ereditario, ben potesse essere espropriato dal creditore del de cuius.
Diversamente opinando, invero, la regola della responsabilità intra vires sarebbe stata facilmente elusa, sufficiente essendo, a tal fine, la liquidazione dell’attivo ereditario e l’acquisto, con il ricavato, di altri beni che, in quanto personali dell’erede, non sarebbero più aggredibili dal creditori ereditari.
Per la cassazione dei detta pronuncia ricorre a questa Corte B.F. , formulando tre motivi, illustrati anche da memoria. Resiste con controricorso il Comune di Porcia.

Motivi della decisione

1.1 Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 490, 495 e 507 cod. proc. civ.. Sostiene che la sentenza impugnata avrebbe fatto malgoverno del principio per cui l’erede beneficiato risponde dei debiti e dei legati intra vires hereditatis e cum viribus hereditatis, e cioè con i beni dell’asse ereditario, di talché i beni personali dell’erede che abbia accettato con beneficio d’inventario non sarebbero suscettibili di esecuzione forzata da parte dei creditori ereditari.

1.2 Con il secondo mezzo lamenta violazione degli artt. 490 e 832 cod. civ., nonché mancanza e contraddittorietà della motivazione.

Secondo l’esponente, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, nel nostro ordinamento vigerebbe il principio per cui i creditori del de cuius possono soddisfare i loro crediti solo sui beni che facevano parte del patrimonio del debitore, al momento della morte, non già sui beni personali dell’erede beneficiato. Né sarebbe rinvenibile nell’ordinamento una norma che preveda il trasferimento della garanzia patrimoniale sui beni personali dell’erede che abbia accettato con beneficio d’inventario.

Pertanto, del tutto contraddittoriamente la sentenza impugnata, dopo aver riconosciuto che il bene staggito non era un bene ereditario, aveva ritenuto sussistente il diritto di procedere esecutivamente sullo stesso.

1.3 Con il terzo motivo l’impugnante torna a denunciare violazione degli artt. 490 e 832 cod. civ., nonché vizi motivazionali. Il giudice di merito non avrebbe per vero considerato che pacificamente l’immobile sottoposto ad esecuzione era stato acquistato anche con denaro proveniente da un contratto di mutuo stipulato dalla madre nell’interesse della minore. Conseguentemente esso era, almeno in parte, un bene personale dell’erede, bene sottoposto, malgrado ciò, per intero a esecuzione.

2. Le critiche, che si prestano a essere esaminate congiuntamente, per la loro evidente connessione, sono infondate.

Occorre muovere dalla considerazione che la dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario – mediante la quale si realizza la separazione del patrimonio del defunto e la restrizione della responsabilità dell’erede intra vires hereditatis – è pur sempre dichiarazione di volere accettare l’eredità, sicché l’erede beneficiato acquista i diritti caduti nella successione e diventa soggetto passivo delle relative obbligazioni. Come tale, a differenza del chiamato che non abbia ancora accettato, il quale a norma dell’art. 486 cod. civ. sta in giudizio in rappresentanza dell’eredità, l’erede beneficiato è legittimato in proprio a resistere e a contraddire, tant’è che l’eventuale pronuncia di condanna al pagamento dell’intero debito ereditario va emessa nei suoi confronti, salvo che, in concreto, la responsabilità andrà contenuta intra vires hereditatis nel caso in cui egli abbia fatto valere il beneficio, proponendo la relativa eccezione (Cass. civ. 19 marzo 2007, n. 6488; Cass. civ. 14 marzo 2003, n. 3791).

3. Posto dunque che l’erede beneficiato è, comunque, erede e che, come tale, succede anche nei debiti, l’affermazione secondo cui la disposizione dell’art. 490, secondo comma, n. 2, cod. civ. ne limita la responsabilità per il pagamento dei debiti ereditari e dei legati intra vires e cum viribus, va posta in relazione alle cautele che nel sistema circondano l’aggressione dei beni propri dell’erede beneficiato, atteso che, a norma dell’art. 497 cod. civ., questi non può essere costretto al pagamento con i propri beni, se non quando è stato costituito in mora a presentare il conto e non ha ancora soddisfatto a quest’obbligo (primo comma) ovvero, dopo la liquidazione del conto, fino alla concorrenza delle somme di cui sia debitore (secondo comma).

In tale contesto è stato quindi da questa Corte affermato che (il beneficio d’inventario limita, normalmente, la responsabilità dell’erede non solo al valore, ma anche ai beni allo stesso pervenuti, assoggettando, in via di principio, questi e non quelli personali all’esecuzione forzata (confr. Cass. civ. 29 aprile 1993, n. 5067). Il che tuttavia non vuol dire che la vendita di un bene ereditario e il reinvestimento del denaro ricavato, rispettati gli oneri procedurali imposti dagli artt. 747 e segg. cod. proc. civ., valga a purgare definitivamente l’acquisto. È sufficiente al riguardo considerare che il nodo della disciplina che limita la responsabilità dell’erede beneficiato è pur sempre il valore dei beni (art. 490, secondo comma, n. 2 cod. civ., e proprio al fine di evitarne la dispersione il legislatore ha previsto non solo che gli atti dispositivi degli stessi debbano essere autorizzati, pena la decadenza dal beneficio d’inventario, dal tribunale, ma ha altresì stabilito che il giudice, quando occorre, fissi le modalità per la conservazione e il reimpiego del prezzo ricavato (art. 748, secondo comma, cod. proc. civ.).

A ben vedere, infatti, in relazione all’eredità accettata con beneficio d’inventario, la trasparente ratio di tale norma è proprio quella di bloccare il valore del bene in modo che, se non cum viribus, i creditori possano comunque soddisfarsi intra vires.

4. Venendo al caso di specie – pacifico in causa che il bene staggito venne acquistato, in parte, anche grazie al denaro ricavato dalla vendita di un bene del de cuius e rimasto, per altro verso, fuori del dibattito processuale ogni questione in ordine a una eventuale presentazione del conto – non ha errato il giudice di merito quando ha ritenuto il cespite pignorabile ed espropriabile, ancorché sul ricavato il creditore potrà soddisfarsi soltanto entro i limiti del valore del bene pervenuto alla minore. Né è sostenibile che l’esecuzione dovesse essere ab initio contenuta alla sola frazione dell’immobile staggito ipoteticamente corrispondente al ricavato della vendita di quello ereditario, come la ricorrente sostiene nel terzo motivo di ricorso.

Sul piano dogmatico soccorre il rilievo, innanzi evidenziato, che l’erede beneficiato è pur sempre erede e, come tale, successore del defunto anche nei debiti; sul piano pratico, non par dubbio che la quota del bene acquistato in cui si è materializzato il valore di quello ereditario è elemento accertabile solo ex post, a esecuzione avvenuta, e che gli unici dati certi al momento del promovimento di questa sono, da un lato, il debito del de cuius rimasto impagato, e, dall’altro, il prezzo ricavato da quello ereditario reinvestito nel cespiste pignorato.

Ne deriva che il ricorso deve essere rigettato in applicazione del seguente principio di diritto: in caso di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, la vendita di un bene ereditario e il reinvestimento del denaro ricavato, rispettati gli oneri procedurali imposti dagli artt. 747 e segg. cod. proc. civ., non rendono il bene dell’erede impignorabile da parte dei creditori del de cuius, i quali ben potranno pertanto sottoporlo ad esecuzione e rivalersi sul ricavato, nei limiti del valore del bene ereditario, ove l’erede, proponendo la relativa eccezione, faccia valere il beneficio.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

La difficoltà delle questioni consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

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