cassazione 8

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 27 maggio 2015, n. 22127

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TERESI Alfredo – Presidente

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 59/2014 TRIB. LIBERTA’ di LUCCA, del 20/11/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;

sentite le conclusioni del PG Dott. Enrico Delehaye, che ha chiesto rigettarsi il proposto ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 20.11.2014 il Tribunale di Lucca ha rigettato il riesame proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS), per l’effetto confermando il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., in relazione all’articolo 322 ter c.p., fino a concorrenza di euro 481.779,41 per (OMISSIS) e di euro 240.477,00 per (OMISSIS) (valore del profitto del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter).

2. Ricorrono per Cassazione, con unico ricorso a firma dell’avv. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) deducendo:

– Violazione di legge ex articolo 325 c.p.p., in relazione all’articolo 322 ter c.p..

Il difensore ricorrente ricorda che in sede di riesame aveva dedotto la violazione dell’articolo 322 ter c.p., nella misura in cui il decreto di sequestro preventivo per equivalente non aveva affatto indagato circa il necessario presupposto della adozione della misura: l’esistenza nel patrimonio del debitore dell’imposta, pur se persona giuridica, di beni direttamente o indirettamente riconducibili al profitto del reato.

Viene richiamato il precedente costituito dalla pronuncia delle Sezioni Unite “Gubert” n. 10561/2014, proprio in materia di reati tributari, laddove si legge che “e’ consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quanto tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ ditale persona giuridica” e che dunque “non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisco di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato” (viene richiamato nello stesso senso anche il precedente di questa sez. 3, n. n. 45471/2014).

Il difensore ricorrente rileva che la questione posta con la richiesta di riesame non era puramente formale (e dunque non concerneva soltanto la totale assenza nel decreto di sequestro di qualsivoglia accenno ad un accertamento che avesse escluso la praticabilita’ del sequestro in via diretta del patrimonio del debitore dell’imposta), avendo dimostrato, anzi, i ricorrenti a mezzo di documentazione, prodotta con la medesima richiesta di riesame, che, alla data di adozione del decreto di sequestro, la liquidita’ della societa’ (OMISSIS) S.r.l., gia’ ammessa alla procedura di concordato preventivo, era pari ad euro 1.306.164,30, cui andava ad aggiungersi il valore del magazzino pari ad euro. 450.000,00 e quello di un bene immobile che gli organi della procedura concordataria avevano stimato pari ad euro 880.000,00, a fronte di un debito di imposta di euro 722.221,92.

La effettiva possibilita’ di garantire il ristabilimento dell’equilibrio finanziario violato tramite il sequestro diretto anche soltanto di poco piu’ della meta’ del solo denaro contante in possesso della societa’, rendeva dunque evidentemente illegittimo – secondo la tesi proposta in ricorso – il sequestro per equivalente operato, ex articolo 322 ter c.p. sul patrimonio personale degli indagati.

Si duole, invece, il ricorrente che, con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Lucca, dopo aver precisato che il fatto che il debito fosse ampiamente garantito tramite la procedura concordataria che ne prevedeva il pagamento nella sua integrante in via privilegiata non escludeva la legittimita’ del sequestro, abbia respinto la questione di illegittimita’ avanzata, operando una propria personale interpretazione della citata sentenza di questa Suprema Corte a Sezioni Unite, interpretazione evidentemente confliggente non soltanto con le espressioni in essa usate, ma anche con la consolidata giurisprudenza di legittimita’ in punto di “profitto” del reato tributario.

Se infatti il Tribunale di Lucca conviene con la difesa nel ritenere che nei reati tributari il profitto possa assumere le vesti di “risparmio di spesa” (v. Cass. Sez. Un. 31 gennaio 2013, n. 18734, Adami), nega poi che quel risparmio di spesa, presente nei conti correnti della societa’, costituisca profitto dei reati tributari commessi sequestrabile in via diretta.

La premessa da cui parte il Tribunale, in evidente difformita’ rispetto alla giurisprudenza formatasi in materia, e’ che la pronuncia n. 10561 sopra citata vada interpretata nel senso che, anche laddove il profitto sia rappresentato da denaro, il sequestro diretto possa ed anzi debba attingere solo ed esattamente quelle banconote che costituiscono risparmio di spesa di quella specifica violazione della norma tributaria. Non basterebbe, in sostanza, che vi sia risparmio di spesa e dunque denaro liquido nelle casse del debitore di imposta, ma sarebbe necessario che vi sia proprio quel preciso denaro che il debitore avrebbe risparmiato non adempiendo al debito di imposta.

Cosi’ argomentando il Tribunale giunge a sostenere come “in atti non si rinvenga alcun concreto elemento che consenta di affermare che il profitto dell’ipotizzato reato, nel senso ora inteso, sia rimasto nella disponibilita’ della persona giuridica, tanto da imporre in via preventiva il sequestro, in funzione della confisca diretta, di beni nei confronti della persona giuridica. Non e’ dato sapere come le somme non corrisposte all’erario siano state utilizzate dalla societa’ e per essa dal suo legale rappresentante”.

Che nell’ambito dei reati tributari il denaro contante presente nelle casse della societa’ possa essere oggetto di sequestro diretto solo laddove coincida con quello specifico denaro che e’ stato risparmiato tramite quel preciso inadempimento, a parere del tribunale, emergerebbe proprio dal tenore della sentenza delle Sezioni Unite “Gubert” sopra citata, che richiederebbe, tanto per il denaro, quanto per gli altri beni fungibili, quanto infine per ulteriori beni, il requisito della diretta derivazione dalla commissione dell’illecito.

Il ricorrente lamenta che tale opinione sia priva di pregio, in quanto gia’ la lettura della sentenza delle SSUU evidenzia come l’attributo “direttamente riconducibili al profitto” , presente nel primo e nel terzo principio di diritto enunciati, sia all’evidenza attributo qualificante la parola “beni” e non certo le precedenti espressioni “denaro” e “altri beni fungibili”. Cio’ conseguirebbe non soltanto al chiaro tenore letterale della espressione (“quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ della persona giuridica” ed ancora “quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario”), ma alla natura stessa del denaro, bene fungibile per eccellenza.

Viene ricordato in ricorso che identiche espressioni sono state del resto utilizzate da questa Corte di legittimita’ anche in una successiva sentenza, intervenuta sempre in materia di reati tributari, laddove si e’ nuovamente precisato che “e’ consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ di tale persona giuridica”. (sez. 3 n. 22922/2014), ove la diretta riconducibilita’ al profitto e’ di nuovo riferita, all’evidenza, a beni diversi dal profitto stesso, e non certo al denaro o ad altri beni fungibili, per loro natura non suscettibili di precisa identificazione.

Ma tale interpretazione – ad avviso del ricorrente – si impone a maggior ragione laddove si presti attenzione all’intera parte motiva della citata sentenza n. 10561/2014. Ivi si precisa infatti che “la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non e’ confisca per equivalente, ma confisca diretta”; a conferma si richiama poi la giurisprudenza di legittimita’ laddove ha affermato che “nel caso in cui il profitto del reato di concussione sia costituito da denaro, e’ legittimamente operato in base alla prima parte dell’articolo 322 ter c.p., comma 1, il sequestro preventivo di disponibilita’ di conto corrente dell’imputato (sez. 6, n. 30966/2007, Puliga, rv 236984)”, ed ancora che “e’ pertanto ammissibile il sequestro preventivo, ex articolo 321 c.p.p., qualora sussistano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare cio’ che proviene dal reato e che si e’ cercato di nascondere con il piu’ semplice degli artifizi (sez. 6 n.23773/2003, Madaffari, rv.225727)”.

Una simile interpretazione – si rileva ancora in ricorso – e’ del resto obbligata anche in forza dei precedenti arresti giurisprudenziali, laddove gia’ da tempo in sede di legittimita’ si era precisato, proprio con riguardo al sequestro diretto, che “la fungibilita’ del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento non impone che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensi’ la somma corrispondente al loro valore nominale” (Sez. Un. 9.7.2004 n. 29951, e nello stesso senso sez. 6 1.2.1995 n. 4289).

Viene ricordato in proposito che e’ tornata sull’argomento, di recente, proprio in materia di reati tributari, anche la sentenza n. 37846 pronunciata da questa terza sezione penale in data 16 settembre 2014, precisando che “il denaro della societa’, in quanto comprendente anche il guadagno derivante dal mancato versamento dei tributi, puo’ essere soggetto a sequestro in quanto profitto rimasto nella disponibilita’ della persona giuridica”, e cio’ indipendentemente da fatto che quella specifica somma sequestrata sia rappresentata proprio da quella che si sarebbe destinata al pagamento di quella specifica imposta.

Nel caso che qui ci occupa le casse della societa’, come gia’ detto, presentavano, all’epoca del decreto di sequestro, una liquidita’ pari quasi al doppio dell’imposta evasa ed e’ nell’ambito di quel denaro che il Tribunale di Lucca avrebbe dovuto individuare, proprio perche’ denaro rimasto nella disponibilita’ della persona giuridica e presente sui propri conti correnti, “il guadagno derivante dal mancato versamento dei tributi”.

La presenza di dette somme liquide nel patrimonio del debitore dell’imposta rende evidentemente illegittimo, ex articolo 322 ter c.p., il sequestro per equivalente disposto nei confronti degli indagati.

Si chiede pertanto a questa Corte di annullare il provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra indicati sono fondati e, pertanto, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Lucca per un nuovo esame.

2. Va ricordato che l’articolo 325 c.p.p., prevede che, contro le ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali, il ricorso per cassazione possa essere proposto solo per violazione di legge.

La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha, tuttavia, piu’ volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692; conf. sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093).

Ancora piu’ di recente e’ stato precisato che e’ ammissibile il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perche’ sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato, (cosi’ sez. 6, n. 6589 del 10.1.2013, Gabriele, rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati previsti dagli articoli 416, 323, 476, 483 e 353 c.p., con riguardo all’affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarita’ amministrative).

Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.

3. Deve rilevarsi, ancora, che in tema di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, puo’ essere pacificamente disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato (sez. 3, n. 23108 del 23.4.2013, Nacci, rv. 255446, nella cui motivazione la Corte ha precisato che il principio rimane valido anche dopo le modifiche apportate all’articolo 322 ter c.p., dalla Legge n. 190 del 2012; conf. sez. 3 n. 35807 del 7.7.2010, Bellonzi e altri, rv. 248618; sez. 3 n. 25890 del 26.5.2010, Molon, rv. 248058).

Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente (articolo 322 ter c.p.) puo’ essere applicato ai beni anche nella sola disponibilita’ dell’indagato, per quest’ultima intendendosi, al pari della nozione civilistica del possesso, tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorche’ il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi (sez. 3, n. 15210 dell’8.3.2012).

Le Sezioni Unite hanno rilevato, in proposito, che non e’ rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione della nozione di “profitto del reato” e che tale locuzione viene utilizzata in maniera meramente enunciativa nelle varie fattispecie in cui e’ inserita, assumendo quindi un’ampia “latitudine semantica” da colmare in via interpretativa (Sezioni Unite, 2.7.2008, n. 26654, Fisia Italimpianti S.p.A. ed altri). In detta pronuncia (con riferimento alla confisca di valore prevista dal Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, articolo 19) sono state richiamate le consolidate affermazioni giurisprudenziali sulla nozione di “profitto dei reato” contenuta nell’articolo 240 cod. pen., secondo le quali: “il profitto a cui fa riferimento l’articolo 240 c.p., comma 1, deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato” (vedi Sez. Unite 24.2.1993, n. 1811, Bissoli; 17.10.1996, n. 9149, Chabni Samir).

Come affermato dalla condivisibile giurisprudenza di questa Suprema Corte, inoltre, in tema di reati tributari, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente prevista dalla Legge n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo; a tal fine, per la quantificazione di questo risparmio, deve tenersi conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario (cosi’ questa sez. 3, 23 ottobre 2012, n. 45849). In particolare, va sottolineato che l’IVA sottratta al fisco costituisce il profitto del reato (sez. 3 n. 25890/2010; Sez. Unite 38691/2009).

Va peraltro ricordato che in tema di misure cautelari reali, il Tribunale del riesame che proceda alla conferma del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, non deve accertare, ai fini del rispetto del principio di proporzionalita’, l’esatta corrispondenza tra profitto del reato e “quantum” sottoposto a vincolo cautelare, essendo, invece, sufficiente che motivi sulla non esorbitanza del valore dei beni sequestrati rispetto al credito garantito (sez. 3, n. 39091 del 23.4.2013, Cianfrone, rv. 257284).

Ne consegue che, laddove la valutazione del giudice risponda a tali criteri, essa e’ insindacabile in sede di legittimita’. Il provvedimento del tribunale del riesame che conferma il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente puo’ essere, infatti, ritenuto illegittimo nel solo caso in cui non contenga alcuna valutazione sul valore dei beni sequestrati; valutazione necessaria al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalita’ tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, non essendo consentito differire l’adempimento estimatorio alla fase esecutiva della confisca (ex multis, sez. 3, 7 ottobre 2010, n. 41731).

4. Cio’ premesso, ritiene il Collegio che nel caso all’odierno esame, come si andra’ a specificare, si sia in presenza di un deficit motivazionale tale da configurare l’errata applicazione di norme di diritto.

Il giudice della cautela toscano erra, infatti, laddove confuta le argomentazioni del ricorrente sul presupposto che “in atti non si rinvenga alcun concreto elemento che consenta di affermare che il profitto dell’ipotizzato reato, nel senso ora inteso, sia rimasto nella disponibilita’ della persona giuridica, tanto da imporre in via preventiva il sequestro, in funzione della confisca diretta, di beni nei confronti della persona giuridica. Non e’ dato sapere come le somme non corrisposte all’erario siano state utilizzate dalla societa’ e per essa dal suo legale rappresentante” (cfr. pag. 3 dell’ordinanza impugnata).

Questa Corte di legittimita’ ha gia’ in piu’ occasioni chiarito, infatti, il principio – che va qui ribadito – secondo cui in tema di confisca per equivalente, qualora il profitto tratto da taluno dei reati sia costituito da denaro, l’adozione del sequestro preventivo non e’ subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilita’ dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare (cfr. sez. 2, n. 21228 del 29.4.2014, Riva Fire spa, rv. 259717, fattispecie, in materia di truffa, nella quale veniva disposto il sequestro per equivalente nei confronti di una societa’, responsabile per illecito amministrativo ex Legge 231 del 2001).

Esplicito sul punto e’ anche l’arresto giurisprudenziale richiamato dal ricorrente n. 37846 del 7.5.2014, Aiello, non mass., che, peraltro, si e’ collocato nel solco costituito dalla pronuncia delle Sez. Unite n. 29951 del 24.5.2004, C. fall, in proc. Foscarelli, rv. 228166. In tale ultima occasione le SS.UU. esaminarono proprio la questione dei limiti del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di somme di denaro che costituiscono “profitto del reato”. E affermarono, condivisibilmente, che tale sequestro deve ritenersi sicuramente ammissibile sia allorquando la somma si identifichi proprio in quella che e’ stata acquisita attraverso l’attivita’ criminosa sia ogni qual volta sussistano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare cio’ che proviene dal reato e che si e’ cercato di occultare (sez. 6, n. 23773 del 25.3.2003, Madaffari), rilevando essere evidente, a tal proposito, che la fungibilita’ del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento non impone che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensi’ la somma corrispondente al loro valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta, purche’ sia attribuibile all’indagato (sez. 6, n. 4289 del 1.2.1995, Carullo).

E’ vero che nell’occasione le SS.UU. precisarono che deve pur sempre sussistere, comunque, il rapporto pertinenziale, quale relazione diretta, attuale e strumentale, tra il danaro sequestrato ed il reato del quale costituisce il profitto illecito (utilita’ creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa) e, in particolare, in relazione agli illeciti fiscali, che devono escludersi collegamenti esclusivamente congetturali, che potrebbero condurre all’aberrante conclusione di ritenere in ogni caso e comunque legittimo il sequestro del patrimonio di qualsiasi soggetto venga indiziato di illeciti tributari.

Ma sul punto ritiene il Collegio che occorre essere chiari. Di fronte ad un reato, come quello che ci occupa, la cui condotta si sostanzi nell’omissione di un versamento di una somma di danaro all’Erario, ad un Ente Previdenziale o a chicchessia, il profitto si identifica nel risparmio di spesa. E se nelle casse di colui (persona fisica o societa’) su cui gravava l’obbligo di versamento viene rinvenuto del danaro, trattasi di profitto sequestrabile direttamente riconducibile al reato. E cio’ vale sia se si voglia aderire all’orientamento giurisprudenziale per cui trattasi di sequestro diretto che se si opini che si tratti di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente.

Reiteratamene, sul punto, questa Corte ha affermato che la nozione di profitto confiscabile va individuata nel vantaggio patrimoniale di diretta derivazione dal reato (cfr. sez. 6, n. 37556 del 27.9.2007, De Petro Mazarino, rv. 238033). E le Sezioni Unite hanno ribadito il principio secondo cui, in tema di reati tributari, il profitto confiscabile anche nella forma per equivalente e’ costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito dalla consumazione del reato e puo’ dunque consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario (Sez. un., n. 18734 del 31.1.2013, Adami, rv. 255036.

Ma vi e’ di piu’. Non e’ necessario che il danaro rinvenuto sia liquido.

Questa Corte, condivisibilmente, ha precisato che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall’articolo 322 ter c.p., costituiscono “profitto” del reato anche gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa e i beni in cui questo e’ trasformato, in quanto tali attivita’ di impiego di trasformazione non possono impedire che venga sottoposto ad ablazione cio’ che rappresenta l’obiettivo del reato posto in essere (sez. 6, n. 11918 del 14.11.2013 dep. il 12.3.2014, Rossi, rv. 262613). E, ancora di recente, e’ stato ribadito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro, costituente il profitto del reato, puo’ colpire sia la somma che si identifica proprio in quella che e’ stata acquisita attraverso l’attivita’ criminosa sia la somma corrispondente al valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta e comunque sia stata investita (sez. 2, n. 14600 del 12.3.2014, (OMISSIS) spa, fattispecie relativa al sequestro preventivo di denaro, titoli, valori, beni mobili, immobili ed altre utilita’ nella disponibilita’ di una banca, corrispondenti al prezzo del reato di “market abuse”, commesso dai legali rappresentati della banca medesima).

5. Cosi’ delineati i principi relativi al concetto di profitto e di riconducibilita’ a quello del danaro o dei diretti investimenti di quello rinvenuti nel possesso del soggetto nel cui interesse sia stato commesso il reato tributario, il giudice di rinvio potra’ fare corretta applicazione dei principi di diritto piu’ volte richiamati di cui alla nota sentenza delle SS.UU. n. 10561/2014, Gubert, che giovera’ ricordare: I. E’ consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ di tale persona giuridica. II. Non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio. III. Non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato. IV. La impossibilita’ del sequestro del profitto del reato puo’ essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato.

E’ dunque consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilita’ di tale persona giuridica.

Tuttavia la stessa sentenza Gubert, dopo avere precisato che l’impossibilita’ del sequestro del profitto del reato puo’ essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato stesso, afferma anche il principio che non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio (e non e’ il caso che ci occupa).

Solo se il profitto del reato, come sopra precisato, non sia piu’ rinvenibile nelle casse della societa’, correttamente possono essere sottoposti a vincolo i beni dell’amministratore.

6. Il caso in esame deve tuttavia, tenere conto, di un’ulteriore peculiarita’, di cui il giudice del rinvio dovra’ dare meglio conto in motivazione.

Dal provvedimento impugnato si evince che l’indagine penale a carico degli odierni ricorrenti sia partita dalla denuncia dell’Agenzia delle Entrate di Lucca depositata il 9.7.2013 e dall’attivita’ di indagine delegata della GdF sintetizzata nell’informativa di P.G. dell’8.7.20 4, da cui e’ risultato che la (OMISSIS) S.r.l.:

– con riferimento all’anno di 2009, non ha provveduto a versare, entro il termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’I.V.A. dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata il 29.9.2010, per un importo pari a 208.991,91 euro (il P.M. ha indicato la superiore somma di euro 215.42 1,00, che effettivamente corrisponde al complessivo ammontare dell’IVA per l’anno 2009 ma la P.G., a pag.62 del fascicolo, specifica che alla dato dei 29.6.2014, ditale somma doveva essere corrisposto non l’intero ma il minor importo di 208.991,91);

– con riferimento all’anno di imposta 2010, non ha provveduto a versare, entro il termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’I.V.A. dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata il 30.9.2011, per un importo pari ad euro 240.477,00;

– con riferimento all’anno di imposta 2011, non ha provveduto a versare, entro il termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’I.V.A. dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata il 1.10.2012, per un importo pari ad euro 272.783,00.

Viene altresi’ dato atto che dalla visura camerale in atti si evince che dal 4.11.2010 e fino all’11.12.2011 (OMISSIS) e’ stato (oltre che consigliere, dal 25.6.2008) anche Presidente del Consiglio di Amministrazione della societa’; che dal 12.12.2011 al 31.5.2012 il Presidente del Consiglio di Amministrazione e’ stato (OMISSIS), gia’ consigliere delegato dal 10.1.2011; e che dal 1.6.2012 e’ stato nominato amministratore unico della societa’ (OMISSIS).

Il tribunale lucchese da poi atto che il sequestro e’ stato disposto ed ha aggredito, per equivalente fino alla concorrenza delle somme indicate, i beni degli indagati come persone fisiche, nonostante che ciascuno di loro sia stato indicato come avere agito in qualita’ di legale rappresentante di una persona giuridica, visto che per i reati tributari il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, come pure l’articolo 322 ter c.p., non ha previsto alcuna forma di responsabilita’ dell’ente, come evidenziato al riguardo da Cass. S.U. n. 10561/2014.

Punto dirimente e’, tuttavia, quello successivo.

I giudici della cautela toscani danno atto che dalla nota della Guardia di Finanza si rileva che, con provvedimento del 28.6.2013, depositato il 3.7.2013, la societa’ e’ stata ammessa alla procedura di concordato preventivo, a seguito di proposta presentata il 5.6.13 come documentato dalla difesa.

Nella motivazione del provvedimento impugnato si da altresi’ atto che la difesa evidenziava in quella sede che il relativo piano concordatario, omologato in data 21 luglio 2014, contemplava un attivo di euro 4.012.058,00 di cui euro 849.295,00= in liquidita’, euro 900.000,00= in beni immobili ed euro. 450.000,00 in magazzino ed una proposta irrevocabile di acquisto della azienda per euro 800.000,00=; inoltre in detto piano concordatario il pagamento dell’imposta sul Valore Aggiunto nella misura di euro 915.445,00= e’ stato previsto nella sua totalita’ ed ammesso in privilegio, cosi’ garantendone la riscossione da parte dello Stato.

Viene ancora evidenziato come la difesa avesse documentato che alla data della richiesta di sequestro preventivo (29/30 settembre 2014) e cosi’ alla data di emissione del decreto di sequestro preventivo (9 ottobre 2014) la liquidita’ della societa’ era pari ad euro. 306.164,30 e che ad esso andava ad aggiungersi il valore del magazzino per euro. 450.000,00 ed un bene immobile per euro 880.000,00, tutti beni immediatamente aggredibili.

Ebbene, sul punto, della intervenuta omologazione del concordato preventivo in data 21 luglio 2014, si legge in via incidentale in motivazione che “non risulta prodotta documentazione”.

Si tratta di un elemento su cui il giudice del rinvio dovra’ dare conto in maniera piu’ dettagliata.

Cio’ in quanto questo Collegio non ritiene condivisibile, in diritto, la successiva affermazione operata dai giudici lucchesi secondo cui la presenza di una cosi’ cospicua liquidita’ non costituisca ragione sufficiente a far venire meno i presupposti del disposto sequestro preventivo.

Corretti, ma inconferenti, sono i richiami ai precedenti arresti di questa Corte regolatrice secondo cui, da un lato, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, corrispondente all’ammontare dell’imposta evasa, puo’ essere legittimamente mantenuto fino a quando permane l’indebito arricchimento derivante dall’azione illecita, che cessa con l’adempimento dell’obbligazione tributaria (cosi’ questa sez. 3, nelle richiamate sentenze n. 43811/2014, n. 46726/2012) e, dall’altro, il mantenimento della misura ablativa e’ giustificato fino al momento in cui si realizza il recupero delle imposte evase a favore dell’amministrazione finanziaria con corrispondente deminutio del patrimonio personale del contribuente, momento superato il quale non ha piu’ ragione di essere mantenuto in vita il sequestro preventivo. E corretto e’ anche affermare che la ratio legis contenuta nelle norme che prevedono il sequestro e la confisca per equivalente nei reati tributari impone di ritenere che solo l’adempimento dell’obbligazione tributaria faccia venir meno la ragione giustificativa della misura ablatoria.

Tuttavia la conclusione cui pervengono i giudici lucchesi circa il fatto che il “concordato preventivo” sia “allo stato un mero progetto di pagamento, non ancora attuato, per cui non si e’ ancora verificato alcun effettivo e concreto recupero delle imposte evase a favore dell’amministrazione finanziaria, di modo che e’ giustificato il mantenimento in essere della misura cautelare reale” puo’ essere ritenuta corretta in diritto solo se messa in relazione alla mancata prova dell’avvenuta omologazione dello stesso.

Diversamente, occorre, che il giudice di rinvio tenga conto del condivisibile principio che questa Corte Suprema ha affermato di recente secondo cui va in ogni caso tenuto conto, ai fini della valutazione del fumus commissi delicti del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, dell’esistenza del concordato preventivo, del tempo in cui lo stesso e’ intervenuto e dell’inserimento integrale del debito tributario nello stesso (cfr. la sentenza di questa sez. 3, n. 15853 del 12.3.2015, Fantini, allo stato non ancora massima).

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Lucca.

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