cassazione 5

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 29 maggio 2015, n. 11147

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25349/2011 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) in qualita’ di coerede che ha accettato l’eredita’ con beneficio di inventario di (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 190/2011 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 19/04/2011, R.G.N. 56/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/02/2015 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS) convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pordenone, il rag. (OMISSIS) per sentirlo condannare – ai sensi dell’articolo 2236 c.c. – al risarcimento di tutti i danni subiti, quantificati in non meno di euro 64.278,49, oltre ad interessi e rivalutazione.

Esponeva l’attore che era stato per lungo tempo cliente del predetto professionista; che, tra l’altro, aveva affidato al (OMISSIS) l’incarico di assisterlo in una vertenza sorta con l’Ufficio delle Imposte Dirette di (OMISSIS); che quest’ultimo aveva accertato un maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato da esso attore e dalla societa’ di cui era socio; che il (OMISSIS) non aveva adempiuto con diligenza l’incarico affidatogli in quanto: in primo luogo, dopo la sentenza favorevole ottenuta in primo grado, non gli aveva prospettato la possibilita’ di accedere al condono di cui alla Legge n. 413 del 1991, con modesto onere economico; in secondo luogo non si era costituito ritualmente nel giudizio di secondo grado conclusosi sfavorevolmente per esso attore; in terzo luogo non aveva provveduto ad impugnare tale sentenza dinanzi alla Corte di cassazione rendendo cosi’ definitivo l’accertamento.

L’attore aveva percio’ dovuto avvalersi del condono di cui alla Legge n. 289 del 2002, sborsando l’importo di euro 64.278,49.

Si costitui’ il convenuto contestando l’assunto attoreo e sostenendo: che aveva prospettato inutilmente al (OMISSIS) la possibilita’ di avvalersi del condono di cui alla Legge n. 413 del 1991; che, con riferimento alla irritualita’ della costituzione in secondo grado, vi erano dubbi interpretativi procedurali sulle modalita’ ed i tempi ed, in particolare, sulla necessita’ di presentare controdeduzioni; che, in ogni caso, l’esito sfavorevole del giudizio non era in relazione con la sua condotta; che esso convenuto non avrebbe potuto proporre ricorso in cassazione perche’ non abilitato ne’ espressamente incaricato in tal senso.

Per le ragioni che precedono il convenuto chiese il rigetto delle domande attrici.

Con sentenza n.1130/2006 il Tribunale rigetto’ la domanda.

Affermo’ il primo Giudice, in via preliminare, che l’attore non aveva dimostrato che l’incarico affidato al (OMISSIS) fosse di ampiezza tale da ricomprendere anche la facolta’ per il cliente di accedere al condono, ovvero di promuovere il ricorso per Cassazione.

In ogni caso, il Giudice di prime cure, premesso che l’attore doveva dimostrare il nesso causale tra la condotta del professionista ed il danno derivatogli, affermo’ che tale prova non era stata fornita.

Con riferimento all’accesso al condono di cui alla Legge n. 413 del 1991, il Giudice affermo’ che era verisimile che il (OMISSIS), pur avvertito, non aveva ritenuto di aderirvi, stante la sentenza favorevole di primo grado.

Avverso la predetta sentenza il (OMISSIS) propose appello fondato su una serie articolata di motivi.

Si costitui’ il (OMISSIS) instando per il rigetto dell’appello.

Con sentenza n. 190/2011 del 9 febbraio 2011 la Corte d’appello di Trieste ha accertato la colpa professionale del rag. (OMISSIS) e lo ha condannato al pagamento, nei confronti di (OMISSIS), dell’importo di euro 31.340,40 oltre rivalutazione e interessi; ha condannato l’appellato a rifondere all’appellante le spese dei due gradi del giudizio.

La Corte d’appello ha ritenuto che il (OMISSIS) ha dimostrato l’affidamento dell’incarico professionale al (OMISSIS), mentre quest’ultimo non ha adempiuto tale incarico con diligenza.

Propone ricorso per cassazione il rag. (OMISSIS) con due motivi.

Resiste con controricorso (OMISSIS), quale erede di (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo parte ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione degli articoli 2697, 2727 e 2733 c.c., nonche’ articolo 115 c.p.c. (nel testo previgente applicabile al giudizio de quo), sotto diversi profili. Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Il ricorrente (OMISSIS) afferma che l’onere della prova grava su chi intende far valere il proprio diritto. Pertanto era onere del (OMISSIS) provare i fatti costitutivi del suo diritto quali la sussistenza di specifici incarichi professionali e la loro precisa ampiezza, nonche’ l’esistenza di un rapporto di causalita’ tra fatto e danno. Tale prova, a suo avviso, non e’ stata fornita dal (OMISSIS).

Il motivo e’ infondato.

La Corte di merito, con apprezzamento di fatto immune da vizi logici ed errori giuridici, ha ritenuto che dalla documentazione in atti e da quanto affermato dallo stesso (OMISSIS) in comparsa di risposta risulta incontrovertibilmente che il (OMISSIS) aveva affidato al predetto professionista il compito di definire la vertenza tributaria. Tale vertenza, come risulta dalla documentazione prodotta, era indissolubilmente legata a quella della societa’ immobiliare (OMISSIS) s.n.c., riferendosi l’accertamento al periodo in cui il (OMISSIS) era socio della predetta societa’.

Il ricorrente, con la sua doglianza, non affronta l’argomento logico giuridico utilizzato dalla sentenza d’appello per cui il mandato professionale investiva la societa’ e il (OMISSIS), in relazione alla unicita’ del giudizio ed alla connessione tra le due posizioni.

In ogni caso la contestazione sul conferimento dell’incarico e’ superflua, per il rilievo della Corte d’appello sulla tardivita’ della contestazione stessa in quanto sollevata in comparsa conclusionale.

2. Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in connessione con gli articoli 1218, 1223 e 2236 c.c.. Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Secondo il (OMISSIS) la sentenza impugnata viola i principi in tema di inadempimento e del nesso eziologico tra la condotta che si suppone omissiva e il danno lamentato. A suo avviso le questioni del processo tributario, sia in primo che in secondo grado, erano del tutto identiche e di mero diritto; le stesse erano state ampiamente sviluppate in primo grado con tutta una produzione documentale.

Il giudicante ha deciso in primo grado a favore del cliente (OMISSIS). In appello le questioni erano identiche e la causa e’ stata decisa in senso sfavorevole per il (OMISSIS). Non certo perche’ quest’ultimo era contumace.

Il motivo e’ infondato.

L’interpretazione posta dalla Corte territoriale a base della propria decisione appare in linea con l’orientamento consolidato di questa Corte, secondo il quale, in materia di contratto d’opera intellettuale, ove anche risulti provato l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione, per negligente svolgimento della prestazione, il danno derivante da eventuali sue omissioni deve ritenersi sussistente solo qualora, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che, senza quella omissione, il risultato sarebbe stato conseguito (Cass., 14 maggio 2013, 11548; Cass., 26 aprile 2010, n. 9917).

La relativa indagine, da svolgersi sulla scorta degli elementi di prova che il danneggiato ha l’onere di fornire in ordine al fondamento dell’azione proposta, e’ riservata all’apprezzamento del giudice del merito, censurabile in sede di legittimita’ soltanto se non sia sorretta da una motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici (Cass., 26 aprile 2010, n. 9917).

A tal fine, il giudizio prognostico, che il giudice di merito deve compiere non puo’ che consistere in una valutazione volta a verificare se la pretesa azionata a suo tempo, senza la negligenza del legale, sarebbe stata in termini probabilistici ritenuta fondata e se il risultato sarebbe stato diverso e piu’ favorevole all’assistito.

Al riguardo i giudici di secondo grado hanno ritenuto che il (OMISSIS) ha dimostrato l’affidamento dell’incarico professionale al (OMISSIS), mentre quest’ultimo non ha dimostrato di aver adempiuto tale incarico con diligenza, provando di aver reso edotto il cliente sia della possibilita’ di aderire al condono, sia della possibilita’ di impugnare la decisione sfavorevole della Commissione tributaria di secondo grado.

Anche se il (OMISSIS) non poteva difendere il suo cliente in cassazione, egli avrebbe dovuto provare di aver reso edotto il medesimo cliente sulla possibilita’ di impugnare la decisione per impedire la formazione del giudicato.

Riteneva inoltre la Corte d’appello che mancavano elementi dai quali poter presumere che il (OMISSIS) era stato informato della possibilita’ di aderire al condono di cui alla Legge n. 413 del 1991, dopo che l’Amministrazione aveva impugnato la decisione del Tribunale, visto che l’esito finale non era scontato e che l’importo da pagare, in caso di soccombenza, era considerevole.

L’impugnata sentenza correttamente concludeva che sussisteva un nesso causale tra la condotta omissiva tenuta dal (OMISSIS) e l’evento danno costituito dal fatto che il (OMISSIS), a fronte di una cartella di pagamento di lire 497.830.000, abbia poi aderito al successivo condono, ai sensi della Legge n. 289 del 2002, sborsando l’importo complessivo di euro 64.278,49.

Alla luce delle predette considerazioni, e’ quindi risarcibile la perdita di chance, essendo nella specie ravvisabile il pregiudizio di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilita’ e non di mera potenzialita’, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (Cass., 13 luglio 2011, n. 15385).

Per quanto riguarda i denunciati vizi di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, risulta evidente che la Corte territoriale ha adeguatamente argomentato sul merito della controversia, con una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione.

Ne’ d’altra parte il ricorrente e’ riuscito ad individuare effettivi vizi logici o giuridici nel percorso argomentativo dell’impugnata decisione.

Giova aggiungere inoltre che il controllo di logicita’ del giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimita’ – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione: invero una revisione siffatta si risolverebbe sostanzialmente in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimita’ (Cass., 4 aprile 2008, n. 8808).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in euro 4.300,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

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