Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 3 novembre 2015, n. 44335

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIALE Aldo – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 07/01/2014 del Tribunale di Foggia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. D’AMBROSIO Vito, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

 

RITENUTO IN FATTO

 

1. Il sig. (OMISSIS) ricorre, per il tramite del difensore di fiducia, per l’annullamento della sentenza del 07/01/2014 del Tribunale di Foggia che l’ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di 350,00 euro di ammenda per il reato di cui alla Legge 30 aprile 1962, n. 283, articolo 5, lettera b), e articolo 6, perche’, quale legale rappresentante della societa’ ” (OMISSIS) S.r.l.”, che gestiva il punto vendita “(OMISSIS)”, supermercato corrente in (OMISSIS), deteneva per la vendita, esposti nel banco frigo del reparto di salumeria e nella annessa cella frigorifero, numerosi prodotti alimentari (salumi, mortadelle, salsicce, ecc.) in cattivo stato di conservazione e scaduti. Il fatto e’ contestato come commesso in (OMISSIS).

1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b), inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 40 c.p., comma 1, articolo 42 c.p., comma 4, Legge n. 283 del 1962, articolo 5, lettera b).

Lamenta che la propria responsabilita’ e’ stata affermata perche’, quale legale rappresentante della societa’ che gestiva il punto vendita, non aveva delegato per iscritto ad altri dipendenti il compito di monitorare la merce. Deduce che al momento dell’accesso del personale ispettivo della ASL (cui era stato segnalato l’acquisto di una mozzarella alterata) nel supermercato erano presenti, insieme con lui, il direttore del punto vendita, sig. (OMISSIS), suo (del ricorrente) fratello ed il personale dipendente addetto al banco salumeria.

Incontestata la sussistenza materiale del fatto, ricorda che secondo la giurisprudenza di questa Corte, che ha abbracciato una concezione moderna dell’impresa, la complessita’ dell’organizzazione aziendale e la sua preventiva suddivisione in piu’ sedi territoriali comporta automaticamente la divisione e la conseguente ripartizione dei vari compiti, doveri e poteri delle singole unita’ territoriali nella quali si articola l’impresa, rendendo superflua la necessita’ di una delega scritta. La fonte della responsabilita’ penale, in ultima analisi, va ricavata dalla stessa articolazione dell’impresa in piu’ settori, zone, unita’ produttive, senza che sia necessaria una delega scritta, trattandosi di requisito formale non richiesto “ad substantiam”, ne’ “ad probationem” nemmeno dalla giurisprudenza di legittimita’.

L’assenza di una delega scritta, pertanto, non puo’ costituire la fonte della responsabilita’ del legale rappresentante dell’impresa. Trattandosi di reato comune, tra l’altro, la responsabilita’ andrebbe ricostruita in base al criterio dell’effettivita’, accertando chi ha materialmente tenuto la condotta incriminata e vi ha dato causa. Ne consegue che la responsabilita’ va individuata all’interno della singola struttura aziendale, a prescindere da una delega scritta.

1.2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera d), mancanza, illogicita’, incongruenza della motivazione e travisamento della prova.

Il Tribunale, lamenta, sulla scorta dell’errata affermazione per la quale la esistenza della delega deve essere dimostrata solo per iscritto, ha conseguentemente svalutato le testimonianze utili a provare che la societa’ aveva piu’ di 10 punti vendita e che nell’esercizio commerciale in questione esisteva un direttore responsabile che esercitava in concreto tutti i poteri/doveri gestori. Nel caso di specie il fatto non e’ addebitabile ad un vizio strutturale – organizzativo dell’azienda, ma all’occasionale negligenza del direttore responsabile del punto vendita e del responsabile di reparto, incaricati di controllare e vigilare sulla genuinita’ dei prodotti.

1.3. Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b), erronea applicazione dell’articolo 163 c.p., avendo il Tribunale concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena in violazione del divieto sancito dalla Legge n. 283 del 1962, articolo 6, comma 4, in caso di condanna per frode tossica o comunque dannosa alla salute.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

2. Il ricorso e’ fondato.

3. La sussistenza materiale del fatto non e’ oggetto di contestazione.

3.1. Risulta dal testo della sentenza che, a seguito della segnalazione di una cliente del supermercato, gli ispettori della ASL vi effettuarono un’ispezione rinvenendo nel banco frigo del reparto salumi e nella cella frigorifero prodotti alterati e scaduti. In sede di accesso erano presenti due dipendenti ed il direttore del punto vendita “da cui non era esibita alcuna delega scritta in merito alla gestione della merce”. Escussi in dibattimento, costoro, afferma il Tribunale, “non hanno aggiunto spunti significativi in merito alla ripartizione degli obblighi di controllo all’interno del supermercato, limitandosi entrambi a descrivere le proprie mansioni ed a confermare di essere stati assunti dal (OMISSIS)”.

3.2. Il Tribunale ne ha cosi’ tratto spunto per affermare la responsabilita’ penale dell’imputato in considerazione della legale rappresentanza della societa’ che amministrava il supermercato e della assenza di una delega di funzioni rilasciata per iscritto, “a nulla valendo un mero conferimento orale per il monitoraggio della merce ad altre figure professionali operanti nel medesimo esercizio commerciale, utile a esonerare il titolare dell’attivita’ dalla responsabilita’ penale connessa alla sua posizione di garanzia”.

3.3. Ai fini di un corretto inquadramento della questione sollevata con l’odierno ricorso, premette la Corte che e’ certo che nel caso di specie non v’era stata alcuna delega, ne’ scritta, ne’ orale. Ne e’ prova la stessa impostazione difensiva secondo la quale da un lato la necessita’ della delega, aldila’ del suo conferimento (orale o scritto non conta), sarebbe nei fatti, nell’ineludibile principio che presiede alla distribuzione dei compiti in un’organizzazione complessa; dall’altro il giudice avrebbe travisato la prova testimoniale dalla quale risulta che il conferimento di tale delega v’era stato.

3.4. Tanto premesso, questa Corte deve ribadire il proprio insegnamento secondo il quale in tema di disciplina degli alimenti, il legale rappresentante della societa’ gestrice di una catena di supermercati non e’ responsabile qualora essa sia articolata in plurime unita’ territoriali autonome, ciascuna affidata ad un soggetto qualificato ed investito di mansioni direttive, in quanto la responsabilita’ del rispetto dei requisiti igienico-sanitari dei prodotti va individuata all’interno della singola struttura aziendale, non essendo necessariamente richiesta la prova dell’esistenza di una apposita delega (Sez. 3, n. 11835 del 19/02/2013, Kash, Rv. 254761; Sez. 3, n. 4304 del 26/02/1998, Rv. 210510; Sez. 3, n. 3272 del 22/02/1991, Palma, Rv. 186615; Sez. 3, n. 19642 del 06/03/2003, Rossetto, Rv. 224848, secondo la quale, in casi di organizzazioni complesse, la sussistenza di una delega di responsabilita’, anche organizzative e di vigilanza, per le singole sedi, si deve presumere “in re ipsa”, anche in assenza di un atto scritto).

3.5. Il Collegio non ignora che, secondo un diverso indirizzo interpretativo, questa Corte ha ritenuto necessaria sia la delega, che la forma scritta (Sez. 3, n. 6872 del 19/01/2011, Trinca, Rv. 249536; Sez. 3, n. 16452 del 17/10/2012, Conti, Rv. 255394), ma non lo condivide.

3.6. L’organizzazione dell’impresa appartiene all’autonomia negoziale privata e, al di fuori dei casi in cui il conferimento di procure, deleghe o altri atti con i quali vengono attribuite responsabilita’ e/o conferiti compiti precisi, non sia espressamente preteso dalla legge in forma scritta ai fini della validita’ dell’atto stesso, la pretesa penalistica che esso abbia tale forma soddisfa piu’ esigenze di prova che di sostanza. Le responsabilita’ derivanti dalla direzione di un punto vendita o di un reparto e i compiti ad esse connesse possono essere ricavate dall’organigramma dell’impresa o dalle mansioni esercitate dal lavoratore dipendente, dirigente o no che sia, e persino dalle corrispondenti previsioni del contratto collettivo di lavoro applicato nell’impresa; tanto piu’ che, nell’ambito del sinallagma contrattuale, il dipendente e’ retribuito per lo svolgimento proprio delle mansioni contrattualmente pattuite e correlate alla sua specifica posizione aziendale. Sarebbe percio’ quantomeno contraddittorio escludere, a fini penalistici, l’efficacia della causa negoziale concreta dell’assunzione di responsabilita’ di un’articolazione dell’impresa da parte del lavoratore dipendente che a tanto sia destinato dal titolare dell’impresa, sol perche’ manchi un atto scritto. Eppure tale causa non cesserebbe di produrre i suoi effetti sul piano civilistico obbligando l’imprenditore a corrispondere al dipendente che si sia assunto tali responsabilita’ organizzative una retribuzione che costituisce anche il corrispettivo proprio di tale assunzione di responsabilita’ e per il sol fatto che tali mansioni sono state esercitate, non essendo richiesto a tal fine alcun atto scritto. Come correttamente e’ stato affermato da Sez. 3, n. 39268 del 13/07/2004, Beltrami, Rv. 230088, solo in campo amministrativo sussiste l’esigenza di una formalizzazione dei rapporti organizzativi all’interno della struttura. Nel settore privato, aggiunge il Collegio, la realta’ della “delega” (se cosi’ la si vuoi continuare a chiamare) e’ nei fatti ed e’ nell’articolazione dell’azienda e nei rapporti giuridici che fanno capo all’imprenditore.

3.7. La responsabilita’ del titolare dell’impresa – che resta pur sempre il destinatario principale del precetto penale – va percio’ ricostruita su altre basi, diverse dalla mera presenza di una delega scritta, che devono bensi’ essere ricercate esclusivamente nella norma che giustifica, ai sensi dell’articolo 43 c.p., l’addebito della condotta anche a titolo colposo.

3.8. Sicche’, dato per scontato che la societa’ legalmente rappresentata dall’imputato e’ titolare di piu’ punti vendita, che il supermercato nel quale si trovavano gli alimenti in questione era dotato di un direttore (del quale sara’ necessario accertare le mansioni pattuite e i compiti connessi alla gestione del punto vendita), occorrera’ – esemplificativamente – accertare che la dimensione dell’impresa non impedisse il monitoraggio dell’attivita’ del direttore stesso, la capacita’ ed idoneita’ tecnica di questi, la mancata conoscenza della negligenza o sopravvenuta inidoneita’ del direttore, che in ogni caso il fatto non derivi da cause strutturali dovute ad omissioni di scelte generali di pertinenza esclusiva del titolare dell’impresa, quali, tra queste, l’omessa adozione di procedure di autocontrollo proposte dai manuali adottati in conformita’ dell’articolo 8, del Regolamento CE n. 852 del 2004 del 29 aprile 2004 sull’igiene dei prodotti alimentari e validati dal Ministero della Salute e prescritte, piu’ in generale, anche dall’allegato 2 del Regolamento stesso.

3.9. La fondatezza del primo motivo e’ assorbente rispetto agli altri. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Foggia che riesaminera’ la vicenda alla luce dei principi di diritto indicati ai paragrafi 3.4 e 3.8.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Foggia.

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