CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 3 settembre 2014, n. 36715


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. SAVINO Mariapia Gaeta – Consigliere
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/03/2013 della Corte di appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Baldi Fulvio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Messina, con sentenza emessa in data 11 marzo 2013, ha riformato la pronuncia resa dal Tribunale di Patti, sezione distaccata di S. Agata Militello, concedendo ad (OMISSIS) le attenuanti generiche, rideterminando la pena in mesi due e giorni dieci di reclusione e confermando nel resto l’impugnata sentenza con la quale il ricorrente era stato condannato per il reato di cui all’articolo 612 c.p., comma 2, (capo a) perche’ minacciava a (OMISSIS), un ingiusto e grave danno, pronunciando nei suoi confronti l’espressione “ammazzero’ il tuo cane e poi anche te” nonche’ per il reato di cui all’articolo 544 ter c.p. (capo b) perche’, per crudelta’ e senza necessita’, cagionava delle lesioni (trauma articolare) al cagnolino razza barboncino di (OMISSIS), colpendolo con calci, facendolo cadere dalle scale ed i fatti commettendo in (OMISSIS).
Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale ha stimato inconcludente la tesi difensiva per la quale le dichiarazioni rese dalla persona offesa e da sua madre – ex convivente del (OMISSIS) – fossero inidonee a fondare il giudizio di responsabilita’ sul presupposto che fossero contraddistinte da un evidente malanimo nei confronti del ricorrente.
La Corte territoriale ha precisato come le due donne non si fossero costituite parte civile nel procedimento, a dimostrazione della mancanza del proposito di perseguire interessi di natura patrimoniale tramite il processo penale, e come le rispettive dichiarazioni apparissero logiche, coerenti, misurate e fossero tra loro convergenti, oltre ad essere confortate indirettamente dalla deposizione del veterinario (OMISSIS), si’ da costituire senz’altro adeguata ed affidabile piattaforma probatoria.
Stimando irrilevanti talune discrasie evidenziate dall’imputato, la Corte territoriale escludeva che il (OMISSIS) avesse agito in stato di necessita’ per la particolare aggressivita’ manifestata dal cane, pervenendo a confermare la penale responsabilita’ per i reati ascrittigli.
2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza ricorre (OMISSIS), per mezzo del proprio difensore, articolando quattro motivi di gravame.
2.1. Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale per errata qualificazione del fatto di reato (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all’articolo 612 cpv. c.p.).
Rileva che, nel qualificare come grave la minaccia rivolta dall’imputato nei confronti di (OMISSIS), la Corte di merito sia incorsa in errore di diritto essendosi limitata a desumere la gravita’, per un verso, dall’intrinseco contenuto della frase e, per altro verso, dal contesto aggressivo nel quale essa si collocava, senza null’altro aggiungere o specificare, e cio’ in aperto contrasto con il carattere relativo che va attribuito al concetto di gravita’ della minaccia, riferibile non soltanto all’entita’ del male minacciato ma anche all’insieme delle modalita’ dell’azione ed alle condizioni in cui si trovavano gli antagonisti, condizioni che, nell’esporre il motivo di ricorso, il ricorrente ricostruisce attraverso l’esposizione fattuale degli avvenimenti.
2.2. Con il secondo motivo lamenta erronea applicazione della legge processuale penale (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in relazione ai criteri di valutazione della prova ex articolo 192 c.p.p. ed alla contraddittorieta’ della motivazione).
Assume che la responsabilita’ penale e’ stata fondata sulle esclusive dichiarazioni della (OMISSIS) sfornite di alcun valido riscontro probatorio.
Peraltro i giudici del merito, in contrasto con le risultanze processuali (che, per il principio di autosufficienza del ricorso, vengono riportare nell’atto di gravame), avrebbero ritenuto convergenti le dichiarazioni, tutt’altro che coincidenti, della dichiarante, della madre, (OMISSIS), e del veterinario, (OMISSIS).
2.3. Con il terzo motivo deduce il vizio di contraddittorieta’ intrinseca della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione all’articolo 544 ter c.p.) laddove la Corte territoriale ha ritenuto provata la penale responsabilita’ dell’imputato ritenendo non invocabile la causa di giustificazione di cui all’articolo 54 c.p..
2.4. Con il quarto motivo deduce violazione delle norme processuali e dei criteri di valutazione delle prove (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), in relazione all’articolo 544 ter c.p.), per avere la Corte territoriale accolto la versione fornita dalla persona offesa, anziche’ tenere conto di quanto dichiarato dalla (OMISSIS) che aveva fornito una versione diversa da quella enunciata in querela dalla (OMISSIS).
3. Sono stati prodotti motivi nuovi ai sensi dell’articolo 585 c.p.p., comma 4, con i quali sono state ribadite le censure denunciate con il ricorso, avuto riguardo in particolare alla reclamata esistenza della causa di giustificazione ex articolo 54 c.p..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ manifestamente infondato e proposto nei casi non consentiti, derivando da cio’ l’inammissibilita’ del gravame.
2. Quanto al primo motivo, questa Corte ha affermato che la gravita’ della minaccia, ai fini della configurabilita’ dell’aggravante di cui al capoverso dell’articolo 612 c.p., va accertata avendo riguardo a tutte le modalita’ della condotta, ed in particolare al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se, ed in quale grado, il male minacciato abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa (Sez. 5, n. 43380 del 26/09/2008, De Marco, Rv. 242188).
I giudici del merito si sono diligentemente attenuti a tale principio di diritto avendo valutato non solo la gravita’ della minaccia (di morte) in se’ ma inserendola nel contesto nel quale la condotta dell’imputato si e’ concretamente manifestata in modo da farsi apprezzare come capace di tradurre in atto il male minacciato cagionando nella vittima un turbamento psichico di particolare intensita’.
Infatti, sotto tale ultimo profilo, e’ stato opportunamente sottolineato come il male minacciato, preceduto da un’offesa recata alla vittima (“sei una psicopatica …”), fosse stato messo in correlazione da parte dell’imputato con la condotta lesiva diretta verso il cane (“… ammazzero’ il tuo cane e poi anche a te”, pag. 1 della sentenza di primo grado) e, dunque, con riferimento ad un’azione ampiamente dimostrativa della capacita’ dell’aggressore di realizzare la minaccia prospettata passando alle vie di fatto.
Ne deriva la manifesta infondatezza del motivo.
3. Il secondo ed il quarto motivo, essendo tra loro strettamente connessi, vanno congiuntamente esaminati.
Con essi il ricorrente si duole del fatto che le dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) siano state ritenute attendibili, nonostante l’esistenza di molteplici elementi che avrebbero dovuto far seriamente dubitare della loro idoneita’ ad essere poste a fondamento del giudizio di penale responsabilita’.
Occorre premettere come il ricorrente, nell’articolare la doglianza, operi una indebita frantumazione del patrimonio dichiarativo che, convergentemente, i giudici del merito hanno posto a fondamento della ricostruzione dei fatti e del giudizio di responsabilita’.
Va ricordato, a tale proposito, come il giudice di legittimita’, ai fini della valutazione della congruita’ della motivazione del provvedimento impugnato, debba fare riferimento, soprattutto nel caso di doppia conforme decisione, alle sentenze di primo e di secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile (ex multis, Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145).
Quando poi ci si trovi di fronte, come nella specie, ad una “doppia conforme” e cioe’ ad una doppia pronuncia di eguale segno conclusivo (nel presente caso, di condanna), il vizio di travisamento della prova e’ rilevabile, nel giudizio di cassazione, qualora il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che il dato probatorio, asseritamente travisato, si sia tradotto, attraverso la motivazione del provvedimento impugnato, nell’uso di un’informazione rilevante processualmente inesistente, o che sia stata omessa la valutazione di una prova decisiva che, se considerata, sarebbe stata in grado di disarticolare completamente l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale o probatorio che si afferma pretermesso.
Nel nostro caso, sia il Tribunale che la Corte di appello, dopo aver chiarito che le dichiarazioni della persona offesa non necessitano di riscontri esterni, hanno preso in considerazione tutte le emergenze processuali, ivi comprese quelle che, secondo l’assunto del ricorrente, avrebbero dovuto comportare una diversa ricostruzione del fatto.
La circostanza che (OMISSIS), madre della persona offesa, presente ai fatti, non avesse riferito della minaccia rivolta dall’imputato all’indirizzo della figlia (“sei una psicopatica, ammazzero’ il tuo cane poi anche te”) non e’ stata ritenuta rilevante sia perche’ la donna non e’ stata esaminata in dibattimento, essendo state le sue dichiarazioni, al pari della querela della (OMISSIS), acquisite con il consenso delle parti ai sensi dell’articolo 493 c.p.p., comma 3, e sia perche’ nelle dichiarazioni acquisite gli avvenimenti vennero descritti, sia pur sommariamente, in termini analoghi alla versione resa della figlia.
Parimenti e’ stata ritenuta perfettamente comprensibile la circostanza che, nell’immediatezza, le due donne non ritennero di esternare al veterinario, cui si erano rivolte, l’increscioso episodio avvenuto tra le mura domestiche e dissero che il cane era caduto dalle scale.
Peraltro le doglianze dedotte in merito ai criteri di valutazione della prova sono ripetitive delle critiche sollevate in sede di appello e le stesse, quantunque articolate e prospettate come vizi di legittimita’, si sostanziano in doglianze fattuali perche’ svincolate rispetto alla denuncia di errori di diritto o di vizi logici della decisione impugnata, attenendo alle valutazioni operate dai giudici di merito e chiedendosi al giudice di legittimita’ una rilettura degli atti processuali, per pervenire ad una diversa interpretazione degli stessi, piu’ favorevole alla tesi difensiva del ricorrente.
Trattasi di censura non consentita in sede di legittimita’ perche’ in violazione della disciplina di cui all’articolo 606 c.p.p..
La giurisprudenza di questa Corte e’ senza oscillazioni nel ritenere che l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, esulando, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (ex multis, Sez. U, n. 6402 del 02/07/1997, Dessimone ed altri, Rv. 207944).
4. Anche il terzo motivo, quantunque rinforzato dalle considerazioni svolte con i motivi aggiunti, e’ manifestamente infondato.
Con esso si sostiene che la reazione del (OMISSIS) sia stata indotta dalla necessita’ di sottrarsi al morso del cane barboncino, il quale avrebbe attaccato il ricorrente che voleva sottoporre l’animale ad un normale trattamento igienico.
Sul punto, la Corte territoriale, con logica ed adeguata motivazione, ha ritenuto, in conformita’ all’approdo cui e’ giunto il giudice di primo grado, che l’imputato, preavvisato peraltro della reazione che, per paura, l’animale avrebbe avuto in conseguenza del trattamento igienico imposto con prepotenza, per essere stato l’animale prelevato come fosse “un sacco di patate”, non si limito’ a liberarsi del cagnolino ma, alla preannunciata e dunque prevedibile reazione del cane, lo scaravento’ per le scale e, scagliandosi su di esso, lo colpi’ a calci, come concordemente riferito dai testi, tanto che il veterinario riscontro’ un trauma articolare, che altrimenti non avrebbe avuto ragione di determinarsi.
L’articolo 544 ter c.p. punisce, come una delle modalita’ della condotta, “chiunque, per crudelta’ o senza necessita’, cagiona una lesione ad un animale …” sicche’ l’ambito di rilevanza penale del reato, che e’ a forma libera, e’ circoscritto alle sole lesioni di animali realizzate “per crudelta’ o senza necessita’”.
Questa Corte ha affermato come il delitto de quo sia a dolo specifico, nel caso in cui la condotta lesiva dell’integrita’ e della vita dell’animale sia tenuta per crudelta’, e a dolo generico quando essa sia tenuta, come nel caso in esame, senza necessita’ (Sez. 3, n. 44822 del 24/10/2007, Borgia, Rv. 238455) e che nel concetto di necessita’, la cui ricorrenza esclude la configurabilita’ del reato, sia compreso lo stato di necessita’ di cui all’articolo 54 c.p., e ogni altra situazione che renda indispensabile la realizzazione di una condotta lesiva per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile.
Ne consegue come la nozione di necessita’ rilevante ai sensi dell’articolo 544 ter c.p. (cosi’ come per l’omologa fattispecie di cui all’articolo 544 bis c.p.) non sia pienamente sovrapponibile allo stato di necessita’, previsto dall’articolo 54 c.p..
Cio’ posto, sfugge quale necessita’, come hanno correttamente sottolineato i giudici del merito, avesse l’imputato nell’inveire sull’animale con brutali calci, tali da procurare il trama articolare, dopo essersene liberato, condotta di per se’ sufficiente a scartare la situazione di danno che l’agente stesso aveva peraltro volontariamente provocato.
Ne consegue l’inammissibilita’ del ricorso.
5. Il termine massimo di prescrizione dei reati e’ maturato ((OMISSIS)) tra la data della pronuncia della sentenza impugnata e la data della decisione del ricorso per cassazione.
5.1. Va chiarito che la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso preclude ogni pronuncia circa l’intervenuta prescrizione dei reati, maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata.
E’ costante in proposito l’orientamento di questa Corte secondo il quale l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione preclude ogni possibilita’ di far valere e/o di rilevare di ufficio, ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., l’estinzione del reato per prescrizione (Sez. U, 22/03/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164; nonche’ Sez. U, 22/11/2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266).
Tanto sul rilievo che l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perche’ contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (articolo 591, comma, 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione; articolo 606, comma 3), preclude ogni possibilita’ sia di far valere una causa di non punibilita’ precedentemente maturata, sia di rilevarla di ufficio.
Ed infatti l’intrinseca incapacita’ dell’atto invalido di accedere davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive gia’ maturate una loro effettivita’ sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi ma giuridicamente indifferenti per essersi gia’ formato il giudicato sostanziale (cosi’, in termini, Sez. U., Bracale cit.).
6. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla cassa delle ammende.

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