Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 6 maggio 2015, n. 18654

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente

Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 3638 della Corte di appello di Genova, del 28 novembre 2013;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata ed il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GENTILI Andrea;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. FIMIANI Pasquale, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

La Corte di appello di Genova, in riforma della sentenza con la quale il Tribunale di Imperia aveva assolto (OMISSIS), con la formula “perche’ il fatto non costituisce reato”, dalla imputazione connessa alla violazione continuata della Legge n. 638 del 1983, articolo 2, per avere egli omesso in piu’ occasioni di trasferire all’ente previdenziale le trattenute operate ai fini previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni versate ai propri dipendenti in diversi periodi dei quali sono indicati solo quelli che vanno dall’ottobre al dicembre 2008, lo ha condannato alla pena di mesi uno di reclusione ed euro 100,00 di multa.

In particolare la Corte di appello non ha ritenuto, come invece fatto dal Tribunale di Imperia, che fosse indice della assenza di dolo nell’omesso versamento il fatto che il (OMISSIS), a comprova della mera dimenticanza del tempestivo pagamento, avesse provveduto all’integrale versamento di quanto dovuto ancorche’ tardivamente.

Ha interposto ricorso per cassazione il (OMISSIS), tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo la illegittimita’ costituzionale della disposizione a lui contestata, per violazione del principio di eguaglianza, in relazione al fatto che, diversamente da quanto previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-bis, disposizione ritenuta analoga a quella ora in questione, il legislatore non ha previsto per la violazione della Legge n. 638 del 1983, articolo 2, comma 1-bis, una soglia minima di punibilita’.

Come secondo motivo di impugnazione e’ dedotta la manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza della Corte territoriale nella parte in cui questa non ha ritenuto che stante l’irrisoria entita’ della violazione ed il pronto pagamento di quanto omesso vi fossero indici della assenza di dolo in capo al ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Stante la sua evidente priorita’ logica, deve essere esaminata per prima la eccezione avente ad oggetto la pretesa illegittimita’ costituzionale del Decreto Legge n. 463 del 1983, articolo 2, comma 1-bis, convertito con modificazioni, con Legge n. 638 del 1983.

In particolare, secondo l’avviso del ricorrente la questione si porrebbe, in relazione all’articolo 3 Cost., posto a presidio del principio di uguaglianza, in quanto la norma della cui legittimita’ costituzionale si dubita non prevede che, affinche’ esso abbia rilevanza penale, l’omesso versamento all’ente previdenziale delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni versate ai propri lavoratori dipendenti raggiunga un determinato ammontare, laddove il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-bis, il quale sanzione il comportamento del sostituto di imposta che ometta di versare entro il termine previsto le ritenute da lui operate nella predetta qualita’ e risultanti dalla certificazioni rilasciate ai sostituiti, prevede che per essere penalmente rilevante la predetta omissione deve riguardare un ammontare superiore a 50.000,00 euro.

Ad avviso del ricorrente la lamentata lesione del principio di uguaglianza si realizzerebbe in quanto, essendo solo in un caso prevista una soglia di punibilita’, mentre il datore di lavoro che ometta il versamento delle ritenute previdenziali potrebbe essere chiamato a rispondere penalmente anche in ipotesi di irrisoria entita’, lo stesso soggetto che trattenga presso di se’ le ritenute da lui operate in qualita’ di sostituto di imposta andrebbe indenne dalla sanzione penale ove la sua omissione non superi la cifra di 50.000,00 euro.

Deve in primo luogo rilevarsi che analoga, sebbene non identica, questione gia’ e’ stata di recente esaminata dalla Corte costituzionale e definita, con sentenza n. 139 del 2014, nel senso della sua infondatezza.

Ritiene la Corte che la questione cosi’ come prospettata dal ricorrente, sia manifestamente inammissibile.

Deve al riguardo osservarsi che, prescindendo per il momento dalla suggestiva prospettiva di imminenti modifiche legislative (derivanti dalla probabile ventura attuazione della delega legislativa contenuta nella Legge n. 67 del 2014, la quale, all’articolo 2, comma 2, lettera c), prevede che, entro il termine di 18 mesi dalla entrata in vigore della medesima legge, il Governo e’ delegato ad emanare un decreto legislativo che, fra l’altro, disponga la trasformazione in illecito amministrativo il reato di cui al Decreto Legge 12 settembre 1983, n. 463, articolo 2, comma 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 novembre 1983, n. 638, purche’ l’omesso versamento non ecceda il limite complessivo di 10.000,00 euro annui e preservando comunque il principio per cui il datore di lavoro non risponde a titolo di illecito amministrativo, se provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione), le due fattispecie criminose posto a confronto dal ricorrente sono sostanzialmente diverse, sia per oggetto che per condotta che per struttura (in un caso l’omissione concerne somme destinate a confluire nella fiscalita’ generale, nell’altro caso si tratta di somme che hanno una specifica finalita’ essendo destinata ad alimentare il sistema assistenziale e previdenziale; in un caso il reato e’ semplicemente omissivo, perfezionandosi col mero omesso versamento di quanto trattenuto a titolo di contribuzione previdenziale od assistenziale sulle retribuzioni versate ai lavoratori dipendenti, nell’altro caso ha una struttura complessa, in parte omissiva in parte commissiva, dovendo la somma di cui al versamento omesso risultare dalla certificazioni rilasciate dal sostituto di imposta ai sostituiti; in una caso e’ prevista la possibilita’ di sanare, entro tre mesi dalla ricezione dell’accertamento amministrativo della omissione, quest’ultima, escludendo la punibilita’ della pregressa condotta, nell’altro caso tale facolta’ non e’ concessa) sicche’ la istituzione di un rapporto di valida comparazione fra le due fattispecie, rilevante ai fini della segnalazione di eventuali disparita’ di trattamento costituzionalmente illegittime nelle rispettive discipline normative, appare assai ardua.

Ove cio’ non fosse ritenuto sufficiente ai fini della esclusione della non manifesta infondatezza della dedotta questione, vi e’ da rilevare, quale indiscutibile ragione di evidente inammissibilita’ della quaestio sollecitata, che postulandosi, onde rimuovere l’asserita disparita’ di trattamento, l’introduzione di una soglia di punibilita’ anche relativamente al Decreto Legge n. 463 del 1983, articolo 2, comma 1-bis, convertito, con modificazioni, con Legge n. 683 del 1983, si chiederebbe alla Corte costituzionale un intervento additivo sulla norma indubbiata che, per essere non “a rime obbligate”, secondo la felice definizione in uso presso la dottrina e la giurisprudenza costituzionale, assumerebbe dei palesi contenuti creativi, essendo la concreta individuazione del livello della soglia di punibilita’ idoneo a salvaguardare il principio di uguaglianza rimessa alla discrezionalita’ della Corte costituzionale.

Siffatto compito, pero’, esulerebbe evidentemente dai poteri di tale organo, rientrando nelle esclusive prerogative del legislatore ordinario.

La questione di legittimita’ costituzionale eccepita dal ricorrente e’, pertanto, inammissibile.

Relativamente all’ulteriore motivo di doglianza contenuto nel ricorso proposto dal (OMISSIS), afferente alla manifesta illogicita’ e/o contraddittorieta’ della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente il dolo dell’imputato sebbene questi abbia, sia pure tardivamente, comunque provveduto al pagamento delle somme omesse, laddove la sua condotta doveva essere ascritta a semplice dimenticanza, come desumibile anche dalla modestia dell’importo evaso, osserva la Corte che il giudice del merito ha, con motivazione congruamente argomentata, escluso che il tardivo versamento dello somme evase potesse escludere la sussistenze del dolo generico della originaria omissione.

Tale rilevo e’ certamente esatto posto che, essendo il reato contestato un reato meramente omissivo esso gia’ si era perfezionato al momento della inutile scadenza del termine per l’effettuazione del tempestivo versamento delle ritenute previdenziali operate sulla retribuzioni versate ai propri dipendenti.

In ragione di cio’ ogni attivita’ successiva deve ritenersi, in linea di principio, costituire un post factum non rilevante ai fini della elisione della rilevanza penale della condotta; cio’, naturalmente ove si eccettui, ma non e’ questo il caso, il pagamento intervenuto entro il termine di tre mesi dall’avvenuta ricezione da parte del soggetto obbligato dell’accertamento amministrativo della avvenuta omissione, secondo la previsione dell’articolo 2, comma 1-bis, del piu’ volte ricordato Decreto Legge n. 463 del 1983.

E’, anzi, proprio la espressa previsione di siffatta norma eccezionale che rafforza la tesi della irrilevanza (se non ai limitati fini del giudizio sulla entita’ della sanzione da applicare reato commesso) negli altri casi del tardivo adempimento dell’obbligo contributivo.

Alla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso segue, visto l’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, cosi’ equitativamente determinata, di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile la questione di legittimita’ costituzionale. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

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