medico veterinario

Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 7 maggio 2014, n. 9860

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARLEO Giovanni – Presidente
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27394/2010 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusto mandato a margine;
– ricorrente –
contro
MINISTERO SALUTE, Commissione Centrale per gli Esercenti le professioni sanitarie, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende per legge;
– controricorrente –
e contro
CONSIGLIO ORDINE MEDICI VETERINARI PROVINCIA ROVIGO (OMISSIS), PROCURATORE REPUBBLICA TRIBUNALE ROVIGO;
– intimati –
avverso la decisione n. 44/2010 della COMM. CENTR. ESERC. PROFESSIONI SANITARIE di ROMA, depositata il 09/08/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/02/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La proprietaria di una cavalla purosangue presento’ un esposto (il 17 novembre 2008) per denunciare che (nel 2003) il veterinario Dott. (OMISSIS) aveva provveduto all’inseminazione artificiale con un seme di uno stallone diverso da quello concordato e aveva attestato come avvenuta l’inseminazione concordata nel certificato (del maggio 2003), rilevante ai fini dell’iscrizione presso l’UNIRE. In esito al procedimento disciplinare avviato nel 2009, l’Ordine dei medici veterinari della Provincia di Rovigo inflisse la sanzione della censura al medico, ravvisando la violazione dell’articolo 17 del Codice deontologico.
La Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie respinse il ricorso proposto dal professionista, con decisione del 9 agosto, notificata il 28 agosto 2010.
2. Avverso la suddetta decisione, il Dott. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione con due motivi.
Ha resistito con controricorso il Ministero della Salute – Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, deducendo il difetto di legittimazione passiva, oltre l’infondatezza.
L’Ordine dei medici veterinari della Provincia di Rovigo e il Procuratore della Repubblica di Rovigo, non hanno svolto difese.
3. Non risultando la prova dell’avvenuta notifica del ricorso ai contraddittori necessari, e cioe’ all’Ordine dei medici veterinari della Provincia di Rovigo e al Procuratore della Repubblica di Rovigo, all’udienza del 18 gennaio 2013, e’ stata ordinata l’integrazione del contraddittorio.
In data 2 maggio 2013, il difensore del ricorrente ha depositato gli avvisi di ricevimento della notifica dell’originario ricorso ai suddetti contraddittori; notifica al P.M. locale e all’Ordine locale, richiesta il 12 novembre 2010 e avvenuta il 17 novembre 2010.
Atteso che sussiste la prova che il ricorso era stato gia’ ritualmente notificato, perde di efficacia l’ordine di integrazione del contraddittorio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Sono preliminari i profili attinenti al contraddittorio.
Il Ministero della Salute, che presenta controricorso quale “Ministero della salute-Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie”, eccepisce il difetto di legittimazione passiva, sia del Ministero che della Commissione.
1.1. E’ pacifico nella giurisprudenza di legittimita’ (da ultimo Cass. 27 maggio 2011, n. 11755) che la Commissione Centrale non e’ contraddittore nel giudizio di cassazione, trattandosi del giudice speciale la cui decisione e’ impugnata.
1.2. Quanto al difetto di legittimazione passiva del Ministero della salute, l’eccezione e’ manifestamente priva di fondamento. Nella giurisprudenza di legittimita’ e’ consolidato il principio, secondo cui “In tema di professioni sanitarie, venute meno, Legge 13 marzo 1958, n. 296, ex articolo 6, le competenze del prefetto (in materia di sanita’ pubblica), trasferiti alle Regioni gli uffici dei medici e dei veterinari provinciali ed affermata la competenza dello Stato relativamente agli ordini e collegi professionali, il Ministro della Sanita’ (e non piu’ il Prefetto o il Medico provinciale) e’ legittimo contraddittore – insieme con il Procuratore della Repubblica e l’ordine professionale – sia nel giudizio avente ad oggetto un ricorso contro decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, in materia di iscrizione all’albo o di sanzioni disciplinari, sia nella precedente fase giurisdizionale davanti a tale Commissione, a seguito d’impugnazione del provvedimento amministrativo adottato dall’ordine locale”. (da ultimo, Cass. 27 maggio 2011, n. 11755; Cass. 20 luglio 2011, n. 15889).
2. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 1950, n. 221, articolo 51, secondo il quale “L’azione disciplinare si prescrive in cinque anni”.
2.1. La decisione impugnata aveva respinto il motivo di ricorso fondato sulla intervenuta prescrizione, sostenendo che la prescrizione decorre dal momento (novembre 2008) nel quale il Consiglio e’ venuto a conoscenza del comportamento sanzionabile.
2.2. Il ricorrente, premesso che i fatti oggetto dell’addebito si sono verificati nella primavera del 2003 e non oltre il maggio del 2003 (data della compilazione del certificato), sostiene che l’azione era prescritta quando, nel novembre del 2008, fu proposto l’esposto al Consiglio dell’ordine provinciale, essendo rilevante solo il momento del fatto e non la conoscenza dello stesso da parte dell’Ordine. Aggiunge che, a maggior ragione, l’azione era prescritta al momento dell’avvio del procedimento disciplinare, nell’agosto del 2009. Precisa che, nella specie, non si era verificato alcun effetto interruttivo in relazione all’azione penale, mai esercitata; richiama la decisione di legittimita’ (Cass. 2 marzo 2006, n. 4658), che ha ritenuto irrilevante la non conoscenza da parte dell’organo disciplinare dell’avvenuta definizione del processo penale. 3. La censura va accolta.
La questione posta all’attenzione della Corte e’ “Se, nell’ipotesi in cui il fatto per cui si procede disciplinarmente nei confronti dei sanitari non abbia rilevanza penale (o, comunque, non sia iniziato il procedimento penale), ai fini dell’inizio del decorso del termine di prescrizione di cinque anni, previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950, articolo 51, rilevi la data del fatto cui l’azione disciplinare si riferisce o la data in cui l’Organo disciplinare ha avuto conoscenza dello stesso”.
Ritiene il Collegio che ai fini della decorrenza della prescrizione dell’azione disciplinare rilevi la data del fatto cui l’azione disciplinare si riferisce. 3.1. L’articolo 51 cit., secondo il quale “L’azione disciplinare si prescrive in cinque anni” mancando di ogni specificazione, non fornisce all’interprete alcuna indicazione in ordine alla soluzione della questione in argomento.
Ne’ la questione e’ stata mai espressamente affrontata dalla giurisprudenza di legittimita’. La quale, invece, ha avuto occasione di esaminare profili diversi, connessi all’interpretazione dell’articolo 51 cit.. In particolare, in riferimento alla durata del procedimento disciplinare e della successiva fase giurisdizionale, per assicurare il rispetto dell’esigenza che il tempo dell’applicazione della sanzione non sia protratto in modo indefinito (da ultimo, Cass. 20 luglio 2004, n. 13427; Cass. 30 luglio 2001, n. 10396; Cass. 9 marzo 2012, n. 3706). In riferimento al rapporto con il procedimento penale per lo stesso fatto, di cui allo stesso Decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950, articolo 44, riconoscendo l’interruzione per tutto il tempo in cui il procedimento penale si svolga e l’inizio del nuovo termine dalla data della sentenza penale definitiva, indipendentemente dalla data in cui l’Organo disciplinare ha avuto conoscenza della definitivita’ del processo penale (Cass. 2 marzo 2006, n. 4658).
3.2. Certamente, la norma in argomento ha la funzione primaria di delimitare nel tempo proprio l’inizio dell’azione disciplinare, prima ancora che il tempo per l’applicazione della sanzione.
E alcune decisioni, relative proprio all’azione disciplinare per le professioni sanitarie, hanno indirettamente affrontato tale profilo. In questa prospettiva, la decisione da ultimo richiamata (Cass. n. 4658 del 2006) rileva proprio perche’, trattandosi di decidere l’inizio della decorrenza del termine per l’avvio del procedimento disciplinare – dopo aver atteso l’esito e le valutazioni del giudice penale, secondo la subordinazione del procedimento disciplinare a quello penale, voluta dal legislatore – non ha dato alcun rilievo alla conoscenza della sentenza penale definitiva da parte dell’Organo disciplinare, ma solo alla data della sentenza penale irrevocabile, quale “fatto giuridico” che si sostituisce al “fatto materiale” rilevante ai fini dell’illecito.
Inoltre, nella sentenza suddetta (in motivazione), ed anche in un’altra (Cass. 7 maggio 2009, n. 10517), si attribuisce rilievo al momento della commissione dell’illecito, quale inizio della decorrenza del termine di prescrizione, per escludere che un’eventuale azione penale iniziata dopo la decorrenza del termine di cinque anni dal fatto potesse essere idonea a interrompere la prescrizione a fini disciplinari, secondo la previsione dell’articolo 44 cit.; non potendo interrompersi una prescrizione gia’ maturata.
3.2.1. La ratio e’ la stessa in una decisione (Cass. 8 giugno 2001, n. 7787) che concerne i dottori commercialisti, dove, in presenza di una norma generale (Decreto del Presidente della Repubblica n. 1067 del 1953, articolo 46) identica all’articolo 51 in argomento, e di una norma di raccordo con il processo penale (Decreto del Presidente della Repubblica n. 1067 del 1953, articolo 40), analoga al richiamato articolo 44, per i sanitari, la Corte ha dato rilievo al compimento dell’attivita’ materiale integrante l’illecito disciplinare contestato al professionista, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione quinquennale per l’esercizio dell’azione disciplinare. Ed ha ritenuto che, decorso tale termine senza che per gli stessi fatti fosse stata iniziata l’azione disciplinare o quella penale, l’azione disciplinare e’ prescritta e non puo’ essere promossa neanche a seguito di condanna in un procedimento penale iniziato dopo la maturazione della prescrizione disciplinare.
3.2.2. Infine, espressamente, rispetto ad analoga norma relativa all’azione disciplinare nei confronti degli avvocati, la decorrenza della prescrizione dalla data di realizzazione dell’illecito (o dalla cessazione della sua permanenza) e’ stata inquadrata nell’esercizio di una potesta’ normativa di natura pubblicistica, negando l’integrale applicabilita’ della disciplina civilistica della prescrizione (Sez. Un. 30 giugno 1999, n. 372).
4. In definitiva, da queste decisioni emerge con chiarezza che la prescrizione prevista per le sanzioni disciplinari ha una sua autonomia, cosi’ che, per l’ipotesi che la fattispecie penale abbia un termine piu’ lungo di prescrizione e il professionista sia sanzionato penalmente all’esito del processo iniziato quando la prescrizione disciplinare era gia’ decorsa, neanche il riconosciuto illecito penale puo’ servire a far avviare un procedimento disciplinare la cui azione e’ prescritta. E, nello stesso tempo, ha un tratto comune, costituito dall’unitario riferimento al fatto illecito per l’inizio della decorrenza della prescrizione.
4.1. D’altra parte, l’elemento comune costituito dalla data di realizzazione del fatto illecito, nell’ottica disciplinare o penale, pur nella autonomia dei possibili diversi termini di prescrizione – espressione dei diversi interessi pubblici tutelati – si spiega con la identica natura della potesta’ punitiva, avente per contenuto i poteri di accertare l’illecito, di infliggere la sanzione e di eseguirla. Potesta’ che ha caratteristiche analoghe, certo non identiche, sia che si tratti di infliggere una sanzione penale, che una sanzione disciplinare. Con la conseguenza, che nella materia disciplinare la lacuna esistente, nella specie esaminata rispetto alle professioni sanitarie (e per altre professioni, come si e’ visto nelle decisioni esaminate), quanto all’inizio della decorrenza della prescrizione, deve colmarsi con il diritto punitivo in senso stretto, quale e’ il diritto penale (articolo 158 c.p.).
La decorrenza dalla data della realizzazione dell’illecito disciplinare e’, infatti, in linea con la natura sostanziale della prescrizione di ogni illecito, e quindi anche disciplinare o penale, che dia luogo a poteri autoritativi di irrogazione della sanzione, stante la ratio comune, costituita dal progressivo affievolimento, con il passare del tempo, dell’esigenza di reagire all’illecito per il venir meno dell’interesse pubblico all’esercizio della potesta’ punitiva. Cosi’, la prescrizione dell’azione disciplinare incide sulla potesta’ punitiva dell’Ordine professionale nei confronti dell’iscritto, facendo venir meno la stessa illiceita’, proprio in ragione dell’affievolimento con il tempo dell’esigenza di reagire all’illecito per la repressione del quale la potesta’ punitiva e’ stata conferita. Conseguente e’ l’irrilevanza della conoscenza del fatto illecito da parte dell’Organo disciplinare quando la potesta’ punitiva sia venuta meno con il venir meno della illiceita’ della condotta.
5. In conclusione, il motivo di ricorso e’ accolto sulla base del seguente principio di diritto “Nell’ipotesi in cui il fatto per cui si procede disciplinarmente nei confronti dei sanitari non abbia rilevanza penale (o, comunque, non sia iniziato il procedimento penale), ai fini dell’inizio del decorso del termine di prescrizione di cinque anni, previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950, articolo 51, rileva – come per l’illecito penale – la data di realizzazione dell’illecito cui l’azione disciplinare si riferisce e non la data in cui l’Organo disciplinare ha avuto conoscenza dello stesso”.
Nella specie, l’azione era gia’ prescritta nel novembre 2008, al momento della presentazione dell’esposto al Consiglio dell’Ordine, e, quindi, anche al momento (2009) dell’avvio del procedimento disciplinare, essendo trascorsi piu’ di cinque anni dal momento del fatto (non oltre il maggio del 2003, con la compilazione del certificato).
5.1. Dall’accoglimento del primo motivo, discende l’assorbimento del secondo motivo, avente ad oggetto la censura avverso la decisione che aveva riconosciuto esistente la violazione dell’articolo 17 del Codice deontologico.
5.2. In accoglimento del primo motivo, la decisione impugnata va cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ricorrono le condizioni per la pronuncia nel merito, ex articolo 384 c.p.c., e l’azione disciplinare e’ dichiarata prescritta.
Nessuna pronuncia sulle spese e’ dovuta in riferimento al procedimento giurisdizionale svoltosi dinanzi alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie.
In ragione della novita’ della questione decisa, ricorrono giusti motivi per la integrale compensazione delle spese processuali del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara prescritta l’azione disciplinare esercitata nei confronti del Dott. (OMISSIS); compensa integralmente le spese processuali del giudizio di cassazione.

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