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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 8 ottobre 2015, n. 40350

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere

Dott. ROSI Elisabetta – rel. Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 4772/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del 23/12/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/07/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Paolo Canevelli, che ha concluso per il rigetto;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS), che si riporta al ricorso e ne chiede l’accoglimento.

 

RITENUTO IN FATTO

 

1. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 23 dicembre 2014, ha confermato la condanna a mesi sei di reclusioni ed euro 300,00 di multa di (OMISSIS) per il reato di omesso versamento all’INPS delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, commesso nella qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) srl., dal mese di settembre 2007 al mese di gennaio 2008.

2. L’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi: 1) Violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 2 comma 4, in relazione alla Legge Delega n. 67 del 2014, articolo 2, comma 2, che prevede la trasformazione del reato in illecito amministrativo, a nulla valendo la mancata traduzione del principio in un decreto legislativo; 2) Violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), inosservanza ed erronea applicazione del Decreto Legge n. 683 del 1983, articolo 2 comma 1 bis, in relazione alla mancata violazione nel caso concreto del bene giuridico protetto dalla norma, atteso che l’importo complessivo delle omissioni contributive e’ pari ad euro 5.198,00; 3) Violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), violazione del Decreto Legge n. 683 del 1983, articolo 2, comma 1 bis, con riferimento alla possibilita’ di usufruire della causa di non punibilita’, attesa l’irregolarita’ della notifica dell’accertamento da parte dell’INPS, come gia’ eccepito in appello, non avendo la Corte di appello considerato un ragionevole dubbio circa il fatto che la raccomandata consegnata alla domestica non fosse stata portata a conoscenza del ricorrente; 4) Violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 507 c.p.p., in relazione agli articoli 190 e 495 c.p.p., per insanabile tardivita’ della lista testi, dichiarata inammissibile dal Tribunale che ha poi ammesso il teste (OMISSIS); 5) Violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), inosservanza dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, stabilito a pena di nullita’, mancanza della motivazione in ordine alla prova dell’avvenuto pagamento delle retribuzioni, non avendo la pubblica accusa fornito la prova del pagamento delle retribuzioni; 6) Violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), mancata motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; 7) Violazione ex articolo 606, lettera b) ed e), erronea applicazione dell’articolo 133 c.p., mancata motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.

3. Con memoria depositata il 24 giugno 2015, il difensore dell’imputato ha proposto ex articolo 585 c.p.p., comma 4, i seguenti motivi nuovi: 1) Violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 2 comma 4 e 6 c.p. in relazione alla Legge delega n. 67 del 2014, rilevato che il Tribunale di Bari ha sollevato questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 2, comma 2, lettera c), della legge delega proprio sul punto con ordinanza del 15 dicembre 2014, per cui si chiede il rinvio in attesa della pronuncia; 2) Violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 2 c.p., comma 4, in relazione all’introduzione della circostanza di non punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto di cui all’articolo 131 bis c.p., ex Decreto Legislativo n. 28 del 2015, a fronte di un giudizio di offensivita’ particolarmente tenue e tenuto conto del richiamo a precedenti specifici relativi a periodi antecedenti e successivi, rispetto a quello in contestazione; 3) Intervenuta prescrizione per le mensilita’ contributive dei mesi di settembre, ottobre e novembre 2007.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

1. I motivi di ricorso sono tutti infondati. Quanto al primo motivo, la sentenza impugnata ha correttamente affermato la non rilevanza dei contenuti della legge-delega nel caso di specie. Del pari deve dirsi per il primo dei motivi nuovi, con il quale si insiste per l’immediato valore decriminalizzante della indicazione di depenalizzazione della fattispecie penale contenuta nei principi e criteri direttivi della Legge-Delega n. 67 del 2014, facendo riferimento ad una questione di legittimita’ costituzionale proposta in merito alla stessa. Come gia’ affermato da questa Corte (cfr. sent. sez. F. n. 38080 del 31/7/2014), la fattispecie in esame e’ ancora tipizzata come reato, in quanto la Legge 28 aprile 2014, n. 67, conferisce unicamente una delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria di alcuni reati e per la contestuale introduzione di sanzioni amministrative, ivi compresa (articolo 2, comma 2, lettera c), la trasformazione in illecito amministrativo del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali a condizione che non ecceda il limite complessivo di euro 10.000 annui ed il relativo decreto delegato dovra’ essere emanato entro diciotto mesi dall’entrata vigore della legge. Ma, ovviamente, il Governo potrebbe anche determinarsi a non esercitare il potere legislativo delegatogli dal Parlamento. Quanto alla fattispecie di cui al Decreto Legge n. 463 del 1983, articolo 2, comma 1 bis, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 139 del 2014, nel dichiarare non fondata la questione di legittimita’ costituzionale, per contrasto con l’articolo 3 Cost., ha ribadito che “il mancato adempimento dell’obbligo di versamento dei contributi previdenziali determina un rischio di pregiudizio del lavoro e dei lavoratori, la cui tutela e’ assicurata da un complesso di disposizioni costituzionali contenute nei principi fondamentali e nella parte Prima della Costituzione” e che la mancata previsione “della soglia di non punibilita’ della disciplina dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali” non e’ irragionevole e neppure arbitraria.

2. Per quanto attiene alla seconda censura proposta, in relazione alla asserita mancata violazione nel caso concreto del bene giuridico protetto dalla norma, si osserva che tale censura risulta proposta per la prima volta innanzi a questo giudice di legittimita’ e pertanto risulta inammissibile oltre che manifestamente infondata ogni doglianza circa la pretesa carenza motivazionale o il vizio motivazionale della sentenza impugnata.

3. La tematica risulta impropriamente riproposta sotto la veste del secondo motivo aggiunto, laddove si invoca la disposizione di cui all’articolo 131 bis c.p., per sostenere l’irrilevanza penale del fatto, essendo stata arrecata un’offesa di particolare tenuita’. Fermo restando che pur avendo questa Corte affermato il principio di diritto che “la questione relativa alla esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, di cui all’articolo 131 bis c.p., e’ rilevabile nel giudizio di legittimita’, a norma dell’articolo 609 c.p.p., comma 2, se non e’ stato possibile proporla in appello, ma la sua prospettazione non implica necessariamente l’annullamento della sentenza impugnata dovendo invece la relativa richiesta essere rigettata ove non ricorrano le condizioni per l’applicabilita’ dell’istituto” (cosi’ Sez. 3, n. 21474 del 22/4/2015, Fantoni, Rv. 263693), l’ambito di valutazione per il giudice di legittimita’ ex articolo 131 bis c.p., non puo’ che essere limitato alla ricostruzione del fatto storico come accertato nei giudizi di merito ed alle circostanze relative agli atti. Orbene, nel caso di specie va rilevato innanzitutto che gli importi evasi non risultano quantitativamente cosi’ esigui da essere ritenuti di particolare tenuita’, posto che le ritenute previdenziali costituiscono componenti della retribuzione trattenuti al lavoratore, per la formazione dell’accantonamento a fini previdenziali e quindi aventi una finalita’ essenziale, per cui la “distrazione” di tali importi da parte del datore di lavoro che omette di versare le stesse all’ente previdenziale rappresenta, in ragione della correlazione con ciascuna posizione previdenziale, un danno per la posizione previdenziale del lavoratore non qualificabile di certo come particolarmente tenue nel caso di specie (cinque mesi di contribuzione). A cio’ va aggiunto che il giudice di secondo grado ha fondato la conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche sulla sussistenza di due precedenti specifici ascritti al (OMISSIS), connessi ad omessi versamenti delle ritenute previdenziali in periodi antecedenti e successivi ai fatti contestati, per cui risulta mancare il requisito imposto dall’invocata disposizione dell’articolo 131 bis c.p., il quale richiede, oltre alla tenuita’ dell’offesa, la mancanza di un’abitualita’ di condotta illecita.

4. Per quanto attiene ai motivi 3, 4 e 5, gli stessi risultano al limite dell’ammissibilita’, essendo gia’ stati proposti con il gravame di appello ed avendo la sentenza impugnata fornito puntuale risposta, sia in relazione alla regolarita’ della notifica dell’accertamento della violazione da parte dell’INPS (in data 8 aprile 2009, come indicato nella parte motiva della sentenza di primo grado) che alla correttezza dell’ambito del potere di integrazione probatoria ex articolo 507 c.p.p., esercitato dal Tribunale, che della tardivita’ (ed infondatezza) della eccezione del mancato adempimento delle obbligazioni di pagamento della

retribuzione ai lavoratori da parte della societa’, avanzata dal difensore dell’imputato soltanto con l’atto di appello, a fronte di elementi di segno opposto. I giudici di merito hanno infatti applicato un principio di diritto consolidato: poiche’ il rapporto di lavoro e’ di regola retribuito, spetta al datore di lavoro che assuma di non aver pagato i dipendenti, l’onere di fornire tale prova, come affermato dalla giurisprudenza (“in presenza delle denunce contributive, l’onere di dimostrare eventuali difformita’ rispetto alla situazione in esse rappresentata, incombe sul soggetto che la deduce, sia che si tratti dell’imputato che dell’organo dell’accusa”, in tal senso, Sez. 3, n. 32848 del 2/9/2005, Smedile, Rv. 232393, si veda anche Sez. 3, n. 46734 del 2/12/2004, Verderosa, Rv. 230423)

5. Del tutto infondati anche i motivi 6 e 7 del ricorso, laddove si lamenta un vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed un errore nell’applicazione dei criteri dell’articolo 133 c.p., atteso che si tratta di doglianze meramente reiterative dei motivi di appello ai quali la sentenza impugnata ha fornito puntuale e congrua risposta.

6. Per quanto attiene poi all’ultimo motivo aggiunto, relativo all’asserita prescrizione dei reati relativi ai versamenti dei mesi di settembre, ottobre e novembre 2007, lo stesso risulta infondato. E’ stato infatti evidenziato che “il reato di cui trattasi e’ un reato omissivo istantaneo che si consuma nel momento della scadenza del termine utile concesso al datore di lavoro per il versamento, termine attualmente fissato, dal Decreto Legislativo n. 422 del 1998, articolo 2, comma 1, lettera b), al giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi (in tal senso, Sez. 3, n. 20251 del 14/5/2009, Casciaro, Rv. 243628 e Sez. 3, n. 615 del 14/12/2010, Ciampi ed altro, Rv. 249164), ma ai fini del computo della prescrizione del reato deve essere altresi’ considerata la previsione di cui al Decreto Legge n. 463 del 1983, articolo 2, comma 1 quater, che dispone che il termine di prescrizione rimanga sospeso durante il termine di cui al comma 1 bis, (ossia il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione entro il quale il trasgressore puo’ provvedere al pagamento e beneficiare della condizione di non punibilita’). Pertanto, tenuto conto che il termine di prescrizione per il delitto di cui trattasi e’ stabilito in sette anni e mezzo (termine lungo), anche il reato commesso per primo, relativo all’omesso versamento delle ritenute del mese di settembre 2007 non risulta prescritto (scadenza pagamento 16 ottobre 2007, computo di sette anni e mesi sei, oltre ai tre mesi di sospensione, con il risultato che il termine di prescrizione sarebbe spirato il 16 luglio 2015).

Pertanto il ricorso deve essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente, ex articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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