Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 9 aprile 2015, n. 7078

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23183/2008 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS) elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA in persona del suo procuratore speciale Dott.ssa (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 20658/2007 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 22/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/01/2015 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilita’, o in subordine rigetto, del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La (OMISSIS) s.p.a. proponeva prima una opposizione a precetto e poi una opposizione al pignoramento presso terzi eseguito nel 2004 ad istanza di (OMISSIS) dall’avv. (OMISSIS) in forza di una sentenza della Corte d’Appello di Roma, n. 554 del 1997, assumendo di aver integralmente saldato il debito di cui alla sentenza, fin dal 1995, avendo inviato al creditore un assegno circolare per lire 15.840.000 che questi non aveva ingiustificatamente posto all’incasso.

Il procedimento di opposizione a precetto si concludeva con una pronuncia di cessazione della materia del contendere, mentre l’opposizione all’esecuzione si concludeva con una sentenza di accoglimento, la n. 20658 del 22.10.2007, avverso la quale il (OMISSIS) propone il ricorso per cassazione oggetto di esame, affidato a tre motivi.

Il Tribunale di Roma accoglieva l’opposizione, dichiarando la nullita’ del pignoramento presso terzi eseguito tra le parti, avendo la compagnia di assicurazioni inviato al creditore un assegno circolare per un ammontare idoneo ad estinguere il credito, che non era stato posto all’incasso senza alcuna idonea giustificazione ed avendo inoltre il creditore gia’ ottenuto, per lo stesso credito vantato nei confronti della (OMISSIS), una ordinanza di assegnazione nei confronti di un terzo pignorato.

Resiste con controricorso la (OMISSIS) s.p.a..

Le parti non hanno depositato memorie illustrative.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, il (OMISSIS) lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 324 e 39 c.p.c., in quanto il tribunale, accogliendo l’opposizione, avrebbe violato il divieto del ne bis in idem pronunciando in modo contrastante a quanto fatto pochi mesi prima da altro giudice dello stesso Tribunale di Roma, che aveva definito l’opposizione a precetto tra le stesse parti con una sentenza di cessazione della materia del contendere.

La violazione consisterebbe nel non aver disposto la riunione e nel non aver rilevato la litispendenza giungendo cosi’ ad una seconda pronuncia sul merito, contrastante con la sentenza precedente non impugnata e gia’ passata in giudicato.

Formula al termine del motivo due distinti quesiti di diritto, relativi l’uno alla non rilevata litispendenza e l’altro al contrasto di giudicati.

Il motivo e’ infondato, in riferimento ad entrambi i profili prospettati.

Non sussistono le prospettate violazioni di legge in quanto non sussiste litispendenza tra due cause proposte davanti a magistrati diversi facenti parte di uno stesso ufficio giudiziario, in quanto la litispendenza presuppone che esistano due cause e che le stesse siano pendenti dinanzi ad uffici giudiziari diversi.

E non sussiste contrasto di giudicati tra una causa che dichiari la cessazione della materia del contendere – che non e’ una pronuncia di merito ma al contrario la presa d’atto da parte del giudice che le parti, per le piu’ varie, possibili situazioni sottostanti,

non hanno piu’ interesse ad ottenere una pronuncia di merito – e una causa che ci concluda con una pronuncia sul merito, sia essa di accoglimento o di rigetto.

Quanto alla riunione, essa e’ una facolta’ discrezionale del giudice rientrante tra i suoi poteri per disciplinare il migliore andamento del processo, il cui esercizio o mancato esercizio non e’ sindacabile per violazione di legge.

Anche con il secondo motivo di ricorso il (OMISSIS) lamenta la violazione o falsa applicazione delle norme di diritto con riguardo all’articolo 324 c.p.c., segnalando al contempo, pur avendo richiamato esclusivamente l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la presenza nella sentenza impugnata di un error in procedendo.

Lamenta che il tribunale abbia ritenuto decisivo, ai fini dell’accoglimento dell’opposizione, il fatto che fosse stata gia’ emessa, in favore del creditore, una precedente ordinanza di assegnazione senza considerare che l’emissione dell’ordinanza di assegnazione non determina di per se’ l’estinzione dell’obbligazione che consegue solo alla riscossione, e che, non essendo stata opposta la ordinanza di assegnazione, su di essa si sarebbe ormai formato il giudicato.

Chiede alla Corte se, nell’ipotesi in cui il creditore procedente abbia ottenuto un’ordinanza di assegnazione delle somme e nel contempo notificato un nuovo atto di precetto per il medesimo credito accertato nell’ordinanza predetta, possa il giudice adito nel giudizio di opposizione, rilevata l’esistenza della precedente assegnazione mai opposta, e pertanto di un accertamento definitivo del credito azionato, dichiarare l’illegittimita’ della procedura esecutiva per inesistenza del diritto.

Il motivo e’ infondato.

Deve ritenersi che il comportamento tenuto dal creditore procedente (e per lui dal suo legale, Gina Tralicci) consistente nell’aver percepito e non incassato un assegno circolare ad estinzione del credito, nell’aver ugualmente intrapreso, a distanza di anni, una prima esecuzione ottenendo una ordinanza di assegnazione pari all’ammontare dell’intero credito precettato e nell’aver ugualmente intrapreso, senza attendere e neppure richiedere il pagamento dell’ordinanza di assegnazione al terzo pignorato, una nuova esecuzione a carico del medesimo debitore, sempre nelle forme del pignoramento presso terzi, costituisca espressione di un uso distorto degli strumenti del processo esecutivo. Essi sono volti alla piena soddisfazione del diritto del creditore a percepire, almeno in sede di esecuzione forzata, quanto gli e’ dovuto dal debitore e non e’ stato spontaneamente pagato, ma non possono legittimamente essere utilizzati come strumenti di gratuita vessazione del debitore stesso al solo scopo pratico di moltiplicare le spese di esecuzione.

E’ ben vero che l’emissione di una ordinanza di assegnazione (accostata tradizionalmente dalla giurisprudenza ad una cessione pro solvendo) di per se’ non integra una immediata e contestuale estinzione dell’obbligazione del debitore ne’ al contempo comporta una immediata soddisfazione del creditore procedente, in quanto egli sara’ pienamente soddisfatto soltanto con l’effettivo incasso delle somme assegnate allorche’ il terzo destinatario dell’ordinanza di assegnazione avra’ provveduto ad effettuare il pagamento.

Questa Corte ha piu’ volte affermato che, stante il principio della cumulabilita’ dei mezzi di esecuzione, l’emissione di una ordinanza di assegnazione in se’, non essendo immediatamente satisfattiva, non preclude di per se’ la possibilita’ di ottenerne delle altre sempre in relazione allo stesso titolo e fino alla soddisfazione effettiva del credito (Cass. n. 13021 del 1992, che riconduce l’assegnazione giudiziale del credito compiuta ai sensi degli articoli 552 e 553 c.p.c., ad una “datio in solutum” condizionata all’avvenuto pagamento della somma in favore del creditore procedente).

Si ritiene pero’ che il principio della cumulabilita’ dei mezzi di espropriazione vada coordinato con il principio dell’abuso degli strumenti processuali.

Questa Corte ha avuto piu’ volte modo di affermare, negli ultimi anni, che costituisce abuso degli strumenti processuali la proposizione frazionata di una pretesa unitaria, a partire dal fondamentale arresto costituito da Cass. S.U. n. 23726 del 2007, secondo il quale “Non e’ consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilita’ con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale”.

L’idea che gli obblighi di correttezza e buona fede non operino solo nella fase c.d. fisiologica del contratto, ma debbano improntare i rapporti tra le parti anche nell’eventuale fase patologica del rapporto, in particolare nel corso dell’azione giudiziale conseguente all’inadempimento, in cui si coniugano con il principio del giusto processo e’ stata ribadita da ultimo da Cass. n. 9488 del 2014 (in tema di moltiplicazione dei procedimenti per la determinazione della indennita’ di esproprio), che ha posto in rilievo che l’inutile moltiplicazione delle azioni costituisca un abuso del processo – idoneo a gravare sia lo Stato che le parti dell’aumento degli oneri processuali, avuto riguardo all’allungamento dei tempi processuali derivanti dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti e all’eventuale lievitazione dei costi a carico della parte soccombente.

Sulla base di identico principio e’ stata recentemente dichiarata la nullita’ di un secondo precetto, notificato dopo lo spontaneo adempimento del primo (Cass. n. 6664 del 2013), affermando che in tema di crediti pecuniari, ottenuto con un primo precetto il pagamento spontaneo della somma intimata, accettata senza riserve, la notifica di un nuovo precetto per il pagamento di una ulteriore somma, calcolata sulla base del medesimo titolo giudiziale posto a fondamento del precedente, deve ritenersi espressione di una condotta concretante abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, la quale bene avrebbe potuto tutelare il suo interesse sostanziale con la notifica di un solo atto di precetto per tutte le voci di credito ritenute dovute.

E’ sanzionato con la nullita’ il compimento di un atto che da un lato non e’ giustificato dal consentire al creditore la piu’ rapida e piena soddisfazione delle sue ragioni, e per contro si traduce in una moltiplicazione delle spese, che andranno a ricadere sulla parte debitrice, ovvero in un inutile e distorto mezzo di arricchimento a spese del debitore scisso e quindi non giustificato dalla finalita’ della piu’ immediata soddisfazione delle ragioni creditorie.

Sulla base delle considerazioni che precedono, deve ritenersi illegittima anche l’esecuzione intrapresa allorche’ il creditore sia gia’ stato integralmente soddisfatto ed anche quando egli sia gia’ destinatario di una ordinanza di assegnazione integralmente satisfattiva e non deduca la mancata ottemperanza da parte del destinatario all’ordine di assegnazione.

Intraprendere immotivatamente una nuova esecuzione, pur essendo beneficiari di una ordinanza di assegnazione pienamente satisfattiva nel suo importo del credito vantato, ed in difetto anche della semplice allegazione di una difficolta’ ad incassare quanto portato nell’ordinanza stessa, costituisce abuso dei mezzi di espropriazione, che essendo destinati ad incidere direttamente nella sfera giuridica del debitore, vanno pur sempre utilizzati con cautela, e non devono divenire strumenti per moltiplicare senza giustificazione l’esposizione debitoria.

Con il terzo motivo di ricorso il (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riguardo all’articolo 1181 c.c., articoli 496 e 615 c.p.c., nonche’ articolo 2733 c.c.. Fa presente che il tribunale ha accolto l’opposizione sul presupposto che l’assicurazione avesse gia’ da lungo tempo estinto l’intero suo debito nei confronti del (OMISSIS) inviandogli nel 1995 – ben dieci anni prima dell’esecuzione – un assegno circolare per lire 15.840.000, senza considerare che il titolo esecutivo che egli poneva in esecuzione era costituito non dalla sentenza di primo grado, ma dalla sentenza di appello, emessa nel 1997, cioe’ due anni dopo l’avvenuto pagamento, che aveva in parte modificato l’importo dovuto, condannando l’assicurazione a versare al (OMISSIS) 500.000 lire in piu’. Sostiene pertanto che in ogni caso il credito non sarebbe stato integralmente estinto almeno per quella parte – le 500.000 lire – in relazione alla quale il titolo si era costituito successivamente.

Il motivo e’ del tutto inammissibile.

Trattasi di questione nuova, mai in precedenza dedotta dal (OMISSIS), come rilevato dalla controricorrente: dalla lettura della sentenza impugnata non si evince che fosse stata dedotta l’esistenza di una differenza a suo credito di 500.000 lire derivante dalla sentenza di condanna in appello a carico dell’assicurazione.

Inoltre, con esso il ricorrente vorrebbe indurre la corte a rifare i conteggi fatti dal giudice dell’opposizione all’esecuzione, attivita’ in ogni caso preclusa perche’ giudizio di fatto, senza neppure precisare, in violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, se le due sentenze portanti la condanna in favore del (OMISSIS) – la sentenza del 1993 del tribunale e quella del 1997 della corte d’appello di Roma siano state prodotte, quando e dove nel corso del giudizio di merito, se siano state nuovamente prodotte nel corso del giudizio di legittimita’ e se sia stato prodotto il precetto, dove dovrebbe risultare intimato il pagamento delle 500.000 lire in piu’ rispetto a quanto spontaneamente pagato dall’assicurazione.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese di lite sostenute dalla controricorrente e le liquida in complessivi euro 5.200,00, di cui 200,00 per spese, oltre accessori e contributo spese generali.

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