Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza n. 14807 del 4 settembre 2012

Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 6 aprile 1994 T.P. e C.R., in proprio e quali legali rappresentanti della figlia minore A., esponevano che il (omissis), verso le ore 20, il loro figlio T.A., di anni 17, mentre percorreva la Via (omissis), a bordo di un ciclomotore, era stato investito da una Fiat 128 guidata da G. S., che sopraggiungeva da tergo. A seguito dell’investimento, il ragazzo, “imbarcato” sul cofano dell’auto e rimasto incastrato nel parabrezza sfondato, aveva perduto la vita. Ciò premesso, convenivano in giudizio G.S., che era stata condannata per il reato di omicidio colposo, suo padre G.D., quale proprietario dell’auto, e la compagnia di Assicurazione Duomo, quale loro assicuratrice.

In esito al giudizio in cui si costituivano tutti i convenuti sostenendo che il sinistro era avvenuto per colpa esclusiva della vittima, il Tribunale di Milano, dichiarata la colpa concorrente di entrambi i conducenti, ritenuto che le conseguenze dell’incidente erano state aggravate dal danneggiato per non aver usato il casco protettivo, condannava i convenuti a risarcire un terzo dei danni subiti dagli attori. Avverso tale decisione proponevano appello principale T.P., C.R. e T.A., divenuta maggiorenne, ed in via incidentale i G. e la Duomo.

In esito al giudizio, la Corte di Appello di Milano con sentenza depositata in data 2 marzo 2006 riconosceva a favore di T.A. il diritto al risarcimento del danno morale condannando i G. e la Duomo al pagamento della somma di Euro 20.000,00 oltre interessi legali dalla sentenza; riduceva da Euro 185.106,76 ad Euro 60.253,30 il danno biologico spettante a T.P. e C.R.; riduceva da Euro 25.000,00 ad Euro 15.000,00 il danno patrimoniale spettante al T. ed alla C.; compensava le spese.

Avverso la detta sentenza i congiunti della vittima hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Resistono con controricorso i G. e la Duomo Assicurazioni, la quale ha altresì depositato memoria illustrativa a norma dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Al fine di inquadrare più agevolmente il complesso delle doglianze formulate dai ricorrenti, può tornare utile premettere che il primo ed il quarto motivo sono articolati sia per violazione di legge sia per vizio motivazionale; il secondo è articolato esclusivamente sotto il profilo della omessa, insufficiente, e contraddittoria motivazione riguardo al fatto relativo all’uso o meno del casco, al momento del sinistro, mentre infine solo il terzo motivo è articolato sotto il profilo della violazione di legge.
Ciò premesso, deve rilevarsi che tutti i profili, attinenti al vizio motivazionale,non risultano accompagnati dal prescritto momento di sintesi, (omologo del quesito di diritto), volto a circoscriverne i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008). Ne deriva l’inammissibilità di tali profili di doglianza in quanto anche in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la “ratio” dell’art. 366-bis cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti e momenti di sintesi per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati (cfr. S.U. 5624/09, Cass. 5471/08).
Passando all’esame della prima doglianza, limitata al profilo afferente la violazione e la falsa applicazione di legge (artt. 102- 107 C.d.S., art. 2054 c.c., comma 2), va osservato che i ricorrenti hanno lamentato l’erroneità della sentenza impugnata “nella ricostruzione della dinamica del sinistro, per aver immotivatamente trascurato la specifica rilevanza causativa del sinistro delle plurime condotte colpose della signora G.S., tali da dover far ritenere superata la presunzione di colpa di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, a carico del T. e comunque tale da determinare la graduazione della responsabilità in termini più favorevoli alla vittima del sinistro”. I ricorrenti hanno quindi concluso il profilo di doglianza con i seguenti quesiti di diritto:

a) La prova liberatoria di cui all’art. 2054 c.c., da parte del conducente del veicolo senza guida di rotaie nel caso di danni prodottigli dalla circolazione di altro veicolo deve essere data necessariamente in modo diretto, cioè dimostrando di aver tenuto un comportamento esente da colpa e perfettamente conforme alle regole del codice stradale, ma può risultare anche dall’accertamento che la condotta del danneggiante sia stato il fattore causale esclusivo dell’evento dannoso? b) In caso di collisione di veicoli da tergo (tamponamento) la presunzione di colpa paritetica prevista dall’art. 2054, rimane assorbita e superata dalla presunzione de facto di inosservanza di distanza di sicurezza del conducente del veicolo tamponante?” Anche tale profilo di doglianza deve essere dichiarato inammissibile.
E ciò, per un duplice ordine di considerazioni.

In primo luogo, perchè deve essere esclusa la ammissibilità del quesito “multiplo”, sul rilievo che ad una censura di diritto esposta nel motivo non può che corrispondere un quesito di diritto ed uno solo, solo in tal modo escludendosi ogni rischio di equivocità e solo con tale scelta restando sostenibile il rapporto di pertinenzialità esclusiva e diretta tra motivo e quesito (Cass. n. 1906/2008). In secondo luogo, perchè nessuno dei due quesiti soddisfa le prescrizioni richieste dall’art. 366 bis c.p.c..
Ed invero costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui l’ammissibilità del motivo di impugnazione è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta ed autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (Sez. Un. 28054/08) e deve escludersi che il quesito possa essere integrato dalla Corte attraverso un’interpretazione della motivazione (Cass. 14986/09).
Nel caso di specie, entrambi i quesiti formulati, ad onta del duplice contenuto, non presentano i requisiti indicati non contenendo nè la sintetica riassunzione degli elementi di fatto sottoposti all’attenzione del giudice di merito nè l’indicazione della questione di diritto controversa nè la formulazione del diverso principio di diritto, di cui il ricorrente, in relazione al caso concreto, chiede l’applicazione, in modo da circoscrivere l’oggetto della pronuncia nei limiti di un accoglimento o di rigetto del quesito stesso (Sez. Un. n. 23732/07, n. 20360 e n. 36/07).

Passando all’esame della terza doglianza, per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti lamentano che la Corte di merito avrebbe errato quando ha respinto il motivo di gravame, con cui essi avevano censurato la sentenza di primo grado per aver pronunciato oltre i limiti delle domande formulate dai convenuti, osservando – questa, la considerazione della Corte – che si trattava di un accertamento che il giudice deve fare d’ufficio.
La censura è infondata. Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’art. 1227 c.c., distingue l’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso, regolata dal comma 1, da quella, di cui al comma 2 dello stesso articolo, in cui il danneggiato abbia prodotto un aggravamento del danno, senza contribuire a causarlo, ovvero non abbia contribuito a ridurne l’entità, dopo che il fatto produttivo di esso si era già verificato. Ed è appena il caso di sottolineare che la distinzione non è assolutamente di poco conto perchè nella prima ipotesi prevista dal comma 1, il giudice deve proporsi d’ufficio l’indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, in quanto deve porre il danno a carico di ciascuno dei conducenti solo nei limiti in cui ne sia effettivamente responsabile (ex multis Cass. n. 12267/92, 11654/98, 13460/99, 4799/01, 8575/02, 27123/06, 28060/08).
Resta da esaminare l’ultima doglianza, la quale, stante la dichiarata inammissibilità del profilo di censura afferente al vizio motivazionale, non accompagnato dal momento di sintesi, deve essere limitata al solo profilo della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., con cui i ricorrenti hanno lamentato l’erroneità della sentenza “per avere la Corte di Appello, in difetto di carenza di accertamento del nesso di causalità fra mancato indossamento del casco e la morte di T.A. confermato la sentenza di 1^ grado che aveva ridotto della metà l’entità del risarcimento dovuto agli eredi aventi diritto”.
Anche quest’ultima doglianza è inammissibile, attenendo essenzialmente alla ricostruzione dell’incidente e non concernendo violazioni o false applicazioni del dettato normativo bensì la mera valutazione della realtà fattuale, come è stata operata dalla Corte di merito. Infatti, non può essere ammessa in sede di legittimità la censura con cui, nel sollecitare l’esame delle risultanze probatorie, pur deducendo formalmente un vizio di legittimità, parte ricorrente mira, nella sostanza delle cose, ad un riesame del fatto, che è precluso nel giudizio di legittimità, in quanto la valutazione degli elementi di prova e l’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice di merito.
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di questo giudizio, in considerazione del fatto che l’orientamento giurisprudenziale, in materia di quesiti ex art. 366 bis c.p.c., si è consolidato dopo la proposizione dei ricorsi per cassazione in questione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese di questo giudizio.

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