Suprema Corte di Cassazione

Sezione III

sentenza n. 15211 del 20 aprile 2012

 

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 14.7.2011 il Tribunale della Libertà presso il Tribunale per i Minorenni delle Marche revocava l’ordinanza emessa dal GIP in data 1.7.2011 di custodia cautelare in carcere nei confronti di D.T. , N.B. e C.G., indagati per il reato di cui all’art. 609 octies c.p. e 110, 582 c.p., 61 n.2 c.p. in danno di E.M. di anni 15, dei quali ordinava l’immediata liberazione.
Rilevava la Corte che il quadro indiziario, delineato dal GIP, si fondava essenzialmente sulle dichiarazioni della parte offesa, sentita, alla presenza dei genitori, una prima volta all’alba del (omissis), ore 5,39, poche ore dopo i fatti, ed una seconda volta in data (omissis). Ulteriori elementi indiziari, a riscontro di dette dichiarazioni, erano stati individuati nel sequestro dello slip (strappato) indossato dalla vittima, nei referti medici attestanti la presenza di escoriazioni su entrambe le ginocchia e di un graffio lungo la schiena, nonché di un arrossamento e piccola lesione da soluzione di continuo in zona para uretrale, nelle dichiarazioni di M.S., amica della M., ed infine nelle dichiarazioni di Da.Br., guardiano notturno presso la (omissis) dove erano avvenuti i fatti. Tanto premesso, rilevava il Tribunale che il quadro indiziario era caratterizzato da preoccupante equivocità.

Innanzitutto le due dichiarazioni della persona offesa risultavano grandemente difformi tra di loro in ordine alla descrizione degli atti sessuali subiti ed alle modalità degli stessi. Escludeva il Tribunale che la maggiore scabrosità di certi atti potesse essere stata taciuta per una iniziale ritrosia derivante dalla presenza dei genitori, dal momento che costoro erano presenti anche in occasione della seconda denuncia-querela. La versione fornita in questa seconda querela era più aderente a quella data dagli indagati, che avevano, però, indicato la ragazza come consenziente. Le dichiarazioni degli indagati erano peraltro, quanto alla fase sviluppatasi dietro il capanno, riscontrate dalle dichiarazioni rese nell’immediatezza da L.N. , Fe.Bo. e Al.Mo., dalle quali emergeva in particolare che i tre si erano avvicendati nel rapporto con la M. mantenendosi a tratti distanti. Esaminava, poi, il Tribunale le dichiarazioni del guardiano notturno Br.Da. , il quale aveva affermato di aver visto la ragazza barcollare e poi crollare a terra, di averla soccorsa e di avere appreso da lei di essere stata violentata da tre ragazzi. Tali dichiarazioni erano, però, in parte contraddette dalle dichiarazioni di S. e D.A.. Solo la circostanza che E. fosse barcollante e stravolta ed avesse avuto un malore poteva ritenersi acclarata, ma essa non dimostrava, in modo inequivoco, l’avvenuta coartazione della volontà, potendo essere compatibile con una serie di spiegazioni alternative.
Anche le lievi lesioni riscontrate non erano incompatibili, tenuto conto della caratteristica dei luoghi e degli abiti leggeri indossati, con rapporti consenzienti. Come pure gli slip strappati non necessariamente erano dimostrativi di rapporti posti in essere attraverso la coartazione della vittima.
2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale la versione dei fatti fornita dalla p.o., sia nell’immediatezza che dopo due giorni, risulta precisa, dettagliata, coerente, logica; né la ragazza aveva alcun motivo per calunniare gli indagati, da lei conosciuti occasionalmente quel giorno.
Le dichiarazioni della p.o. intrinsecamente credibili, risultano poi confortate da numerosi riscontri, indicati dallo stesso Tribunale.
In particolare le dichiarazioni dei testi confermano che E. non voleva andare da sola con i tre ragazzi, nonostante le loro insistenze, e che non voleva distanziarsi dal gruppo e che, al ritorno, era stravolta e traumatizzata, quasi svenuta.
Le dichiarazioni degli indagati, a parte la versione sulla consumazione del rapporto sessuale e sulla sua consensualità, divergono sensibilmente. Il Tribunale, aderendo alla ricostruzione dei fatti esposta dagli indagati, omette una congrua e logica valutazione dei dati probatori addotti dal GIP nonché degli ulteriori elementi accusatori desumibili dagli atti.

La motivazione in ordine alle lesioni ed alle mutandine strappate è assolutamente illogica. Quanto al malore, il Tribunale, dopo aver dato atto che esso risulta acclarato, esclude il collegamento con la denunciata violenza ipotizzando genericamente una serie di spiegazioni alternative, senza neppure indicarle.
Lo stato di prostrazione della ragazza, descritto pacificamente dai testi, e quanto da lei riferito agli amici sono, palesemente, incompatibili con un rapporto consensuale.
Sotto il profilo logico, poi, la presunta disponibilità della ragazza a plurimi atti sessuali mal si concilia con l’accertata assenza di orgasmo dei soggetti coinvolti.
3. Con memoria, depositata in data 21.2.2012, i difensori di T.D. chiedono dichiararsi inammissibile il ricorso del P.M., in quanto, attraverso la denuncia di un apparente vizio di motivazione, si sollecita una diversa ricostruzione degli eventi mediante una lettura del materiale indiziario più favorevole all’accusa.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato
2. Quanto ai rilievi contenuti nella memoria difensiva sopra richiamata, non c’è dubbio, che, secondo giurisprudenza consolidata, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Cass. sez. 6 n.2146 del 25.5.1995).
La sussistenza o la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 stesso codice è, quindi, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanzae concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure, che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr. ex multis Cass. sez. 1 n.1769 del 23.3.1995). Sicché, ove venga denunciato il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è demandato al giudice di merito “la valutazione del peso probatorio” degli stessi, mentre alla Corte di cassazione spetta solo il compito “…di verificare…. se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare (o non affermare) la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Cass. sez. 4 n. 22500 del 3.5.2007).

3. Tanto premesso, il ricorso del P.M. evidenzia una serie di illogicità e contraddittorietà della motivazione che non possono essere certo confuse con la prospettazione di una diversa lettura del materiale probatorio. Ed i denunciati vizi risultano palesemente sussistenti.
Innanzitutto il Tribunale, nel dubitare dell’attendibilità della persona offesa pone l’accento sulla “macroscopica difformità esistente tra le due querele sporte” ed esclude che siffatta difformità possa essere attribuita ad un iniziale atteggiamento di ritrosia. La debolezza logica di tale assunto emerge, però, in tutta evidenza, sol che si consideri che, a prescindere dalla presenza dei genitori sia al momento della prima che della seconda querela, è assolutamente “normale” che una ragazzina abbia inizialmente difficoltà a riferire certi particolari scabrosi dell’abuso sessuale subito; senza considerare che il Tribunale non prende minimamente in considerazione lo stato di prostrazione, in cui la ragazza si trovava e di cui si da atto nella stessa ordinanza, dal momento che le prime dichiarazioni venivano rese alle ore 5,39 del 26.6.2011, vale a dire poche ore dopo i fatti. Peraltro lo stesso Tribunale, contraddittoriamente, riconosce che le dichiarazioni rese nel corso della seconda querela sono “quanto alla tipicità degli atti sessuali omologhe a quelle riferite dagli indagati” e che la divergenza riguardava quindi la diversa connotazione degli stessi (”la parte lesa in termini di abuso subito e gli indagati in termini di rapporti consenzienti, anzi voluti dalla M. “).
Le richiamate divergenze (peraltro contestate dal ricorrente P.M.) tra le due dichiarazioni non potevano, quindi, costituire, ed per sé, motivo di perplessità sull’attendibilità della versione fornita dalla parte offesa.

Una volta accertato che vi erano stati rapporti sessuali tra gli indagati e la M. , il vero problema era rappresentato dal verificare se la non consensualità di detti rapporti, come affermato dalla parte offesa, trovasse conforto nella stessa dinamica dei fatti e in elementi esterni quali emergevano dalle indagini. Sotto il primo aspetto il Tribunale ha omesso ogni approfondimento in ordine al momento in cui la ragazza si allontanò dal gruppo seguendo i tre giovani e se tale “distacco” fu frutto di una libera scelta, ovvero ottenuto con l’inganno o la coartazione; né ha spiegato le ragioni, per cui, la minore consenziente, secondo la prospettazione degli indagati, ad avere rapporti sessuali con loro, abbia poi deciso di accusarli ingiustamente di uno stupro di gruppo.
Sotto il secondo aspetto, il Tribunale, pur prendendo atto dell’esistenza di numerosi riscontri alla versione dei fatti fornita dalla parte offesa, e valorizzati dal GIP nel provvedimento impositivo della misura, li ha liquidati in modo sbrigativo con motivazione illogica e contraddittoria.
Lo stesso Tribunale riconosce che “a controbilanciare le perplessità che pur derivano in ordine all’effettiva violenza perpetrata dai tre giovani, parrebbe soccorrere il verbale delle dichiarazioni rese dal guardiano notturno Br.Da., in data (…)”, il quale aveva riferito di aver “Visto arrivare una ragazza che camminava barcollando… l’ho vista crollare a terra e così mi sono subito avvicinato a lei ed ho notato che aveva perso i sensi, respirava male, aveva la bava alla bocca ed era tutta tremolante..” e che la medesima, richiesta di spiegare cosa era successo, con difficoltà aveva risposto di essere stata violentata da tre ragazzi. Si trattava, quindi, di un testimonianza precisa e circostanziata, proveniente per di più di un soggetto “estraneo” al gruppo di ragazzi e che quindi non poteva essere accusato di rendere dichiarazioni compiacenti rispetto all’una piuttosto che all’altra tesi contrapposta. I Giudici del riesame, pero, rinvengono motivi di “seria perplessità” nel fatto che dalle altre testimonianze dei ragazzi presenti emergevano difformità “in riferimento al momento di mancamento della giovane.” o al fatto che “nessuna traccia del guardiano, né del lettino, né della coperta si rinviene nelle dichiarazioni dei due amici della giovane..”.
Il vizio logico del ragionamento, che induce il Tribunale a dubitare delle dichiarazioni del guardiano notturno (senza neppure, peraltro, indicare i motivi per cui il predetto avrebbe dovuto riferire circostanze non vere), si manifesta palesemente nel momento in cui deve riconoscere che, attraverso tutte le testimonianze dei presenti, risultava pacificamente la gravità dello stato in cui si trovava la ragazza (”Va detto comunque, che la circostanza che E. fosse barcollante e travolta ed abbia avuto un malore può ritenersi acclarata”). Ciononostante, pur risultando evidente che tale stato era compatibile con lo svolgimento dei tatti come descritti dalla ragazza, i Giudici del riesame, in modo assolutamente sorprendente prima che illogico, concludono che esso era “compatibile, invero, anche con una serie plurima di spiegazioni alternative”. Tali “spiegazioni alternative” non vengono, però, neppure esplicitate. Anche in ordine agli ulteriori riscontri rappresentati dagli slip strappati e dalle lesioni risultanti dal referto medico la motivazione è apodittica ed illogica. Il Tribunale ha, invero, ritenuto che anche siffatti elementi non si sottraessero “alla medesima valutazione di equivoca compatibilità con la coartazione subita dalla ragazza” ed ha, per avvalorare la sua tesi, ipotizzato che potessero essere spiegati “con la foga di un rapporto non necessariamente violento”.

Senza indicare in quali acquisizioni probatorie trovasse conforto una simile ipotesi, si limita, a sostegno di essa, a far riferimento alla insistenza con cui la giovane E. pretese la restituzione degli slip ed alla facilità con cui li ottenne. Non tenendo conto peraltro, come evidenzia anche il P.M. ricorrente, che se la minore fosse stata consenziente, non vi era alcun motivo per insistere per la restituzione degli slip. La medesima illogicità traspare dalla motivazione con cui si cerca di spiegare le lesioni riscontrate con l’esuberanza di un rapporto tra giovani, consumato in luoghi ruvidi e con abiti leggeri.
4. Va infine rilevato, quanto al ruolo avuto dagli indagati nella vicenda (secondo il Tribunale i tre si sarebbero avvicendati nel rapporto con la M., mantenendosi a tratti distanti..), che, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, il delitto di cui all’art. 609 octies cod. pen. costituisce una fattispecie autonoma di reato necessariamente plurisoggettivo proprio, consistente nella “partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis”, in cui la pluralità di agenti è richiesta come elemento costitutivo. La previsione di un trattamento sanzionatorie più grave si connette al riconoscimento di un peculiare disvalore alla partecipazione simultanea di più persone, in quanto una tale condotta partecipativa imprime al fatto un grado di lesività più intenso sia rispetto alla maggiore capacità di intimidazione del soggetto passivo ed alpericolo della reiterazione di atti sessuali violenti (anche attraverso lo sviluppo e l’incremento di capacità criminali singole) sia rispetto ad una più odiosa violazione della libertà sessuale della vittima nella sua ineliminabile essenza di autodeterminazione. La contemporanea presenza di più di un aggressore è idonea a produrre, infatti, effetti fisici e psicologici particolari nella parte lesa, eliminandone o riducendone la forza di reazione. L’azione collettiva presuppone la necessaria presenza di più di una persona al momento e sul luogo del delitto, ma l’esecuzione di questo non richiede necessariamente che ciascun compartecipe realizzi l’intera fattispecie nel concorso contestuale dell’altro o degli altri correi, ben potendo il singolo realizzare soltanto una frazione del fatto tipico di riferimento ed essendo sufficiente che la violenza o la minaccia provenga anche da uno solo degli agenti. Il concetto di “partecipazione”, inoltre, a giudizio di questa Corte, non può essere limitato nel senso di richiedere il compimento, da parte del singolo, di un’attività tipica di violenza sessuale (ciascun compartecipe, cioè, dovrebbe porre in essere, in tutto o in parte, la condotta descritta nell’art. 609 bis cod. pen.), dovendo invece – secondo un’interpretazione più aderente alle finalità perseguite dal legislatore – ritenersi estesa la punibilità (qualora sia comunque realizzato un fatto di violenza sessuale) a qualsiasi condotta partecipativa, tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero “spettatore”, sia pure compiacente, sul luogo ed al momento del reato, che apporti un reale contributo materiale o morale all’azione collettiva. Per la configurabilità della violenza sessuale di gruppo, è necessaria, quindi, la simultanea, effettiva presenza dei correi nel luogo e nel momento della consumazione del reato, in un rapporto causale inequivocabile” (Cass., sez. 1 a 15619 del 14.3.2010).

Sicché il concorso di persone nel reato di cui all’art. 609 bis cod. pen. è divenuto configurabile solo nelle forme dell’istigazione, del consiglio, dell’aiuto o dell’agevolazione da parte di chi non partecipi materialmente all’esecuzione del reato stesso” (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 42111 del 12.10.2007).
5. L’ordinanza impugnata, va, pertanto, annullata con rinvio al Tribunale della Libertà presso il Tribunale per i Minorenni della Marche per nuovo esame. I Giudici del rinvio accerteranno, tenendo conto dei principi e dei rilievi sopra enunciati e con motivazione adeguata, se ricorrano gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati ipotizzati ed eventualmente esamineranno i rilievi difensivi quanto alle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. (ritenuti assorbiti dal Tribunale).

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale della libertà presso i Tribunale per i Minorenni delle Marche.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *