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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza n. 22601 del 3 ottobre 2013

Svolgimento del processo

Con sentenza del 20/11/2006 la Corte d’Appello di Bologna, in riforma della pronunzia Trib. Bologna 7/6/2002, ha accolto (per quanto ancora d’interesse in questa sede) la domanda di pagamento a titolo di risarcimento del danno morale e del danno biologico, subiti all’esito di sinistro stradale avvenuto in località Interporto il 17/12/1985, originariamente proposta nei confronti della società Uniass Assicurazioni s.p.a. e del sig. M.L. dalla sig. O.P. , che nel corso del giudizio di primo grado aveva poi ceduto la relativa ragione di credito al sig. T.M. .
Domanda rigettata dal giudice di prime cure con sentenza dal T. gravata quindi di impugnazione.
Avverso lasuindicata pronunzia della corte di merito la O. , che nel giudizio di secondo grado aveva – in qualità di appellata- chiesto il rigetto della domanda del T. e la conferma della declaratoria di nullità della detta cessione dal tribunale fondata sulla ravvisata indeterminatezza o indeterminabilità del relativo oggetto, propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico complesso motivo.

Resiste con controricorso il T. .

Motivi della decisione

Con unico complesso motivo la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1260 c.c., in riferimento all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c..
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente, e “con un iter logico alquanto discutibile”, ritenuto cedibile il credito de quo, laddove esso, in quanto di natura strettamente personale, tale non è.
Prospetta, in via gradata, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1260 c.c., in riferimento agli artt. 2, 3, 4 e 32 Cost., “nella parte in cui non prevede il divieto di cessione del credito a titolo di danno biologico e morale della vittima di un incidente stradale”.
Sotto quest’ultimo profilo il motivo è inammissibile, non risultando al riguardo formulato il prescritto quesito di diritto, in violazione del principio più volte da questa Corte – anche a Sezioni Unite – affermato in base al quale la prospettazione di una questione di costituzionalità, essendo funzionale alla cassazione della sentenza impugnata e postulando la prospettazione di un motivo che giustificherebbe tale effetto una volta accolta la questione medesima, suppone necessariamente che a conclusione dell’esposizione del motivo così finalizzato sia indicato il corrispondente quesito di diritto, previsto dall’abrogato art. 366-bis c.p.c. come nella specie ratione temporis applicabile, indipendentemente dalla rilevabilità d’ufficio della questione di costituzionalità (v. Cass., Sez. Un., 24/1/2013, n. 1707; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28050).
Quanto al merito, la doglianza è infondata.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che il credito da risarcimento del danno da sinistro stradale è suscettibile di cessione, in ossequio al principio della libera cedibilità del credito posto agli artt. 1260 ss. c.c..
Tale principio è stato affermato in particolare con riferimento alla cessione del diritto di credito al risarcimento del danno patrimoniale, ponendosi in rilievo che esso è di natura non strettamente personale e che non sussiste specifico divieto normativo al riguardo (v. Cass., 13/5/2009, n. 11095; Cass., 5/11/2004, n. 21192. E già Cass., 21/4/1986, n. 2812), né d’altro canto rimanendo in tal caso integrata ipotesi di cessione di crediti litigiosi vietata ex art. 1261 c.c. (v. Cass., 10/1/2012, n. 51; Cass., 10/1/2012, n. 52).
Il cessionario è stato pertanto ritenuto legittimato ad agire, in vece del cedente, per l’accertamento giudiziale della responsabilità dell’autore del sinistro e per la conseguente condanna del medesimo e del suo assicuratore per la r.c.a. al risarcimento dei danni (v. Cass., 13/5/2009, n. 11095; Cass., 10/1/2012, n. 51; Cass., 10/1/2012, n. 52. V. altresì, conformemente, Cass., 13/3/2012, n. 3965).
Si è al riguardo osservato che ai fini del perfezionamento della cessione del credito è normalmente (laddove il credito non sia cioè di natura strettamente personale e non sussista uno specifica divieto normativo al riguardo) necessario e sufficiente l’accordo tra il cedente e il cessionario (v. Cass., 13/11/1973, n. 3004), che determina la successione di quest’ultimo al primo nel medesimo rapporto obbligatorio, con effetti traslativi immediati non solo tra di essi ma anche nei confronti del debitore ceduto, nei cui confronti la cessione diviene efficace all’esito della relativa notificazione o accettazione (art. 1264 c.c.) (v. Cass., 20/10/2004, n. 20548).
Si è al riguardo in particolare precisato che, come osservato anche in dottrina, l’accettazione della cessione ha natura non già costitutiva bensì ricognitiva, a tale stregua non comportando (diversamente dalla delegazione) un’assunzione del debito nei confronti del cessionario, né rimanendo al debitore ceduto precluso far valere l’eccezione di invalidità e di estinzione del rapporto obbligatorio.
L’accettazione vale per altro verso a rimarcare il limite della tutela del debitore di buona fede (v. Cass., 20/10/2004, n. 20548), facendo venire meno la presunzione di persistenza della titolarità del creditore originario (in dottrina indicata come c.d. legittimazione storica del cedente) ed escludendo pertanto l’efficacia liberatoria del pagamento fatto al medesimo (v. Cass., 10/1/2012, n. 51; Cass., 10/1/2012, n. 52).

Il debitore non è di norma tenuto a dare informazioni a terzi in ordine a precedenti accettazioni o notifiche di cessioni, ma in caso di pignoramento o di sequestro del credito è tuttavia obbligato ad indicare l’esistenza di pignoramenti, nonché a specificare i sequestri precedentemente eseguiti presso di lui e le cessioni che gli sono state notificate o che ha accettato (art. 547, 2 co., c.p.c.), incorrendo in responsabilità nei confronti del creditore procedente ove dia false risposte negative, mentre se tace o se sorgono contestazioni circa le sue dichiarazioni può farsi luogo a giudizio di accertamento (v. Cass., 10/1/2012, n. 51; Cass., 10/1/2012, n. 52).
La cessione del credito, si è sottolineato, è un negozio non già astratto (contra v. peraltro Cass., 6/6/2006, n. 13253; Cass., 26/4/1968, n. 1289), carattere invero proprio della cessione dei titoli di credito, bensì causale, pur se a causa variabile (v. già Cass., 13/11/1973, n. 3004, cit.; Cass., Sez. Un., 16/5/1963, n. 1244), a tale stregua al fine della relativa identificazione assumendo rilievo gli interessi dalle parti con la relativa stipulazione in concreto perseguiti nello specifico caso (causa concreta) (v. Cass., 10/1/2012, n. 51; Cass., 10/1/2012, n. 52).
Come sottolineato anche in dottrina, giusta principio generale valevole per i contratti non formali la cessione del credito deve ritenersi altresì a causa presunta, fino a prova della relativa inesistenza o illiceità, potendo avere ad oggetto anche una ragione di credito o un diritto futuro, purché determinato o determinabile, nel qual caso l’effetto traslativo si produce al momento della relativa venuta ad esistenza in capo al cedente (v. Cass., 10/1/2012, n. 51; Cass., 10/1/2012, n. 52).
Ove ricorra ipotesi di cessione onerosa, il cedente è infatti tenuto a garantire (solamente) il nomen verum, e cioè l’esistenza del credito al tempo della cessione (art. 1266 c.c.) (v. Cass., 10/1/2012, n. 51; Cass., 10/1/2012, n. 52).
Il relativo mancato riconoscimento per inesistenza o nullità non ridonda invero, si è sottolineato, sul piano della validità della cessione (così come la inesistenza della cosa di per sé non comporta normalmente la nullità del contratto), ma comporta il mancato conseguimento da parte del cessionario della titolarità del credito, rilevando pertanto in termini di inadempimento, e venendo se del caso a tradursi nel risarcimento del danno a carico del cedente (v. Cass., 5/11/2004, n. 21192).
Nel porsi in rilievo che il credito derivante da fatto illecito ha i caratteri del credito attuale, tant’è che gli interessi decorrono dal momento del fatto e non già del relativo accertamento giudiziale, si è ulteriormente osservato che certezza, liquidità ed esigibilità del credito sono attributi che non operano nella disciplina della cessione, ma sono previsti in relazione ad istituti diversi, come quello della compensazione (art. 1243 c.c.) (v. Cass., 5/11/2004, n. 21192).
Si è altresì sottolineato che la cessione del credito avviene in favore del cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie personali e reali, anche con gli altri accessori (art. 1263, 1 co., c.c.), tra i quali vanno senz’altro ricompresi, come anche in dottrina posto rilievo, i poteri connessi al contenuto e all’esercizio del credito, e in particolare i rimedi convenzionali contro l’inadempimento (es., clausola penale). Non anche, tuttavia, i rimedi posti a tutela della parte contrattuale, sia giudiziali (es., l’azione di risoluzione o di annullamento o di rescissione del contratto: cfr. Cass., 28/4/1967, n. 776), che convenzionali (es., clausola risolutiva espressa), attenendo essi alla sorte del contratto, e non del mero credito.
A parte l’ipotesi ex art. 111 c.p.c., a tale stregua il cessionario può esercitare tutte le azioni previste dalla legge a tutela del credito, volte cioè ad ottenerne la realizzazione (v. Cass., 18/7/2006, n. 16383; Cass., 9/12/1971, n. 3554), invero spettantegli già in base al principio generale della tutela giurisdizionale dei diritti (v. Cass., 10/1/2012, n. 51; Cass., 10/1/2012, n. 52).

Il cessionario può fare dunque valere l’acquisito diritto di credito al risarcimento nei confronti del debitore ceduto (nel caso che ne occupa il responsabile civile del danno e il suo assicuratore per la r.c.a.) non già in base all’art. 144 d.lgs. n. 209 del 2005 (e già all’art. 18 L. n. 990 del 1969), in relazione al quale non può invero propriamente parlarsi di cessione, bensì in ragione del titolo costituito dal contratto di cessione del credito, quale effetto naturale del medesimo (art. 1374 c.c.) (v. Cass., 10/1/2012, n. 51; Cass., 10/1/2012, n. 52).
Orbene, la suesposta disciplina deve ritenersi trovare senz’altro applicazione anche in caso di cessione come nella specie di credito al risarcimento di danno non patrimoniale.
Vale al riguardo osservare come da questa Corte ormai da tempo non si dubiti della trasmissibilità iure hereditatis del danno morale terminale (v. Cass., 22/2/2012, n. 2564; Cass., 20/9/2011, n. 19133; Cass., 17/12/2009, n. 26605; Cass., 6/8/2007, n. 17177; Cass., 19/2/2007, n. 3720; Cass., 31/5/2005, n. 11601) o anche c.d. catastrofale o catastrofico (conseguente alla sofferenza dalla stessa patita – a causa delle lesioni riportate – nell’assistere, nel lasso di tempo compreso tra l’evento che le ha provocate e la morte, alla perdita della propria vita: cfr. Cass., 21/3/2013, n. 7126; Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972), nonché del danno biologico terminale (v. Cass., 21/3/2013, n. 7126; Cass., 30/10/2009, n. 23053; Cass., 17/1/2008, n. 870; Cass., 28/8/2007, n. 18163; Cass., 22/3/2007, n. 6946; Cass., 28/4/2006, n. 9959; Cass., 23/5/2003, n. 8204. E già Cass., Sez. Un., 2/7/1955, n. 2034), una volta acquisiti dalla vittima nel proprio patrimonio.
Orbene, la trasmissibilità iure hereditatis di tali diritti indubbiamente depone nel senso di doversi corrispondentemente ammettere la relativa alienabilità anche mediante atti inter vivos.
In termini più generali deve sottolinearsi come, a fronte della riconosciuta possibilità di circolazione mortis causa, del diritto (o della ragione) di credito da risarcimento del danno non patrimoniale non possa in realtà logicamente negarsi l’ammissibilità della relativa circolazione altresì inter vivos. E a fortiori allorquando il danno morale e il danno biologico siano come nella specie non terminali.
Del diritto (o della ragione) di credito al risarcimento del danno non patrimoniale deve dunque ammettersi l’alienabilità, e in particolare la cedibilità da parte del titolare, anche anteriormente e a prescindere dalla sua successione.
Al riguardo, si noti, si tratta semmai di verificare quale dei vari aspetti di cui si compendia la unitaria ma composita categoria del danno non patrimoniale sia entrato nel patrimonio del cedente al momento della cessione, giacché diverso può essere il momento di relativa insorgenza [come ad esempio allorquando la sofferenza morale interiore conseguente a fatto evento lesivo solamente in un secondo momento degeneri in lesione psicofisica accertabile in sede medico legale (danno biologico) ovvero in uno sconvolgimento dell’esistenza comportante radicali scelta di vita diverse (c.d. danno esistenziale, che come da questa Corte – anche a Sezioni Unite – precisato, non integra un’autonoma categoria di danno ma costituisce sintagma ampiamente invalso nella prassi giudiziaria per indicare il suindicato aspetto o voce dell’unitaria ma composita categoria del danno non patrimoniale: cfr. Cass., 20/11/2012, n. 20292; Cass., 9/3/2012, n. 3718; Cass., 16/2/2012, n. 2228; Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., 10/2/2010, n. 3023; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., 12/6/2006, n. 13546; Cass., Sez. Un., 24/3/2006, n. 6572)].
Diversamente da quanto pure da questa Corte in passato in alcune occasioni affermato (cfr. Cass., 7/2/2007, n. 2719; Cass., 11/1/2006, n. 392; Cass., 20/1271988, n. 6938), deve d’altro canto negarsi che il diritto di credito al risarcimento del danno non patrimoniale sia strettamente personale e ricada conseguentemente nel divieto posto all’art. 1260 c.c..
Strettamente personali sono infatti i diritti volti al soddisfacimento di un interesse immediato della persona, di un interesse fisico o morale del creditore, in relazione ai quali l’incedibilità può essere eccezionalmente prevista anche al fine di tutelare l’interesse del debitore a non essere tenuto a soddisfare pretese di un soggetto diverso da quello accettato come creditore.

Esempio tipico di diritto strettamente personale è costituito dal credito alimentare, che oltre ad essere per espressa previsione normativa (art. 447 c.c.) incedibile (incedibilità eccezionalmente prevista anche a tutela dell’interesse dello stesso creditore, salvo che trattisi di prestazioni arretrate), insuscettibile di compensazione da parte dell’obbligato nonché di rinunzie e transazioni (v. Cass., 5/8/1987, n. 6727), è impignorabile (art. 545 c.p.c. e 46 L.F.), insuscettibile di esercizio in via surrogatoria (art. 2900 c.c), intrasmissibile mortis causa (ex art. 448 c.c.), e cessa con la morte dell’obbligato.
Orbene, atteso che come da tempo chiarito anche in dottrina la natura (patrimoniale o non patrimoniale) del diritto va tenuta distinta dalla natura (patrimoniale o non patrimoniale) del danno; e considerato che da epoca ormai risalente questa Corte ha posto in rilievo come l’obbligazione risarcitoria sia autonoma rispetto al titolo da cui essa scaturisce (v. Cass., 21/4/1986, n. 2812), sicché altro è la natura strettamente personale dell’interesse leso (salute) e altro è il diritto (o anche la mera ragione) di credito al relativo ristoro (nella giurisprudenza di legittimità si è altresì riconosciuto che la transazione in ordine al risarcimento dei danni subiti in conseguenza di lesioni personali, con la relativa quantificazione dell’ammontare, determina la trasformazione del diritto personale alla integrità fisica in un diritto patrimoniale sulla somma: v. Cass., 4/2/1992, n. 1210. Cfr. altresì Cass., 7/5/1963, n. 1123), le suindicate esigenze sottese alla disciplina del credito alimentare invero non sussistono in ordine al diritto (o alla ragione) di credito al risarcimento del danno non patrimoniale, non ponendosi relativamente ad esso la questione della tutela dell’interesse del debitore a non dover soddisfare la pretesa di soggetto diverso da quello accettato come creditore.
Ne consegue che ben può allora il diritto (o la ragione) di credito al risarcimento del danno non patrimoniale costituire oggetto di cessione, a titolo oneroso o gratuito, ai sensi e nei limiti dell’art. 1260 c.c..
Il riconoscimento della cedibilità e trasmissibilità del credito da risarcimento del danno non patrimoniale trova d’altro canto significativo riscontro, si è posto in rilievo in dottrina, nella generale evoluzione dell’orientamento interpretativo registratasi sia nei sistemi di common law, ivi compreso quelli di diritto americano, che nei sistemi di diritto continentale, nello stesso ordinamento tedesco riconoscendosi agli eredi la pretesa al risarcimento del danno non patrimoniale (Schmerzengeld) acquistata in vita dal de cuius.
Orbene, dei suindicati principi la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione.
In particolare là dove, premesso che giusta il tenore dell’atto di cessione di cui trattasi la “fonte obbligatoria” e l’”oggetto del credito” risultano “precisamente indicati” e che il credito è nel caso senz’altro determinabile nell’ammontare [essendo d’altro canto cedibili anche “i crediti giudizialmente contestati (salvo… i divieti di cessione in relazione a determinate categorie di cessionari), i crediti futuri, i crediti in corso di liquidazione”]; e sottolineato, per altro verso, che “contrariamente a quanto sostenuto dall’appellata O. non è stato posto in essere in violazione del divieto, per i patrocinatori legali, di rendersi cessionari di crediti litigiosi”, tale giudice ha posto in rilievo come l’ordinamento sia “improntato al principio – che risponde alla generale esigenza di circolazione dei beni – della libera cedibilità dei crediti, posto che, per il debitore ceduto, è normalmente indifferente eseguire la prestazione ad un nuovo avente diritto anziché al creditore originario”.
Ancora, ove ha ritenuto eccezionale, e pertanto insuscettibile di applicazione analogica o estensiva, la norma contemplante i divieti – rispondenti ad esigenze di pubblico interesse – di cui all’art. 1261 c.c..
Nella parte in cui ha ulteriormente negato che “l’atto sarebbe nullo perché riguardante un credito strettamente personale”, giacché “crediti strettamente personali, ai sensi dell’art. 1260 c.c., sono quelli volti al diretto soddisfacimento di un interesse fisico o morale della persona e la loro incedibilità, come condivisibilmente osservato dalla migliore dottrina, è sancita in linea generale a favore del debitore, in considerazione della rilevanza che assume la persona del creditore ai fini del contenuto della prestazione (si pensi ai crediti aventi ad oggetto prestazioni di facere, in relazione alle particolari capacità dell’obbligato)”.

Là dove ha infine rimarcato, da un canto, come la “rilevanza della persona del creditore” possa “riconnettersi alla immediatezza della relazione con la persona dell’obbligato, immediatezza che giustifica di per sé l’esigenza che il creditore non sia obbligato a soddisfare gli interessi di un soggetto diverso da quello accettato come creditore (ad es. crediti alimentari)”; e, per altro verso, che il “credito al risarcimento del danno morale e biologico, pur tendendo alla reintegrazione, per equivalente, di beni strettamente personali, è invece pur sempre un credito ad una somma di denaro in relazione al quale la persona alla quale effettuare il pagamento è indifferente per il debitore, e del quale il creditore può liberamente disporre”.
All’inammissibilità e infondatezza del motivo, sotto i due profili distintamente considerati, consegue il rigetto del ricorso.
Le ragioni della decisione costituiscono peraltro giusti motivi per disporsi la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

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