Corte di Cassazione, sezione IV penale, sentenza 14 marzo 2017, n. 12192

Ai fini dell’accertamento della responsabilità penale in caso di incidente stradale, occorre prendere in considerazione non solo l’elemento del mancato rispetto dei limiti di velocità previsti dal Codice della strada da parte dell’investitore, ma anche le condizioni di visibilità in cui il sinistro è avvenuto, al fine di verificare l’eventuale evitabilità dell’evento

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV penale

sentenza 14 marzo 2017, n. 12192

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Presidente

Dott. MENICHETTI Carla – rel. Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 12/04/2016 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/01/2017, la relazione svolta dal Consigliere Dr. CARLA MENICHETTI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. GALLI MASSIMO che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;

Udito il difensore avv. Asta Pietro che si riporta ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Bologna confermava la condanna, anche in relazione alle statuizioni civili, resa dal Tribunale di Ferrara nei confronti di (OMISSIS), responsabile di aver cagionato per colpa, inerente la condotta di guida del suo motociclo, la morte del ciclista (OMISSIS).

All’imputato era stata contestata una colpa generica e la specifica violazione dell’articolo 141 C.d.S., per non aver adeguato la velocita’ della moto da lui condotta nell’avvicinarsi ad una intersezione stradale e per aver omesso comunque il rispetto del limite di velocita’ di 50 km/h previsto sul luogo: cosi’ facendo, era entrato in collisione con il velocipede condotto dal (OMISSIS), il quale, privo di illuminazione propria, proveniente dalla opposta direzione ed in avanzata fase di attraversamento della carreggiata, omettendo di dare la precedenza ai veicoli in fase di avvicinamento lungo la statale e di adottare le cautele necessarie per un attraversamento in piena sicurezza, si trovava oltre il centro della corsia del motociclo, con l’intento di portarsi sul margine destro della stessa.

A seguito dell’urto il ciclista era stato sbalzato a terra con violenza ed era deceduto in conseguenza delle gravissime lesioni personali subite.

2. Alla pronuncia di condanna si era pervenuti sulla scorta dei rilievi dei verbalizzanti, della ricostruzione della dinamica del sinistro da parte del consulente tecnico del P.M. e delle dichiarazioni dell’imputato. Da tali risultanze probatorie era emerso che il sinistro (urto laterale ed incidentale tra i veicoli) era avvenuto di notte in area di incrocio illuminata, all’interno della corsia di pertinenza dell’automobilista, che il ciclista aveva ingombrato per imboccare una stradina laterale sulla sua sinistra.

Nonostante l’imprudenza della manovra, per avere il (OMISSIS) omesso di dare la precedenza alla moto del (OMISSIS) e aver guidato un velocipede privo di illuminazione propria, era stata riconosciuta a carico dell’imputato una condotta colposa per non aver posto in essere alcuna manovra idonea ad evitare l’ostacolo, nonostante la lentezza dell’attraversamento lo avesse reso sicuramente avvistabile preventivamente, e cio’ per scarsa attenzione, velocita’ non strettamente prudenziale (stimata tra i 50-60 km/h) e, forse, di scarsa trasparenza delle lenti degli occhiali.

3. Ha proposto ricorso l’imputato, tramite il difensore di fiducia, prospettando, con unico motivo ampiamente sviluppato, difetto di motivazione in ordine alla dinamica dell’incidente, ricostruita senza aver disposto una perizia e senza un sufficiente confronto con le osservazioni formalizzate dalla difesa tramite il proprio consulente.

In particolare si sostiene – i punti di intacco tra i due veicoli indicati dalla Corte di Bologna (desunti dalle tracce di sangue sul manubrio lato sinistro della moto e di vernice sul parafango anteriore della moto medesima e da cospicue tracce sull’asfalto) non si confrontano con la circostanza che poco dopo era sopravvenuta un’altra autovettura che aveva violentemente spostato la bicicletta, trascinandola sull’asfalto per decine di metri, ed inoltre la sentenza non risponde ai rilievi del consulente di parte sulla direzione di provenienza del ciclista e, conseguentemente, sul tempo di avvistamento da parte del conducente della moto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso merita di essere accolto poiche’ la Corte di Bologna non ha sviluppato una completa ed approfondita motivazione in merito alla colpevolezza dell’imputato.

2. I giudici di appello dedicano poche righe all’esame delle doglianze difensive. Affermano che la esistenza o meno della traccia di frenata del motociclo e’ irrilevante, poiche’ dalle fotografie in atti risulta chiaramente documentato che la caduta dalla bicicletta, conseguente all’urto, aveva lasciato sull’asfalto tracce cospicue ed evidenti dalle quali si ricavava – anche senza la necessita’ di una perizia – la individuazione del punto d’urto in mezzo all’area di incrocio, in zona sufficientemente illuminata, nella corsia di pertinenza del motociclo. Altre fotografie – si legge ancora in sentenza – evidenziavano la presenza di sangue del ciclista sul manubrio, lato sinistro, della moto e di tracce della vernice della bici sul parafango anteriore della moto medesima, comprovando che l’urto non era consistito nello sfioramento di veicoli marcianti in parallelo ma in una collisione diretta tra due veicoli con direzioni incidenti. Da cio’ la prova che il motociclista non aveva avvistato per tempo il ciclista, che pure aveva iniziato l’attraversamento irregolare, provenendo dalla estremita’ opposta della carreggiata rispetto alla direzione di marcia della moto, e quindi non in modo improvviso. Tale mancato avvistamento, possibile in ragione della illuminazione pubblica, integrava la colpa penalmente rilevante, come pure la velocita’ non strettamente prudenziale in area di incrocio, mentre una velocita’ inferiore avrebbe reso possibile una qualche manovra di emergenza, che invece era mancata del tutto.

Cosi’ riassumendo il contenuto della sentenza di primo grado, la Corte di Bologna non si e’ confrontata con i motivi di gravame, nei quali si era censurata la incertezza della ricostruzione in fatto della dinamica del sinistro.

In realta’, anche dopo la pronuncia di secondo grado, le coordinate fattuali del sinistro sono rimaste vaghe ed inesplicate e non consentono un riscontro oggettivo degli elementi di colpa addebitati all’imputato.

Il Tribunale infatti aveva dato atto di una serie di elementi incerti e precisamente: la posizione dei mezzi dopo la collisione, essendo sopraggiunta un’autovettura che aveva investito e trascinato per alcuni metri il velocipede, spostandolo verso il centro della strada e modificandone cosi’ inevitabilmente sia la posizione rispetto al suolo stradale, sia i segni di danneggiamento; la posizione della vittima non era stata individuata con precisione perche’ i soccorritori erano gia’ intervenuti; il consulente del P.M. (OMISSIS) aveva collocato in un range abbastanza ampio la velocita’ tenuta dal (OMISSIS), tra 50 e 62 km/h.; anche la provenienza del ciclista era rimasta incerta, in quanto era stata desunta da una dichiarazione della figlia, che rendeva tuttavia possibili due percorsi alternativi di rientro a casa (da (OMISSIS) ovvero da (OMISSIS)).

Aveva altresi’ evidenziato l’imprudente condotta del ciclista, il quale si era determinato ad attraversare l’intersezione stradale stimando sufficiente il tempo a disposizione prima dell’arrivo della motocicletta (seppure l’aveva avvistata), mentre avrebbe dovuto – anche in considerazione del fatto che non era fornito di illuminazione fermarsi all’interno della corsia di canalizzazione.

Aveva quindi concluso come segue: l’evento doveva e poteva considerarsi prevedibile, potendosi presumere in vicinanza di un centro abitato che qualche incauto ciclista di notte azzardasse manovre non rispettose delle norme in tema di circolazione stradale; l’evento era evitabile da parte dell’imputato qualora avesse mantenuto una velocita’ entro il limite di 50 km/h; in alternativa, anche considerato che avesse viaggiato alla velocita’ richiesta, avrebbe dovuto comunque reagire con adeguata tempestivita’ alla situazione.

Il ragionamento del primo giudice, che la Corte territoriale ha fatto proprio nella scarna sentenza in esame, omettendo di dare risposta alle specifiche doglianze dell’appellante e, in particolare, alle considerazioni svolte dal consulente della difesa, riproposte con l’odierno ricorso, appare privo di una struttura motivazionale corretta.

Nell’incertezza sulla velocita’ effettivamente tenuta dal motociclista e sulla posizione del ciclista al momento dell’investimento, si e’ fatto implicito richiamo in sentenza alla disposizione dell’articolo 141 C.d.S., che sanzionando il c.d. eccesso di velocita’ relativo, impone al conducente di conservare sempre il controllo del proprio veicolo per essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del mezzo entro i limiti del suo campo di visibilita’ e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile.

E’ stata poi affermata la “prevedibilita’ dell’ostacolo” ossia la possibilita’ per il (OMISSIS) di prevedere che a quell’ora della notte (intorno alle ore 00.25) un ciclista potesse procedere all’attraversamento della strada incautamente su un mezzo privo di illuminazione, solo perche’ si era in prossimita’ di un centro abitato.

Secondo questo Collegio proprio tale affermazione non e’ stata condotta con criteri logici soddisfacenti, ma si e’ basata piuttosto su un’apodittica asserzione che non ha approfondito l’aspetto della oggettiva visibilita’ dell’ostacolo che il motociclista si era trovato di fronte e della possibilita’ conseguente di avere un tempo tecnico di reazione sufficiente ad evitarlo.

4. Cio’ che, conclusivamente, non e’ sufficiente sotto il profilo dell’adeguatezza e logicita’ dell’impianto motivazionale e’ l’affermazione della concreta prevedibilita’ dell’evento, che va rapportata alla condotta di guida del (OMISSIS) rispetto alla vittima, e non a mere congetture.

Solo fornendo congrua risposta al quesito sulla avvistabilita’ del (OMISSIS) da parte dell’imputato entro un tempo che consentisse una qualunque manovra di emergenza, potra’ pervenirsi al conseguente giudizio di evitabilita’ dell’evento, da cui far discendere la responsabilita’ colposa.

5. La sentenza deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Bologna.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna per nuovo esame

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