Corte di Cassazione, sezione IV penale,  sentenza 18 gennaio 2017, n. 2403

In caso di omicidio colposo o di lesione colposa e di contemporanea violazione delle norme sulla circolazione stradale, non si configurava un’ipotesi di reato complesso, ma un mero concorso tra il delitto e la contravvenzione, con conseguente inapplicabilità della disposizione di cui all’art. 84 cod. pen.

In tema di reato di guida in stato di ebbrezza, ai fini dell’operatività del divieto di sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità – previsto dall’art. 186, comma 9-bis, C.d.S., – è sufficiente che ricorra la circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV penale

 sentenza 18 gennaio 2017, n. 2403

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza n. 220/2014 del 17/02/2014, la Corte di Appello di Trieste confermava la sentenza del G.I.P. del Tribunale di Gorizia del 12 marzo 2013 con la quale, all’esito del giudizio abbreviato, M.V. era stato condannato alla pena di anni tre e mesi dieci di reclusione perché ritenuto colpevole dei reati di cui: 1) agli artt. 61, n. 3), cod. pen., 589, commi 2 e 3, nn. 1) e 4), cod. pen., perché, per colpa, cagionava la morte di O.T. e procurava lesioni personali ad O.A. ; 2) all’art. 186, comma.2, lett. c), e 2-bis Codice della Strada, perché, nelle circostanze descritte al capo 1), guidava in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di sostanze alcooliche accertato con test etilometro con valori di alcolemia rilevati di 2,46 g/L alle ore 20,07 e di 2,34 g/L alle ore 20,29, con l’aggravante di avere provocato un incidente stradale; 3) di cui agli artt. 590 e 583, comma 1, cod. pen. perché, nelle circostanze dettagliatamente descritte al capo 1), per colpa sopra meglio descritta, procurava ad O.A. lesioni personali da cui derivava una malattia e una incapacità ad attendere alle proprie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni.
2. Avverso tale sentenza d’appello propone ricorso per cassazione M.V. , a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all’art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.):
I) Violazione di legge e vizi motivazionali in relazione alla disciplina dell’art. 84, comma 2, cod. pen. fra il reato sub 1) ed il reato sub 2) dell’imputazione. Deduce che la violazione del Codice della Strada relativa alla circolazione sulla pubblica via in stato di alterazione psico-fisica, dovuta all’assunzione di sostanze alcoliche, è integralmente ricompresa nel reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale, finanche per l’identità dei beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici, e ne costituisce, quindi, elemento circostanziale, con assorbimento nell’ipotesi di delitto aggravato che assumerebbe la qualificazione proprio in termini di reato complesso. Sostiene che ritenere il concorso del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle regole sulla circolazione stradale con la contravvenzione del Codice della Strada significherebbe violare il principio del ne bis in idem sostanziale che impedisce di porre a carico del soggetto due volte la stessa circostanza di fatto e, quindi, la violazione della norma in materia di circolazione stradale di volta in volta configurabile;
II) Violazione di legge e vizi motivazionali in relazione alla dosimetria della pena inflitta e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche;
III) Violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all’art. 186, comma 9-bis, del Codice della Strada e coeva questione di legittimità costituzionale della richiamata norma nella parte in cui prevede l’esclusione del regime sostitutivo della pena detentiva dei “Lavori di Pubblica Utilità” nei “casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo”.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato.
4. In ordine alla doglianza sub I), mette conto osservare che, a seguito dell’entrata in vigore della L. 23 marzo 2016, n. 41, e quindi a decorrere dal 25 marzo 2016, è stato introdotto, tra gli altri, l’art. 589-bis cod. pen., in virtù del quale “Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni” e, inoltre, “Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto”.
4.1. Precedentemente, dall’entrata in vigore della L. 24 luglio 2008, n. 125, l’art. 589 cod. pen. disponeva, tra l’altro, che, in ipotesi di omicidio colposo, “Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni” e che “Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici”.
5. La formulazione della novella del 2016 ha, evidentemente, ricondotto le ipotesi aggravate al momento della “guida”, individuando esplicitamente, come agente, chiunque si ponga “alla guida di un veicolo a motore”; ciò, a differenza delle ipotesi-base (artt. 589-bis, comma 1, e 590-bis, comma 1, cod. pen., per le quali destinatario del precetto è “chiunque cagioni per colpa (…) con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale….)”. In altri termini le nuove fattispecie aggravate sono applicabili solo al “conducente di un veicolo a motore” e non anche, per esempio, a chi cagioni la morte (o le lesioni) di un pedone guidando una bicicletta in stato di ebbrezza.
5.1. In caso di applicazione della nuova legge citata, lo schema del reato complesso potrebbe, in vero, emergere dalla nuova formula normativa, tanto per l’esplicita qualificazione in termini di circostanze aggravanti dei commi dell’art. 589-bis cod. pen. successivi al primo quanto per la più evidente (anche se non perfetta) coincidenza tra le ipotesi in questione e quelle previste dal codice della strada.
6. Si pone, perciò, a questo punto, la questione della successione di leggi nel tempo con conseguente applicazione del principio definitivamente dichiarato dalla sentenza n. 210 del 2013 della Corte costituzionale, emanata sulla scorta dell’arresto della Corte EDU la quale, con la sentenza Scoppola del 17 settembre 2009, aveva ritenuto, mutando il proprio precedente e consolidato orientamento, che “l’art. 7, paragrafo 1, della Convenzione non sancisce solo il principio della irretroattività delle leggi penali più severe, ma anche, e implicitamente, il principio della retroattività della legge penale meno severa”, che si traduce “nella norma secondo cui, se la legge penale in vigore al momento della commissione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato”.
6.1. Come si vede, si tratta, nell’ambito dell’art. 7, paragrafo 1, della CEDU, di un principio analogo a quello contenuto nel quarto comma dell’art. 2 cod. pen., che dalla Corte di Strasburgo è stato elevato al rango di principio della Convenzione.
6.2. Ciò va letto in combinazione con l’altro principio, fissato da costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui la lex mitior, una volta ricavata in concreto, va applicata nella sua integralità, non potendosi utilizzare entrambe le norme nelle sole parti più favorevoli all’imputato.
7. Nella specie i fatti addebitati al M. risultano commessi nell’anno 2012 e, quindi, sotto la vigenza dell’art. 589 cod. pen. così come modificato dalla L. 24 luglio 2008, n. 125 e prima dell’introduzione dell’art. 589-bis cod. pen. ad opera della L. 23 marzo 2016, n. 41.
7.1. Alla luce del diverso trattamento sanzionatorio (surriportato), appare evidente l’obbligo di applicare integralmente la norma vigente al momento dei fatti, in concreto più favorevole.
7.2. Conseguentemente va ribadita la giurisprudenza di questa Corte (relativa all’interpretazione di tale norma vigente all’epoca del fatto, da applicarsi alla concreta fattispecie in quanto più favorevole come dianzi spiegato) secondo la quale, in caso di omicidio colposo o di lesione colposa e di contemporanea violazione delle norme sulla circolazione stradale, non si configurava un’ipotesi di reato complesso, ma un mero concorso tra il delitto e la contravvenzione, con conseguente inapplicabilità della disposizione di cui all’art. 84 cod. pen. (cfr. sez. 4, n. 46441 del 03/10/2012, Rv. 253839).
7.3. L’indirizzo interpretativo sopra indicato è stato confermato, da questa stessa Sezione, sul presupposto che la circostanza aggravante prevista dall’art. 589 cod. pen., comma 3, (vigente all’epoca dei fatti) non riguardava solo i conducenti di un veicolo in stato di ebbrezza alcolica ma anche tutti quei soggetti i quali “pur non direttamente impegnati nella fase della circolazione intesa come guida di un veicolo, sono tuttavia anch’essi obbligati al rispetto di norme relative alla disciplina della circolazione stradale, a garanzia della tutela degli utenti della strada; ad esempio: 1) il pedone, in relazione all’art. 190 C.d.S.; 2) il soggetto responsabile della predisposizione – e del controllo in loco delle misure di protezione e delle adeguate segnalazioni per la presenza di un cantiere sulla strada, in relazione all’art. 21 C.d.S. ed all’art. 31 reg. C.d.S.; 3) l’istruttore di guida, in relazione all’art. 122 C.d.S.” (cfr. sez. 4, n. 19167 del 19/04/2016).
7.4. Ulteriore argomento ostativo alla configurabilità del reato complesso è la diversità del bene giuridico tutelato dalle norme di riferimento, posto che i delitti di cui agli artt. 589 e 590 cod. pen. sono reati che tutelano la vita e l’incolumità individuale, mentre le contravvenzioni ex artt. 186, comma 2, lett. c), e 187, del codice della strada, sono reati di pericolo.
7.5. Né, per contrastare l’opzione ermeneutica all’epoca privilegiata nella giurisprudenza di legittimità, può valere il richiamo al principio del “ne bis in idem sostanziale”: ed invero, come più volte affermato da questa Corte, uno stesso elemento ben può essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini e conseguenze (v. sez. 1, n. 1376 del 28/10/1997, Rv. 209841; cfr. anche sez. 1, n. 9950 del 06/05/1994; Rv. 199739; in motivazione, sez. 2, n. 12930 del 13/01/2012, in tema di concorso tra il delitto di resistenza a un pubblico ufficiale e quello di lesioni volontarie aggravate perché commesso in danno di pubblico ufficiale).
7.6. Di qui l’infondatezza del motivo in scrutinio.
8. I motivi sub II) e III) -da trattarsi congiuntamente poiché logicamente avvinti- concernenti il trattamento sanzionatorio sotto il duplice profilo del diniego delle attenuanti generiche e dell’entità della pena, sono manifestamente infondati posto che attengono sostanzialmente ad apprezzamenti di merito incensurabili in questa sede risultando sorretti da adeguata motivazione.
8.1. Quanto al diniego delle attenuanti generiche, è sufficiente ricordare il consolidato, e condivisibile, indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità secondo cui “la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di tal che la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato” (in termini, ex plurimis, sez. 6, n. 7707/2004, Rv. 229768); quanto all’onere motivazionale per il giudice di merito in materia, è stato altresì precisato che “ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo” (in tal senso, tra le tante, sez. 1, N. 3772/94, Rv. 196880). Nella concreta fattispecie, ad integrazione di quanto già evidenziato dal primo giudice circa gli indici di particolare gravità ravvisabili nel comportamento di guida del M. , la Corte territoriale ha, incensurabilmente, ritenuto che “Non vi sono dunque elementi per riconoscere attenuanti, in assoluto e in rapporto all’inaudita gravità del fatto: smodatamente ubriaco, circolando a velocità sostenuta in un centro abitato, privo di ogni controllo della guida, zigzagando e viaggiando contromano, con assoluto disprezzo per la altrui incolumità, M. aveva investito due ciclisti che procedevano regolarmente in fila indiana, uccidendo il padre e, del tutto fortuitamente, solo ferendo il figlio di otto anni. Un quadro di personalità e pericolosità sociale che è arduo immaginare più grave, se non fosse che, nel caso, M. è soggetto che guidava anche professionalmente e che – già condannato nel 2005, due volte, e nel 2007 per guida in stato di ebbrezza – lungi dall’esserne minimamente influenzato, aveva perseverato in condotte analoghe fino a provocare la tragedia per cui è processo”.
8.2. Considerazioni analoghe valgono per quel che riguarda l’entità della pena; la Corte distrettuale ha valutato come “la pena inflitta è già improntata a benevolenza, posto che, a fronte di un range da tre a dieci anni di reclusione (art. 589, 3 comma cod. pen.) la pena indicata dal G.i.p. e di soli quattro anni, mentre l’aumento per le lesioni gravi al bambino (art. 589, ultimo comma cod. pen.) è di cinque mesi e per la guida in stato di ebbrezza di quattro mesi”; anche in proposito si tratta di apprezzamento di merito immune da vizi.
8.3. Quanto alla questione relativa alla sostituzione della pena, va ribadito che in tema di reato di guida in stato di ebbrezza, ai fini dell’operatività del divieto di sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità – previsto dall’art. 186, comma 9-bis, C.d.S., – è sufficiente che ricorra la circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale (cfr. sez. 4, n. 6739 del 16/02/2015; sez. 4, n. 48534 del 24/10/2013, Rv. 257289).
8.4. Mette conto rammentare come anche la Corte Costituzionale, con ordinanza del 25 settembre 2013, n. 247, ha affermato che la fattispecie aggravata dal fatto di aver cagionato un incidente stradale è stata, non irragionevolmente, voluta dal Legislatore come limite all’applicazione della sanzione sostitutiva.
8.5. Nella specie, stante la ineccepibile mancata concessione di ogni attenuante, non si pone neppure la questione di legittimità costituzionale eccepita dalla difesa (cfr. sez. 4, n. 6739 del 16/02/2015, cit.).
9. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che il ricorso pone solo questioni che sfuggono al sindacato di legittimità (cfr. sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012).
10. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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