Corte di Cassazione, sezione IV penale, sentenza 5 aprile 2017, n. 17163

La tenuità del fatto scatta anche per la sicurezza lavoro. Soprattutto quando c’è un concorso di colpa da parte del lavoratore infortunato

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV penale

sentenza 5 aprile 2017, n. 17163

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Presidente

Dott. PICCIALLI Patrizia – Consigliere

Dott. SAVINO Mariapia G. – Consigliere

Dott. BELLINI Ugo – rel. Consigliere

Dott. TANGA Antonio Leonar – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI MILANO;

nei confronti di:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

inoltre:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 19/04/2016 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/01/2017, la relazione svolta dal Consigliere Dr. UGO BELLINI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. BALSAMO ANTONIO che ha concluso per l’annullamento con rinvio in relazione al ricorso del PG di Milano;

Rigetto del ricorso dell’imputato (OMISSIS);

udito l’avv. (OMISSIS), difensore del ricorrente (OMISSIS) il quale conclude per l’accoglimento del ricorso e per il rigetto del ricorso del PG.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza pronunciata in data 19 Aprile 2016, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecco, che aveva assolto (OMISSIS) quale titolare della ditta (OMISSIS) s.p.a. dal reato di lesioni personali gravi ai danni del dipendente (OMISSIS) il quale si era infortunato mentre era intento allo svolgimento di attivita’ di manutenzione all’interno della linea produttiva, ne pronunciava la assoluzione ricorrendo la causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131 bis c.p..

2. Sovvertendo il giudizio del Tribunale di prima cure, assumeva che non poteva ritenersi abnorme la condotta dell’operaio il quale, dopo avere attivato la procedura aziendale di sospensione del ciclo produttivo al fine di svolgere opere di manutenzione ai rulli trascinatori della macchina impiegata per la produzione di manufatti in acciaio, ultimato l’intervento ne aveva disposto la riattivazione, per poi reintrodursi inopinatamente all’interno della macchina per integrare l’intervento, cosi’ da venire attinto al viso da un organo mobile della biella, poiche’ specifica disposizione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 (articolo 71, comma 1) impone che, in occasione di tali interventi dell’operatore all’interno di macchine in movimento, siano dotate di dispositivi che ne precludano automaticamente il movimento.

Sotto diverso profilo era comunque ad escludere che l’intervento del lavoratore potesse ritenersi del tutto eccentrico ed anomalo rispetto ai compiti allo stesso affidati, laddove l’infortunio si era realizzato proprio nel corso e in ragione delle mansioni di manutenzione allo stesso affidate.

3. Evidenziava peraltro che la condotta del datore di lavoro potesse essere sussunta nell’ambito del fatto di particolare tenuita’, in ragione della natura e della durata delle lesioni, del tempo di guarigione, di una condotta risarcitoria e delle altre modalita’ dell’azione delittuosa che potevano connotare di tenuita’ tanto i profili oggettivi (azione e offesa), quanto i profili soggettivi del fatto reato.

4. Avverso la suddetta sentenza proponevano ricorso la difesa dell’imputato (OMISSIS) nonche’ il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano.

4.1 Il (OMISSIS) articolava due motivi di ricorso.

4.1.1 Con un primo motivo denunciava violazione ed erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 40, comma 1, articolo 43, comma 1, terzo periodo, articolo 590, e dell’articolo 71, comma 1 in relazione all’articolo 70, comma 2, con riferimento alla valutazione dei mezzi di prova nonche’ per difetto motivazionale in ordine alla pretesa non conformita’ ai requisiti di sicurezza della macchina durante la esecuzione dell’intervento. Assumeva che la disposizione antinfortunistica si riferiva allo svolgimento degli interventi di manutenzione, laddove nel caso in specie l’operaio dopo avere dato corso all’attivita’ manutentiva affidata, aveva autorizzato la ripresa del ciclo produttivo provvedendo al riarmo del fungo di emergenza, di talche’ la condotta del dipendente, sia in termini di colpa che in termini causali, andava valutata fuori dalla prestazione manutentiva, ma nell’ambito dell’ordinario ciclo produttivo, ormai ripreso. Sotto questo profilo evidenziava che la prestazione di manutenzione era assistita da un sistema automatizzato e procedimentalizzato di cautele che doveva ritenersi adeguato a salvaguardare la incolumita’ del prestatore, in quanto esisteva un comando (fungo) azionato dallo stesso manutentore per la interruzione del ciclo, nonche’ erano previsti una serie di passaggi (tramite capoturno) che davano luogo alla ripresa della lavorazione. Ne’ la successiva predisposizione di ulteriori cautele, che erano basate per prevenire condotte abnormi del lavoratore, potevano ritenersi di per se’ esplicative della precedente inottemperanza alla disposizione richiamata, che si riferiva alla fase di svolgimento della manutenzione.

4.1.2 Con un secondo motivo deduceva violazione di legge in riferimento all’efficacia interruttiva del rapporto di causalita’ da parte del lavoratore e difetto di motivazione in punto a comportamento abnorme ed eccezionale dello stesso. Invero il lavoratore aveva dato luogo alla ripartenza del ciclo produttivo per poi ripresentarsi all’interno della gabbia, ove si era riavviato il movimento degli organi meccanici per integrare il proprio intervento, in sostanza volontariamente esponendosi al pericolo derivante dalle parti semoventi del sistema senza procedere alla interruzione della lavorazione, che pure avrebbe potuto disattivare disarmando il fungo. Evidenziava che la condotta risultava assolutamente eccentrica e abnorme e dotata di propria autonoma rilevanza causale, atteso che le garanzie che presidiavano l’attivita’ di manutenzione assicuravano il fermo della macchina nei termini sopra indicati, ma nel caso in specie il lavoratore li aveva sostanzialmente elusi, facendo riprendere la lavorazione e poi reintroducendosi nella macchina in movimento. Anche in relazione a tale profilo il giudice di appello aveva del tutto omesso di considerare che l’intervento di manutenzione era terminato, che il lavoratore aveva autorizzato la ripresa del lavoro e che le regole cautelari sancite dalla normativa richiamata non potevano considerarsi piu’ attuali.

Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano con un unico motivo di ricorso denunciava violazione di legge e difetto di motivazione in punto ad applicazione dell’istituto del fatto di particolare tenuita’, assumendo che non ne ricorrevano i presupposti, in ragione della gravita’ delle lesioni cagionate, della rilevanza penale della condotta ascritta, della ritenuta violazione delle norme antinfortunistiche, fatti che connotavano di particolare offensivita’ la condotta e di non trascurabile gravita’ le conseguenze dannose, facendo riferimento ad una serie di disposizioni, di natura processuale, da cui era rilevabile il particolare disvalore che l’ordinamento giuridico riconosceva a fatti reato come quello in esame.

Escludeva poi che il giudice di secondo grado avesse fatto riferimento a elementi specifici e concreti da cui desumere la particolare tenuita’ del fatto, dal momento che il (OMISSIS) non ne aveva fatto alcun riferimento mentre il giudice di appello aveva sostanzialmente applicato l’istituto di ufficio. Sotto diverso profilo risultava illogico ritenere che la durata della malattia in 80 giorni fosse motivo di emersione della causa di non punibilita’, laddove la stessa durata valeva a definire come gravi le lesioni, ne’ la esimente la punibilita’ poteva discendere dall’entita’ del risarcimento del danno riconosciuto, quale strumento di misurazione del danno patito, rilevando lo stesso ai fini del riconoscimento dei benefici delle circostanze attenuanti generiche o di quella di cui all’articolo 62 c.p., n. 6.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono entrambi infondati e devono essere rigettati.

2. La Corte territoriale ha infatti svolto buon governo delle risultanze processuali e con motivazione del tutto adeguata sotto il profilo logico giuridico ha sia riconosciuto la ricorrenza di profili di colpa specifica in capo al titolare della posizione di garanzia, in relazione allo svolgimento dell’attivita’ di manutenzione del macchinario, sia escluso che i concorrenti addebiti di imprudenza, pure attribuibili al manutentore offeso, fossero idonei a escludere il rapporto di causalita’ tra la condotta ascritta al (OMISSIS) e l’evento.

3. Invero pertinente risulta il richiamo operato in capo di imputazione alla mancata predisposizione di strumenti automatici di bloccaggio dei macchinari all’interno dei quali l’operaio debba entrare in tutto o con parte del corpo per svolgere attivita’ di manutenzione. Appare evidente che la norma antinfortunistica richiamata (articolo 71, comma 1 in relazione al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 70, comma 2) non possa ritenersi rispettata, come pretende il ricorrente, allorquando sia previsto un sistema antinfortunistico procedimentalizzato, peraltro solo parzialmente automatizzato, attivabile dallo stesso manutentore (attivazione di un fungo meccanico e interlocuzione con soggetto di vigilanza), trattandosi di cautela parziale, inidonea a coprire tutte le aree di rischio e tutte le possibili ipotesi in cui, in coincidenza dell’attivita’ del manutentore, possa risultare attiva una o piu’ macchine o parti di esse, anche a causa della disattenzione, come nel caso in specie, dello stesso manutentore.

4. La disposizione infortunistica mira invece a interdire il movimento dell’apparecchiatura meccanica per il solo fatto che all’interno di essa il manutentore si trovi ad operare e pertanto a prescindere dal fatto che lo stesso abbia o meno seguito le prassi procedimentali seguite nell’azienda per consentire la interruzione del ciclo produttivo e di disporne il riavvio, una volta svolto l’intervento necessario.

4.1 Invero la presenza di codificate prassi aziendali, che presidiavano la funzione del manutentore, rendendo lo stesso responsabile della propria sicurezza, nel consentirgli di interfacciarsi con il soggetto (pulpitista) addetto alla attivazione del ciclo produttivo, ed a manovrare anche un sistema automatico di interruzione, non escludevano in capo al responsabile della sicurezza l’obbligo della predisposizione di blocco automatico degli ingranaggi previsto dalla norma speciale, in quanto si trattava dell’unico strumento in grado di tutelare il manutentore, e chiunque si trovasse in prossimita’ degli ingranaggi in movimento, da condotte improprie dovute a distrazione o da possibili altri errori umani o di comunicazione tra i soggetti deputati a interagire in chiave di prevenzione.

4.2 Ne’ all’uopo coglie nel segno, quando si assume la illogicita’ della motivazione del giudice di appello, la distinzione operata dal ricorrente, ai fini di escludere l’obbligo di predisposizione della cautela infortunistica, tra la attivita’ di manutenzione svolta nell’arco temporale in cui erano state interrotte le lavorazioni, rispetto a quella realizzata una volta riattivato il funzionamento delle macchine, atteso che il (OMISSIS), pure avendo autorizzato la ripresa del ciclo produttivo, si era attardato a compiere una ulteriore regolamentazione del macchinario, cosicche’ il fermo automatico delle componenti mobili, lo avrebbe preservato dall’infortunio mentre egli era ancora intento a terminare il suo compito.

5. Sotto diverso profilo appare evidente che, anche in relazione alla natura, alle finalita’ e al sistema automatico della cautela omessa, come correttamente argomentato dal giudice territoriale, la condotta del lavoratore offeso, seppure imprudente, non possa ritenersi ne’ eccezionale, ne’ abnorme. E’ stato evidenziato dal S.C. che l’eventuale addebito di imprudenza al lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica da parte dei soggetti tenuti a garantirne la attuazione, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilita’, poiche’ l’esistenza del rapporto di causalita’ tra la violazione e l’evento-morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito puo’ essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormita’ abbia dato causa all’evento.

(La Suprema Corte ha precisato che e’ abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilita’, si ponga al di fuori di ogni possibilita’ di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non e’ il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante, nel segmento di lavoro attribuitogli (vedi sez. 4, 28.4.2011, Millo e altri, Rv. 250710; 10.10.2013, Rovaldi, Rv. 259313; 23292; 5.3.2015, Guida, Rv.263386).

6. Ugualmente infondato deve ritenersi la impugnazione del Procuratore generale presso la Corte di Appello di Milano, avverso la statuizione della Corte territoriale che ha sussunto la fattispecie nell’ambito della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131 bis c.p..

In relazione alla richiesta di riconoscimento della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131 bis c.p., la giurisprudenza di questa corte ha evidenziato che ai fini dell’accertamento dei presupposti applicativi, che attengono appunto alla non abitualita’ della condotta e alla modesta offensivita’ della azione e delle conseguenze dannose o pericolose di essa come interpretati dall’articolo 133 c.p., il giudice di legittimita’ nello svolgere tale secondo apprezzamento non potra’ che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito, tenendo conto, degli eventuali giudizi gia’ espressi nelle pronunce di merito (sez. 3, 8.4.2015 n. 15449; sez. 4, 17.4.2015 n. 22381; da ultimo S.U. 25.2.2016 Tushaj).

6.1. Invero nel caso in specie deve ritenersi assolutamente coerente e adeguata sotto il profilo logico giuridico la motivazione della impugnata sentenza in ordine alla ritenuta operativita’ nel caso in specie del suddetto istituto.

Ricorrono infatti i presupposti per riconoscere in termini obiettivi il requisito della modestia del fatto reato, avuto riguardo in particolare alle modalita’ della condotta e alla gravita’ del pericolo, che pure assumono rilievo ai sensi dell’articolo 133 c.p., requisiti espressamente richiamati dalla disciplina introdotta con l’articolo 131 bis c.p. nonche’ ai profili di antidoverosita’ della condotta, pure valorizzato dall’articolo 133 c.p. sub specie della graduabilita’ della colpa, sulla quale non puo’ non incidere la grave disattenzione in cui incorse lo stesso lavoratore.

6.2 Ne’ possono di per se’ ritenersi fattori impeditivi al riconoscimento della causa di non punibilita’ l’ambito lavoristico in cui si e’ realizzato l’infortunio, con inosservanza di specifiche regole cautelari o il fatto che il legislatore abbia inteso definire “gravi” il tipo di lesioni derivate all’infortunato (OMISSIS) (per un periodo superiore a 40 giorni) in conseguenza dell’infortunio.

Premesso che non ricorre alcuno dei presupposti preclusivi alla applicazione della causa di non punibilita’ codificati dallo stesso legislatore che la ha disciplinata e introdotta nell’ordinamento giuridico (limiti di pena, esclusioni oggettive, abitualita’ della condotta), la valutazione che il giudice di merito era chiamato ad operare non poteva che fondarsi sulla specificita’ del caso concreto, senza ricorrere a presunzioni o a preclusioni derivanti dalla originaria previsione di soglie di maggiore o minore offensivita’.

Del tutto conforme a quanto sopra evidenziato sul punto e’ la sentenza a sez. U, 25.2.2016 Tushaj, n. 13681 che tra l’altro cosi’ motiva “Orbene, e’ chiaro che il superamento della soglia di rilevanza penale coglie il minimo disvalore della situazione dannosa o pericolosa. Il giudice che ritiene tenue una condotta collocata attorno all’entita’ minima del fatto conforme al tipo, contrariamente a quanto ritenuto dall’ordinanza di rimessione, non si sostituisce al legislatore, ma anzi ne recepisce fedelmente la valutazione. Naturalmente, pure in tale caso la valutazione riguarda la fattispecie concreta nel suo complesso e quindi tutti gli aspetti gia’ piu’ volte evocati, che afferiscono alla condotta, alle conseguenze del reato ed alla colpevolezza. Chiaramente, quanto piu’ ci si allontana dal valore-soglia tanto piu’ e’ verosimile che ci si trovi in presenza di un fatto non specialmente esiguo. Tuttavia, nessuna conclusione puo’ essere tratta in astratto, senza considerare cioe’ le peculiarita’ del caso concreto. Insomma, nessuna presunzione e’ consentita”.

6.3 Ma se questo e’ il criterio utilizzabile dal giudice per accertare la sussistenza dei presupposti della declaratoria di non punibilita’ in presenza di particolare tenuita’ dell’offesa, del tutto coerentemente il giudice di appello e’ pervenuto alla decisione adottata alla stregua di una valutazione complessiva e congiunta di tutte le peculiarita’ della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1, delle modalita’ della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entita’ del danno o del pericolo (sez. U, 25.2.2016, Tushaj, Rv.266590).

6.4 Invero quanto ai profili oggettivi della condotta e dell’offesa il giudice di appello era a rappresentare che la (OMISSIS) non era del tutto priva di un sistema di controllo per garantire che le opere di manutenzione venissero compiute in sicurezza…quali un fungo di blocco, sirena di riattivazione, anche se riteneva lo stesso sistema inadeguato, sebbene la persona offesa avesse dato il suo consenso al pulpitista di riattivare la macchina.

6.5 D’altro canto il (OMISSIS), avendo realizzato che i presidi adottati si erano dimostrati insufficienti, aveva apportato, dopo l’infortunio, i correttivi del caso, dotando gli impianti di una serie di accorgimenti di sicurezza e aveva provveduto a segregare le parti mobili e pericolose della macchina, sostituendo nuove tecnologie al sistema procedimentalizzato sopra indicato, in pratica rimesso all’auto responsabilita’ dello stesso manutentore.

6.6 Sotto diverso profilo il giudice territoriale ha riconosciuto la tenuita’ dell’offesa in presenza di una iniziale diagnosi di riabilitazione in gg. 20 successivamente stabilizzata in gg.80 e, sebbene tale termine di durata della malattia comporti una definizione giuridica di “lesioni gravi”, il giudice di merito ha evidenziato come la originaria durata temporanea delle lesioni giustificava una valutazione in termini di tenuita’, laddove il prolungamento della malattia era verosimilmente dipeso da postumi incidenti sulla capacita’ lavorativa ma non su quella di attendere alle normali occupazioni.

6.7 D’altro canto ai fini del riconoscimento della tenuta’ dell’offesa non si puo’ non tenere in considerazione, nel diverso ambito prospettico di cui all’articolo 131 bis c.p., il non trascurabile concorso di colpa ascrivibile alla persona offesa, che da un lato vale a ridurre il grado di antidoverosita’ della condotta del datore di lavoro, dall’altra concorre a mitigare i profili di offensivita’ attribuibili alla di lui condotta omissiva.

6.8 Infine il giudice di appello ha tenuto altresi’ conto, ai fini della graduazione del pregiudizio subito dal lavoratore, della misura risarcitoria, che manifesta gli intenti riparatori post factum del reo e al contempo vale quale parametro dell’entita’ del pregiudizio sofferto dalla persona offesa, in considerazione del danno conseguito alla validita’ biologica dell’infortunato.

In conclusione devono trovare rigetto entrambi i ricorsi e il ricorrente (OMISSIS) va condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna l’imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali

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