Corte di Cassazione, sezione IV penale, sentenza 9 marzo 2017, n. 11423

In tema di furto (nella fattispecie due confezioni di bresaola) non basta l’indigenza a far dimostrare l’impossibilità di far fronte in altro modo alle proprie esigenze di sostentamento e la necessità immediata di nutrirsi

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV penale
sentenza 9 marzo 2017, n. 11423

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROMIS Vincenzo – Presidente

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere

Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere

Dott. MICCICHE’ Loredana – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 09/05/2016 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/12/2016, la relazione svolta dal Consigliere Dott. MICCICHE’ LOREDANA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CUOMO LUIGI, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

Udito il difensore Avv. (OMISSIS) che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 9 maggio 2016, ha confermato la sentenza emessa dal locale Tribunale, che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di mesi cinque di reclusione ed Euro 150,00 di multa, riconoscendolo colpevole del reato di tentato furto di due confezioni di bresaola commesso all’interno di un supermercato, riconosciuta l’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 4 ritenuta equivalente alla contestata recidiva. La Corte d’Appello ha disatteso i motivi di gravame, confermando la valutazione del primo giudice quanto alla ritenuta inconfigurabilita’ dell’ipotesi lieve di furto per bisogno, di cui all’articolo 626 c.p., n. 2, e, pur concedendo le attenuanti generiche, ha formulato un giudizio di equivalenza con la contestata recidiva, confermando la pronuncia di primo grado anche in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio.

2. (OMISSIS) ha proposto ricorso per il tramite del proprio difensore di fiducia, lamentando, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in relazione agli articoli 624 e 626 c.p. per avere la Corte d’Appello erroneamente e illogicamente affermato che l’ipotesi lieve doveva escludersi poiche’ l’imputato non aveva dimostrato di trovarsi nell’impossibilita’ di far fronte alle proprie esigenze di sostentamento. In tal modo, la Corte territoriale aveva erroneamente addossato all’imputato l’onere probatorio mentre, in base ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’, l’esigenza di soddisfazione del bisogno puo’ essere desunta da dati probatori acquisiti al processo, che nel caso in esame erano rappresentati dal fatto che l’imputato fosse stato ammesso al gratuito patrocinio, nonche’ dalla stessa natura di genere alimentare e dalla esiguita’ del valore economico del bene appreso, gia’ riconosciuta ai fini dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 4. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’assenza di motivazione in ordine alla richiesta di esclusione della recidiva in contestazione, in ragione della inconciliabilita’ tra il fatto materiale compiuto e il giudizio di maggiore attitudine a delinquere erroneamente formulato dalla Corte d’appello. Con il terzo motivo, infine, deduce il ricorrente violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 99, 62 bis, 69 e 133 c.p., per avere la Corte d’appello ancorato il computo sanzionatorio tenendo conto soltanto del numero dei precedenti penali dell’imputato, gia’ comunque valutati con l’applicazione della recidiva. Insiste, dunque, per l’annullamento della pronuncia impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo e’ infondato.

2. Secondo il consolidato orientamento di legittimita’, il furto lieve per bisogno e’ configurabile nei casi in cui la cosa sottratta sia di tenue valore e sia effettivamente destinata a soddisfare un grave ed urgente bisogno; ne consegue che, per far degradare l’imputazione da furto comune a furto lieve, non e’ sufficiente la sussistenza di un generico stato di bisogno o di miseria del colpevole, occorrendo, invece, una situazione di grave ed indilazionabile bisogno alla quale non possa provvedersi se non sottraendo la cosa (Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014, Rv. 261658, Sez. 2, n. 42375 del 05/10/2012, Rv. 254348).

3. Fermo il suddetto principio, va altresi’ precisato che nell’ordinamento processuale penale non e’ previsto un onere probatorio a carico dell’imputato, modellato sui principi propri del processo civile, ma e’, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtu’ del quale l’imputato e’ tenuto a fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore, fra i quali possono annoverarsi le cause di giustificazione (Sez. 2, n. 20171 del 07/02/2013 Rv. 255916).

4. Ai fini della sussistenza dell’ipotesi attenuata del furto commesso in stato di bisogno l’imputato avrebbe dovuto dedurre che la sottrazione era diretta al soddisfacimento di un bisogno primario, non solo sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, ma anche da un punto di vista oggettivo, essendo necessario che la cosa sottratta sia effettivamente destinata a soddisfare tale bisogno. La giurisprudenza di questa Corte, sopra ricordata, ha infatti ritenuto di dovere escludere la possibilita’ di fare degradare l’imputazione da furto comune a furto lieve in presenza di un generico stato di bisogno o di miseria del colpevole, ritenendosi invece necessaria una situazione di grave ed indilazionabile bisogno, alla quale non possa provvedersi se non sottraendo la cosa.

5. Nel caso in esame l’unico elemento dedotto dal ricorrente per sostenere la configurabilita’ del grave e urgente bisogno e’ il proprio stato di difficolta’ economica, desunto dalla ammissione al gratuito patrocinio, laddove non e’ stato neppure rappresentato che la sottrazione dei generi alimentari fosse riconducibile a una seria esigenza non piu’ procrastinabile. Difettano dunque i tratti costituitivi della fattispecie, consistenti appunto nella gravita’ del bisogno e nella sua indifferibilita’. Ne’ detta conclusione puo’ trarsi – come rappresenta il ricorrente nella sua doglianza – da elementi presuntivi quali la natura del bene appreso, di per se’ insufficiente a connotare i requisiti della fattispecie invocata.

6. Il secondo e terzo motivo, che per connessione logica possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati. Quanto alla recidiva, la pronuncia di primo grado, confermata in appello, da’ atto che l’imputato e’ gravato da molti precedenti specifici, tra cui una rapina in concorso. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, non vi e’ obbligo di specifica motivazione, in assenza di specifiche deduzioni difensive, per la decisione di aumento di pena per la recidiva facoltativa nei casi di cui all’articolo 99 c.p., commi 3 e 4, trattandosi di un aggravamento previsto dalla legge quale effetto delle condizioni soggettive dell’imputato. (Sez. 5 n. 711 del 19/11/2009 Rv. 245733). E’ stato anche chiarito che ai fini del giudizio di comparazione tra le circostanze attenuanti e la recidiva reiterata di cui all’articolo 99 c.p., comma 4, – la quale anche a seguito delle modifiche apportate dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, articolo 3 deve ritenersi facoltativa – e’ sufficiente che il giudice consideri gli elementi enunciati nell’articolo 133 c.p., essendo sottratta al sindacato di legittimita’ la motivazione se aderente ad elementi tratti dalle risultanze processuali e logicamente corretti (Sez. 2, n. 4969 del 12/01/2012, Rv. 251809).

7. Nella specie la Corte d’appello ha rilevato che i precedenti specifici – anche gravi – dell’imputato, tra cui la rapina in concorso, denotavano una personalita’ tale da giustificare l’applicazione della recidiva e del giudizio di equivalenza con le attenuanti; e che pertanto, in ragione della tipologia di personalita’ del reo (criterio di cui all’articolo 133 c.p.), la pena di mesi 5, determinata in misura maggiore rispetto al minimo edittale, si doveva ritenere adeguata. Giova in proposito rammentare che la valutazione dei vari elementi rilevanti ai fini della dosimetria della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio (se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’articolo 133 c.p., come nel caso di specie) e’ censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Cio’ che qui deve senz’altro escludersi (sez. 2, n. 45312 del 03/11/2015; sez. 4 n. 44815 del 23/10/2015).

8. Si impone dunque il rigetto del ricorso. Segue per legge la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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