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Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 15 gennaio 2015, n. 1829

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro Antonio – Presidente
Dott. FOTI Giacomo – Consigliere
Dott. D’ISA Claudio – Consigliere
Dott. DOVERE Salvatore – rel. Consigliere
Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1506/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del 01/07/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/10/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1.1. (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale e’ stata confermata la pronuncia di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Milano, che lo ha ritenuto colpevole del reato di guida in stato di ebbrezza articolo 186 C.d.S., comma 2, lettera b), aggravato dall’esser stato commesso tra le ore 22,00 e le ore 7,00. Si duole del diniego delle circostanze attenuanti generiche, per aver la Corte di Appello fatto leva sul ravvisato precedente penale, cosi’ violando il principio di diritto, formulato da Cass. n. 6724/1989, secondo il quale le dette circostanze possono essere negate sulla scorta di elementi positivi di giudizio ma non per la presenza di elementi negativi ed altresi’ omettendo di considerare gli elementi deponenti per la diminuente, rappresentati dalla collaborazione prestata dal (OMISSIS) agli operanti e l’immediata ammissione di aver bevuto una birra.
1.2. Con un secondo motivo censura il diniego di sostituzione della pena principale con quella del lavoro di pubblica utilita’, motivato sulla base della circostanza che il lavoro non poteva essere eseguito in un Comune di provincia diversa da quella in cui risiede l’imputato.
1.3. Con un terzo motivo si investono nuovamente di critica le statuizioni sopra rammentate, tuttavia articolata in relazione al vizio motivazionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso e’ parzialmente fondato.
2.1. Il primo motivo non puo’ trovare accoglimento. A fronte dell’evocazione fatta dal ricorrente di un remoto precedente giurisprudenziale (cosi’ massimato: “In tema di circostanze attenuanti, l’applicazione delle attenuanti generiche puo’ essere rifiutata per la assenza di elementi positivi di giudizio, ma non per la presenza di elementi negativi, specie se questi attengono al fatto-reato”: Sez. 6, n. 6724 del 01/02/1989, Ventura, Rv. 181253), vale rammentare che il consolidato indirizzo del giudice di legittimita’ insegna che nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non e’ necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 – dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244). Cio’ in quanto la ragion d’essere della previsione normativa recata dall’articolo 62 bis c.p., e’ quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piu’ favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si e’ reso responsabile. Ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non puo’ mai essere data per scontata o per presunta, si da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, e’ la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che cio’ comporti tuttavia la stretta necessita’ della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (in tali termini gia’ Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381).
Nel caso di specie la Corte di Appello ha ritenuto che il grave precedente penale non rendesse il (OMISSIS) meritevole di una pena piu’ lieve.
2.2. Il terzo motivo e’ inammissibile, siccome espresso in termini astratti, senza puntuale riferimento ai passi della motivazione che si reputano dimostrativi del lamentato vizio.
2.3. Per contro, risulta fondato il secondo motivo di ricorso. Secondo quanto disposto dall’articolo 186 C.d.S., comma 9, la pena detentiva e pecuniaria inflitta per i reati previsti dall’articolo 186 medesimo (escluso il caso di cui al comma 2 bis) puo’ essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi e’ opposizione da parte dell’imputato, con quella del lavoro di pubblica utilita’ di cui al Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, articolo 54, secondo le modalita’ ivi previste.
In particolare, per quel che qui occupa, il menzionato articolo 54, comma 3, dispone che l’attivita’ venga svolta nell’ambito della provincia in cui risiede il condannato.
Orbene, la lettura integrata delle due disposizioni appena richiamate rende manifesto che nell’apparato sanzionatorio previsto per il reato di guida in stato di ebbrezza il lavoro di pubblica utilita’ conosce alcune peculiari connotazioni rispetto all’istituto disciplinato dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 54, rappresentate dalla sufficienza della “non opposizione” dell’imputato (in luogo della richiesta del medesimo) e dalla durata edittale della pena del lavoro di pubblica utilita’ (ma non anche dal criterio di computo: Sez. 1, n. 64 del 17/10/2013 – dep. 02/01/2014, Pmt in proc. Piccone, Rv. 258391). Non vi e’ alcuna previsione di deroga, all’inverso, per quanto concerne la previsione dello svolgimento del lavoro di pubblica utilita’ in un comune della provincia di residenza dell’imputato.
Non ha quindi errato la Corte di Appello nel ritenere che la previsione normativa imponga la predetta relazione tra residenza del condannato e luogo di esecuzione della pena sostitutiva.
Tuttavia il diniego della sostituzione della pena e’ cio’ non di meno illegittimo poiche’ e’ stato ripetutamente affermato da questa Corte – sia pure con una certa oscillazione interpretativa (cfr. da ultimo Sez. 4, n. 30198 del 15/01/2013 – dep. 12/07/2013, Demaria, Rv. 257738) – che non grava sull’imputato l’onere di definire le modalita’ di esecuzione della misura, essendo tale compito demandato al giudice (ex multis, Sez. 4, n. 12926 del 11/10/2012 – dep. 20/03/2013, Di Benedetto, Rv. 255523). Principio che appare meritevole di conferma anche in questa sede, perche’ la sostituzione della pena risponde alla necessita’ costituzionalmente imposta di individualizzazione della pena; e quando sia stata ritenuta la adeguatezza funzionale della pena sostitutiva non puo’ essere d’ostacolo alla sua esecuzione l’insufficiente iniziativa dell’imputato, peraltro neppure prevista dalla normativa.
Si deve quindi formulare il seguente principio di diritto: “In tema di reati di guida in stato di ebbrezza, la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilita’ deve essere eseguita in un Comune della Provincia di residenza del condannato; cio’ non di meno, ove questi abbia fatto la richiesta di sostituzione della pena principale indicando il luogo di esecuzione del lavoro di pubblica utilita’ in contrasto con quanto previsto dalla legge, la sostituzione della pena non puo’ essere negata, dovendo il giudice definire le modalita’ di esecuzione della sanzione sostitutiva”.
Pertanto, non avendo la Corte di Appello ritenuto che la pena sostitutiva fosse inadeguata a realizzare gli scopi che l’ordinamento assegna al trattamento sanzionatorio, essa non avrebbe potuto negare la sostituzione perche’ era stata prospettata una prestazione avente modalita’ di esecuzione difformi da quelle previste dalla legge ma avrebbe dovuto assumere le iniziative necessarie a rendere concretamente eseguibile la sanzione sostitutiva.
3. Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla statuizione concernente il lavoro di pubblica utilita’, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per l’ulteriore corso.
Visto l’articolo 624 c.p.p., va dichiarata l’irrevocabilita’ della sentenza in ordine all’affermazione di responsabilita’ dell’imputato.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione concernente il lavoro di pubblica utilita’, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per l’ulteriore corso; visto l’articolo 624 c.p.p., va dichiarata l’irrevocabilita’ dell’affermazione della responsabilita’ penale dell’imputato

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