Cassazione 12

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 25 febbraio 2016, n. 7787

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROMIS Vincenzo – Presidente

Dott. D’ISA Claudio – rel. Consigliere

Dott. IZZO Fausto – Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

Nei confronti di:

(OMISSIS) n. il (OMISSIS);

e dello stesso (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 1/2013 della Corte d’appello di Catania del 24.04.2014;

Visti gli atti, l’ordinanza ed i ricorsi;

Udita all’udienza camerale del 4 NOVEMBRE 2015 la relazione fatta dal Consigliere dott. Claudio D’Isa;

Lette le conclusioni del Procuratore Generale nella persona della dott.ssa Paola Mastroberardino che ha concluso per l’accoglimento del ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze ed altresi’ il ricorso di (OMISSIS) con rinvio alla Corte territorialmente competente.

RITENUTO IN FATTO

1. Il MINISETRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE ricorre per cassazione avverso l’ordinanza, indicata in epigrafe, con cui la Corte d’appello di Catanzaro ha accolto le domande di riparazione per l’ingiusta detenzione e dell’errore giudiziario proposte da (OMISSIS) liquidando, per la prima, la somma di euro 516.456,90 e, per la seconda, la somma di euro 300.00,00, oltre interessi e rivalutazione dalla domanda al soddisfo.

1.1 Con il primo motivo il ricorrente Ministero denuncia violazione di legge nell’applicazione degli articoli 314 e 315 codice procedura penale, in quanto la Corte territoriale avrebbe raddoppiato l’indennizzo dell’ingiusta detenzione in assenza di una motivazione, che, tenuto conto dell’elevatissimo discostamento dal massimo di indennizzo liquidabile, desse adeguatamente conto delle ragioni della decisione; piu’ specificamente, il ricorrente rileva che la Corte etnea avrebbe basato la quantificazione sul pregiudizio dell’isolamento carcerario e sulle sevizie patite al momento dell’arresto, sebbene queste ultime nulla abbiano a che fare con il fatto dell’ingiusta detenzione, essendo imputabili solo a soggetti che le hanno commesse.

1.2 Con il secondo motivo si denuncia la mancanza e la contraddittorieta’ della motivazione nella determinazione dell’indennizzo per la riparazione dell’errore giudiziario, laddove la decisione impugnata, in violazione dell’articolo 643 codice procedura penale – che impone di considerare solo le conseguenze personali e familiari dell’erronea condanna – ha riconosciuto la somma di euro 300.000,00 a titolo di danni patrimoniali patiti a causa e durante la latitanza in Brasile, pur in assenza di prova sia sull’an che nel quantum da parte del (OMISSIS) con specifico riferimento all’indigenza asseritamente patita in Brasile durante la latitanza.

2. Avverso la medesima ordinanza propone ricorso il (OMISSIS) denunciando, con il primo motivo, l’erronea e falsa applicazione, in relazione all’articolo 24 Cost. ed agli articoli 314 e 643 codice procedura penale, nonche’ in relazione all’articolo 3 protocollo 7 aggiuntivo alla Convenzione EDU ed articolo 9 patto internazionale dei diritti civili e politici, laddove essa ha escluso che i danni non patrimoniali richiesti siano collegabili eziologicamente all’errore giudiziario, avendo, invece, ritenuto che essi fossero conseguenti all’ingiusta detenzione patita poiche’ il ricorrente non aveva provato che le conseguenze pregiudizievoli sulla salute derivassero dalla erronea sentenza di condanna; inoltre, laddove essa, quanto ai danni patrimoniali, ha ritenuto non provato da parte del richiedente che, durante la latitanza in Brasile, paese in grande espansione economica, egli avrebbe guadagnato una retribuzione inferiore rispetto a quella che avrebbe guadagnato in Italia, ritenendo piuttosto che egli abbia in quel Paese “migliorato le proprie attivita’ lavorative e ricreative”.

2.1 Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione per avere la Corte distrettuale utilizzato un criterio meramente equitativo nella liquidazione del danno non patrimoniale, in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale piu’ recente che, ravvisando una componente anche risarcitoria di cui all’articolo 643 codice procedura penale, consente al giudice di utilizzare sia il criterio equitativo che quello risarcitorio nella liquidazione dei danni, patrimoniali e non; altra censura ha ad oggetto la mancata considerazione di tutte le voci di danno allegate, anche in tal caso in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale che tende ad assicurare il ristoro integrale del danno sofferto; ed ancora, laddove il giudice non ha inteso disporre apposita perizia per verificare la sussistenza dei danni allegati accertati e descritti dalle relazioni peritali di parte prodotte in atti, e segnatamente del danno biologico.

2.2 Con il terzo motivo si denuncia altra violazione di legge nella specie dell’articolo 112 codice procedura civile, per non aver dato una risposta a tutte le domande, e, precisamente, alla domanda risarcitoria del danno biologico, danno morale soggettivo, danno esistenziale, danno da ingiusta detenzione e danno per il periodo di obbligo di soggiorno, pervenendo, in tal modo, ad un indennizzo unitario del danno patrimoniale.

2.3 Con l’ultimo motivo, il (OMISSIS) denuncia altra violazione di legge ed altro vizio di motivazione laddove l’ordinanza impugnata ha negato l’avvenuta dimostrazione del danno patrimoniale, offerta dal ricorrente attraverso le relazioni di consulenza in atti, richiedendo al ricorrente una prova indimostrabile di “come si sarebbe svolta la sua vita se fosse rimasto in Italia”.

3. Con propria requisitoria scritta il Procuratore Generale chiede accogliersi entrambi i ricorsi, ovviamente sotto diversi profili.

3.1 Quanto al ricorso del Ministero e, segnatamente, in ordine al primo motivo, osserva che le affermazioni contenute nell’ordinanza impugnata circa l’origine eziologia del danno non patrimoniale, risultano, in effetti, apodittiche: la Corte territoriale ha affermato che e’ stata l’ingiusta detenzione a provocare “per certo i disturbi psichici descritti dai medici legali, non essendo per vero la firma di un giudice su una sentenza di condanna in grado di provocare un nocumento alla salute…”. Si evidenza che tale convincimento non e’ suffragato da emergenze probatorie specifiche, ma e’ basato su di una scienza privata inidonea a giustificare la statuizione; il giudice non ha escluso il verificarsi del danno alla salute come assertivamente documentato (ne’ del danno morale soggettivo, del danno esistenziale, del danno per l’ulteriore limitazione della liberta’ personale per l’obbligo di soggiorno in Brasile) ma gli ha mutato illegittimamente la ragione causale dedotta. Tali considerazioni per il Procuratore generale si ripercuotono sulla liquidazione operata laddove, come afferma la costante giurisprudenza di legittimita’ (anche SS.UU. n. 24287 del 2001) circa l’obbligo di motivazione nel caso in cui la liquidazione dell’indennizzo per la riparazione dell’ingiusta detenzione – sebbene svincolata da parametri aritmetici e comunque da altri criteri rigidi, e basata su di una valutazione equitativa che tenga globalmente conto, non solo della durata della custodia cautelare, ma anche delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della liberta’ – si discosti dal parametro aritmetico, empiricamente adottato dalla giurisprudenza, quale punto di riferimento della liquidazione, attesa la impossibilita’ di superare la somma massima riconoscibile (tetto massimo). Si aggiunge, sempre traendo insegnamento dalla giurisprudenza di legittimita’, che il giudizio di equita’ non puo’ risolversi nel “merum arbitrium”, ma dovendo invece essere sorretto da una giustificazione adeguata e logicamente congrua. Nel caso di specie la Corte, nel ricondurre indistintamente tutti i pregiudizi non patrimoniali sofferti alla detenzione cautelare e nel determinare il quantum fino al tetto massimo, non ha adeguatamente giustificato la liquidazione operata siccome non ha individuato i danni riconducibili effettivamente alla detta causa.

Per il requirente anche il secondo motivo del ricorso del Ministero e’ fondato. Si argomenta che in modo del tutto contraddittorio la Corte territoriale ha dapprima escluso che il ricorrente avesse dimostrato di aver patito un danno patrimoniale in conseguenza dell’errore giudiziario, e poi, smentendo se stessa, ha determinato equitativamente il danno medesimo in misura pari al triplo della pensione sociale.

3.2 In riferimento al ricorso del (OMISSIS) il Procuratore Generale ritiene fondati il primo e terzo motivo, intimamente connessi. In ordine al danno non patrimoniale si osserva che erroneamente l’ordinanza impugnata ha modificato i termini della domanda articolata dall’istante agganciando il danno non patrimoniale ad un’altra causa (l’ingiusta detenzione) e liquidandolo per tale diversa via. Dal ricorso proposto dal richiedente, invece, sembrerebbero trarsi elementi concreti dai quali arguire la sussistenza del danno morale e del danno esistenziale, danni che appaiono prodotti in conseguenza della latitanza in Brasile cui fu costretto il (OMISSIS) per sfuggire all’esecuzione di un’erronea condanna emessa nei suoi confronti, poi annullata a seguito di revisione del giudizio.

Sui criteri di liquidazione del danno, oggetto del secondo motivo, si rileva che la quantificazione equitativa del danno non patrimoniale non e’ di per se lesiva dei principi che presiedono alla liquidazione del danno da errore giudiziario tutte le volte in cui non risultino acquisiti elementi per una quantificazione esatta.

Ritiene infondata la censura oggetto del quarto motivo inerente il danno patrimoniale, si evidenzia che con l’ordinanza impugnata la Corte ha ritenuto indimostrato sia che la societa’ presso cui il (OMISSIS) prestava lavoro subordinato fosse ancora esistente alla data della sentenza di revisione, sia il tipo di contratto di lavoro a suo tempo stipulato on la societa’. Ha poi liquidato egualmente il danno quantificandolo nel triplo della pensione sociale. Il ricorrente si duole per la quantificazione operata, ma non riproduce i passaggi essenziali della consulenza contabile depositata, sicche’, per il requirente, non e’ dato conoscere nel dettaglio come abbia giustificato la richiesta risarcitoria.

4. Con memoria depositata nei termini, il (OMISSIS), in risposta alle osservazioni del Procuratore generale, rileva, quanto alla richiesta di rigetto del quarto motivo del suo ricorso, riguardante il danno patrimoniale, che proprio il richiamo all’articolo 115 codice procedura civile disvela l’errore di diritto in cui e’ caduto il requirente: l’articolo richiamato dispone espressamente che “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonche’ i fatti non specificamente non contestati dalla parte costituita. Il giudice puo’, tuttavia, senza bisogna di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza. E, dunque, la Corte non avrebbe potuto ritenere non provato il danno patrimoniale subito dall’istante, avuto riguardo al fatto che egli ha introdotto nel giudizio di merito una propria perizia, le cui conclusioni non sono state oggetto di specifica contestazione da parte del P.G. d’udienza e da parte della difesa erariale. In sostanza, si afferma, proprio nel solco del dato normativo di cui all’articolo 115 codice procedura civile, richiamato nell’ordinanza impugnata, in assenza di specifica contestazione della prova fornita dal ricorrente, a corredo della richiesta risarcitoria, la Corte territoriale doveva ritenere provati i fatti in essa esposti. Per altro la Corte territoriale ha apprezzato il contenuto della perizia di parte a corredo della domanda risarcitoria (V. pag. 7) ove si fa riferimento all’attivita’ lavorativa prestata dal richiedente per conto della Societa’ (OMISSIS) s.p.a., e pur tuttavia,l’ordinanza ha ritenuto non provata l’esistenza di detta societa’ dal momento del giudicato di condanna fino alla revisione. E’ illogico per il ricorrente l’affermazione della Corte secondo cui il ricorrente avrebbe dovuto provare la persistente esistenza della societa’ fino al momento della pronuncia dell’assoluzione in sede i revisione. La perizia, infatti, ha capitalizzato il “lucro cessante” – quello esistente al momento del giudicato di condanna al quale giustamente il (OMISSIS) si e’ sottratto rendendosi latitante – per il numero degli anni in cui al medesimo e’ stata sottratta la possibilita’ di sviluppare la propria attivita’ professionale.

Si evidenzia che gia’ questa Corte di legittimita’, con la sentenza n. 22444/15, emessa nell’ambito del procedimento analogo intrapreso dal coimputato (OMISSIS), anch’egli assolto in sede di revisione dai medesimi reati, supera l’eccezione avanzata dal Procuratore Generale requirente in ordine al mancato assolvimento della prova da parte del ricorrente, laddove si e’ affermato che l’istituto della riparazione dell’errore giudiziario e’ legato alla figura dell’atto lecito dannoso; cio’ comporta che il giudice e’ costretto ad utilizzare prevalentemente criteri equitativi per la liquidazione dell’indennizzo, pur non escludendosi la possibilita’ di utilizzare i criteri normativi previsti per il risarcimento del danno. La riparazione non ha natura risarcitoria ma configura un equo indennizzo che lo Stato si accolla per ragioni di solidarieta’ civile e, come tale, prescinde da rigorose prove del danno subito, restando affidata ad una liquidazione equitativa.

La illogicita’ dell’ordinanza impugnata per il ricorrente e’ palese laddove la Corte territoriale, ritenendo non provato il quantum del danno cosi’ come esposto dal perito di parte, ha poi utilizzato il criterio del triplo della pensione sociale a decorrere dall’1.01.1992 (momento della condanna) fino al 31.01.2013. Si tratta di due categorie ontologicamente diverse: da un lato l’assegno sociale che istituzionalmente e’ destinato al soggetto privo di capacita’ lavorativa e, dall’altro, la capacita’ lavorativa e, dunque, la capacita’ di reddito della quale il ricorrente ha fornito la prova. L’ordinanza impugnata ha sostituito alla valorizzazione della capacita’ di reddito del ricorrente e quindi alla capitalizzazione di essa nel tempo, un valore che ontologicamente rimane estraneo alla capacita’ lavorativa.

Si criticano inoltre le ragioni esposte dal procuratore generale requirente in ordine all’accoglimento dei motivi posti a base del ricorso del Ministero in quanto non conformi alla giurisprudenza di legittimita’.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso del MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE va rigettato, quello del (OMISSIS)Gaetano (OMISSIS) va accolto nei limiti che di seguito si preciseranno.

Innanzitutto, in ragione del fatto che la richiesta di indennizzo del (OMISSIS) verte su due fronti, e’ necessario precisare gli ambiti di applicazione dei due istituti di riparazione: quello per l’ingiusta detenzione e quello per l’errore giudiziario, collegati sia sul piano sostanziale che procedurale dal richiamo di cui all’articolo 315 codice procedura penale, comma 3 si e’, infatti, sempre affermato che entrambi gli istituti non hanno natura di risarcimento del danno, ma di semplice indennita’ o indennizzo in base a principi di solidarieta’ sociale per chi sia stato ingiustamente privato della liberta’ personale o ingiustamente condannato. L’origine solidaristica della previsione dei due casi di riparazione non esclude pero’ che ci si trovi in presenza di diritti soggettivi qualificabili di diritto pubblico cui si contrappone, specularmente, un’obbligazione dello Stato da qualificare parimenti di diritto pubblico.

Il criterio seguito dalla legge e diretto ad escludere una tutela obbligata di tipo risarcitorio risponde ad una precisa finalita’ : se il legislatore avesse costruito la riparazione dell’errore giudiziario, o dell’ingiusta detenzione, come risarcimento dei danni avrebbe dovuto richiedere, per coerenza sistematica, che il danneggiato fornisse non solo la dimostrazione dell’esistenza dell’elemento soggettivo, fondante la responsabilita’ per colpa o per dolo, nelle persone che hanno agito ma anche la prova dell’entita’ dei danni subiti. Cio’ si sarebbe peraltro posto in un quadro di conflitto con l’esigenza (fondata non solo su una precisa disposizione della nostra Costituzione – articolo 24, comma 4 – ma anche sull’articolo 5, comma 5 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e sull’articolo 9, n. 5 del Patto internazionale dei diritti civili e politici) di garantire un adeguato ristoro a chi sia stato comunque ingiustamente condannato o privato della liberta’ personale senza costringerlo a defatiganti controversie sull’esistenza dell’elemento soggettivo di chi aveva agito e sulla determinazione dei danni.

E’ stato altresi’ affermato che la riparazione per l’errore giudiziario o per l’ingiusta detenzione rientrano in quei casi in cui il pregiudizio deriva da una condotta conforme all’ordinamento che pero’ ha prodotto un danno che deve comunque essere riparato, per la quale si e’ fatto ricorso alla figura dell’atto lecito dannoso: l’atto e’ stato infatti emesso nell’esercizio di un’attivita’ legittima (e doverosa) da parte degli organi dello Stato anche se, in tempi successivi, ne e’ stata dimostrata l’erroneita’ o l’ingiustizia (non l’illegittimita’ ma).

Il caso che viene all’esame del Collegio e’ caratterizzato dalla peculiarita’ che la privazione della liberta’ personale e’ dipesa unicamente dalla custodia cautelare, riferibile, quindi all’istituto di cui all’articolo 314 codice procedura penale, mentre la richiesta di riparazione per errore giudiziario si riferisce alle conseguenze personali e familiari patite in ragione dell’ingiusta condanna. Ed e’, quindi, con riguardo a tale diversificazione che e’ necessario esaminare le censure mosse da entrambi i ricorrenti alla impugnata ordinanza, tenendo conto dei danni liquidabili in relazione ai due istituti, essenzialmente identici (danno patrimoniale e non patrimoniale), ma che e’ necessario individuare per ognuno di essi.

5.1 Sottoponendo allo scrutinio di legittimita’ per prima il ricorso del MINISTERO, quanto al primo motivo se ne rileva l’infondatezza.

Invero, il ricorrente prende le mosse da un presupposto del tutto errato laddove ritiene che la Corte avrebbe basato la quantificazione del pregiudizio, oltre che sull’isolamento carcerario, anche sulle sevizie patite al momento dell’arresto, sebbene queste ultime nulla abbiano a che fare con il fatto dell’ingiusta detenzione, essendo imputabili solo ai soggetti che le hanno commesse. In sostanza, si disancora dall’ingiusta detenzione il periodo di tempo di privazione della liberta’ del (OMISSIS) relativo all’arresto operato dalla P.G., dimenticando che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 109/1999, nel dichiarare costituzionalmente illegittimo l’articolo 314 codice procedura penale, comma 3 “nella parte in cui non prevede che chi e’ stato prosciolto con sentenza irrevocabile….ha diritto a un’equa riparazione per la detenzione subita a causa di arresto in flagranza o di fermo di indiziato…” ha equiparato la posizione precautelare (arresto e/o fermo) a quella cautelare, precisando che, conformemente a quanto statuito con sentenza 310/1996, trattando della detenzione ingiusta patita a seguito di ordine di esecuzione illegittimo, il principio affermato all’articolo 2 del punto 100 della legge di delegazione n. 81 del 1987 della riforma al codice di rito penale, nel prevedere che il nuovo codice si debba adeguare alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale, depone nel senso della non discriminazione tra le diverse cause di restrizione della liberta’ personale, giacche’ proprio la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, ratificata dall’Italia con Legge n. 848 del 1958, prevede espressamente, all’articolo 5, il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta.

E’ del tutto evidente, quindi, che, al di la’ della responsabilita’ di singole persone (nel caso di specie i Carabinieri che arrestarono l’istante e lo sottoposero a tortura pur di ottenere la confessione), ancorche’ dipendenti dello Stato e verso i quali quest’ultimo puo’ esercitare un’azione civile autonoma ex articolo 1203 codice civile, per le torture fisiche (ingestione forzata di acqua e sale e scariche elettriche ai genitali) e vessazioni morali (confessione forzata) inflitte al (OMISSIS) nel corso della detenzione precautelare, correttamente sono state tenute in conto dalla Corte territoriale con riferimento alle conseguenze personali derivanti dalla ingiusta privazione della liberta’.

Non si condivide l’argomentare del Procuratore Generale secondo cui la Corte calabra non ha adeguatamente giustificato la liquidazione operata siccome non ha individuato i danni riconducibili effettivamente alla causa dell’ingiusta detenzione.

La censura non intacca la tenuta logica della motivazione sul punto della impugnata ordinanza non ravvisandosi vizi, apparendo corretta dal punto di vista logico-giuridico, anche sotto il profilo propriamente quantitativo, e non essendo in alcun punto il percorso motivazionale contrastante con considerazioni di buon senso, in materia cosi’ delicata.

Ritiene, invero, il Collegio che la Corte della riparazione non sia venuta meno al suo obbligo motivazionale, con riferimento ai principi giurisprudenziali affermati da questa Corte (S.U. sentenza n. 1/1995; S.U. sentenza n. 24287/2001; Sez. 4, Sentenza n. 40906 del 06/10/2009 Cc., Rv. 245369) e richiamati sia dal MINISTERO ricorrente che dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, laddove ha ritenuto di quantificare nel massimo liquidabile di euro 516.456,90, la somma dell’indennizzo, ottenuta con il calcolo aritmetico in funzione dei giorni di carcerazione patita moltiplicati per il valore (Euro 235,82) di un singolo giorno di detenzione, valorizzando a tal fine, oltre alle afflizioni fisiche e morali della predetenzione di cui si e’ parlato, anche quella particolare dovuta alla carcerazione cautelare per ottocentosessantotto giorni in cella di isolamento, quando era ancora minore e per di piu’ in un carcere per adulti, e per ulteriori centosessantuno di carcerazione giorni da adulto, oltre al periodo di obbligo di soggiorno in un luogo distante 300 Km dal paese di residenza venendo, cosi’, scollegato dagli affetti familiari.

Dunque, la Corte di Catanzaro si e’ uniformata al principio gia’ richiamato ed affermato da questa Corte secondo cui a liquidazione dell’indennizzo per la riparazione dell’ingiusta detenzione e’ svincolata da parametri aritmetici o comunque da criteri rigidi, e si deve basare su una valutazione equitativa che tenga globalmente conto non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della liberta’. L’applicazione in concreto dei criteri predetti non viola i principi di ragionevole adeguatezza che devono ispirare la delibazione equitativa del giudice della riparazione, donde, in definitiva, il provvedimento impugnato si sottrae alle critiche mosse dal Ministero, secondo il quale, invece, nell’importo indennitario giornaliero (di euro 235,82 per la custodia in carcere e di euro 117,91 per gli arresti domiciliari) sarebbe contenuta ogni possibile voce di pregiudizio, con esclusione quindi della possibilita’ di considerare ulteriori e specifiche conseguenze della detenzione.

La riferita interpretazione, data dal Ministero al disposto di cui all’articolo 315 codice procedura penale, e’ basata sulla diversita’ degli istituti della riparazione dell’errore giudiziario e della riparazione per ingiusta detenzione e, soprattutto, sulla peculiarita’ del limite indennitario (Euro 516.456,90) a cui sottosta’ solo la riparazione per ingiusta detenzione. Detto limite indennitario, secondo il Ministero, si risolverebbe, qualora sia consentita la liquidazione aggiuntiva di somme per conseguenze personali e familiari, in un trattamento meno favorevole per i soggetti che subiscono una restrizione piu’ lunga, in quanto, man mano che si allunga la durata della custodia cautelare, andrebbe diminuendo, fino ad annullarsi in corrispondenza della durata massima, il quantum dell’indennizzo liquidabile per le predette voci aggiuntive: il che contrasterebbe con gli articoli 3 e 24 Cost..

5.2 I secondo motivo posto a base del ricorso del MINISTERO va esaminato congiuntamente al quarto motivo del ricorso del (OMISSIS) riguardando entrambi la liquidazione del danno patrimoniale ed essendo evidente che la fondatezza dell’uno comporta l’infondatezza dell’altro.

6. Ritenuto infondato il primo motivo posto a base del ricorso del MINISTERO e’ evidente che la statuizione relativa all’indennizzo per ingiusta detenzione assume carattere definitivo, atteso che il ricorso del (OMISSIS) (e per altro non poteva essere diversamente atteso che e’ stata liquidata la somma massima prevista per l’ingiusta detenzione) ha ad oggetto censure tutte riferibili alla riparazione per errore giudiziario.

Il primo e terzo motivo, strettamente connessi, del ricorso del (OMISSIS) sono fondati.

Correttamente, per quanto sopra argomentato, l’indennizzo per ingiusta detenzione, come liquidato dalla Corte territoriale, comprende anche il danno biologico, nell’ambito del danno non patrimoniale; appare, invece, del tutto assertiva la motivazione dell’impugnata ordinanza con riferimento al richiesto danno biologico derivante dall’ingiusta condanna, laddove si e’ affermato che solo l’ingiusta detenzione ha provocato i disturbi psichici descritti dai medici legali non essendo per certo che “….la firma di un giudice su una sentenza di condanna..” sia in grado di provocare un nocumento alla salute….”insomma il fatto scatenante il danno biologico e’, sia logicamente che temporalmente, legato alla carcerazione preventiva e certamente non al fatto che il richiedente abbia abbandonato l’Italia per andare in Brasile, dopo avere appreso di essere stato condannato definitivamente…”.

Il Collegio sul punto ritiene di non discostarsi dalla giurisprudenza di questa stessa sezione (Sez. 4, Sentenza n. 22688 del 18/03/2009 Cc. Rv. 243990) con cui si e’ affermato che, se e’ vero che le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con la sentenza n. 26972 dell’11.11.2008 hanno, tra l’altro, statuito che non e’ ammissibile nel nostro ordinamento la concepibilita’ d’un danno definito “esistenziale”, inteso quale la perdita del fare areddituale della persona, costituendo una simile perdita, ove causata da un fatto illecito lesivo di un diritto della persona costituzionalmente garantito, ne’ piu’ ne’ meno che un ordinario danno non patrimoniale, di per se’ risarcibile ex articolo 2059 codice civile, e che non puo’ essere liquidato separatamente sol perche’ diversamente denominato, non e’ men vero che non puo’ non tenersi conto nella liquidazione del danno non patrimoniale, nella sua globalita’, di tutte le peculiari sfaccettature di cui si compone nel caso concreto, quali: l’interruzione delle attivita’ lavorative e di quelle ricreative, l’interruzione dei rapporti affettivi e di quelli interpersonali, il mutamento radicale peggiorativo e non voluto delle abitudini di vita, nel caso di specie addirittura emigrando in un Paese sconosciuto lontano diverse migliaia di chilometri dal suo luogo abituale di residenza ove svolgeva regolare e retribuita attivita’ lavorativa.

Non si comprende per quale motivo, a distanza di tempo della carcerazione preventiva e dopo la sentenza definitiva “ingiusta” di condanna il ricorrente non abbia potuto subire un danno psicologico.

Non si condivide l’apodittica asserzione della Corte, avendo il ricorrente adempiuto all’onere di allegazione della prova sull’esistenza e sull’entita’ del danno di cui trattasi, offrendo al giudice della riparazione quantomeno un principio di prova della causa dei danni e della dimensione economica di essi derivanti dall’ingiusta condanna che ha costretto il (OMISSIS) a comportamenti che mai avrebbe posto in essere se fosse stato assolto.

Su tale punto non puo’ non condividersi quanto argomentato da questa Corte, stessa sezione, nella motivazione della sentenza n. 22444/15, richiamata dal ricorrente, ed emessa all’esito di analogo giudizio promosso dal (OMISSIS), anch’egli assolto dal medesimo fatto a seguito dello stesso giudizio di revisione.

L’articolo 643 codice procedura penale, comma 1, fa espresso riferimento all’errore giudiziario (che si concretizza nell’ingiusta condanna) e alle conseguenze (personali e familiari) della “condanna”.

Oltre che dei pregiudizi derivanti dalla custodia cautelare sofferta, pertanto, il giudice deve tener conto di pregiudizi riconducibili al processo penale promosso nei confronti dell’istante e non soltanto di quelli riferibili alla ingiusta condanna.

Ed il giudice e’ tenuto a risarcire, ricorrendone le condizioni, oltre i danni patrimoniali, anche il danno biologico, quello morale nonche’ il danno esistenziale, trattandosi di differenti ed autonome categorie, tutte ricomprese nel danno non patrimoniale (v. sentenza Barilla’, rv. 227671).

Alla luce di tale principio, e’ ingiustamente limitativo il principio affermato dalla Corte territoriale secondo cui l’unico danno biologico liquidabile e’ quello collegabile al periodo di ingiusta detenzione.

Proprio con riferimento alla nozione di danno biologico, frutto innanzitutto di elaborazioni giurisprudenziali, e’ stato chiarito che lo stesso e’ costituito dalla compromissione dell’integrita’ psicofisica della persona alla quale si accompagni una perdita o riduzione di funzioni vitali, anche non definitiva (v. la citata sentenza Barilla’).

Ed e’ stato ulteriormente precisato che il danno biologico non deve necessariamente essere liquidato mediante applicazione del criterio tabellare adottato dalla giurisprudenza civile, dovendosi ritenere che la natura non patrimoniale di questo tipo di danno consenta di ricorrere anche a criteri equitativi, purche’ essi non risultino illogici e conducano ad un risultato che non si discosti in modo irragionevole e immotivato dai menzionati parametri tabellari (v. da ultimo Sezione 4, 23 maggio 2013, Li Calsi, rv. 256828).

Il giudice del rinvio dovra’ quindi uniformarsi a tale principio di diritto verificando l’esistenza di un danno biologico diverso ed ulteriore rispetto a quello riconducibile alla ingiusta detenzione, gia’ oggetto di liquidazione anche facendo ricorso alla relazione della consulenza di parte depositata in atti.

6.2 Anche il secondo e quarto motivo possono essere analizzati contestualmente, riguardanti essi la liquidazione del danno patrimoniale.

Un inconveniente del sistema riparatorio, come sopra delineato (V. par. 5) e’ costituito dalla necessita’ di utilizzare, prevalentemente, se non esclusivamente, criteri equitativi per la liquidazione dell’indennizzo. Il giudice, per limitare il margine di discrezionalita’, ineliminabile in questa forma di liquidazione, puo’ soltanto utilizzare parametri, non previsti normativamente, che valgano a rendere razionali, trasparenti e non casuali i criteri utilizzati. Si tratta quindi di verificare, in questa ottica, se possano essere utilizzati per la liquidazione dell’indennizzo anche criteri normativi previsti per la liquidazione del danno.

La necessita’ di utilizzare criteri equitativi non e’ esclusa, nel caso della riparazione dell’errore giudiziario, dall’eliminazione dell’aggettivo “equa” che qualificava la riparazione e che piu’ non compare nell’articolo 643 codice procedura penale, comma 1 a differenza di quanto previsto dall’articolo 571 dell’abrogato codice di rito e dal vigente articolo 314 in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione. Dottrina e giurisprudenza sono infatti concordi nel ritenere che il mancato espresso richiamo all’equita’ sia privo di concreta rilevanza, come confermato anche dalla relazione al progetto preliminare del codice, essendo ineliminabile l’uso di criteri equitativi per determinare in concreto, con la successiva traduzione in termini monetari, le conseguenze dell’ingiusta condanna.

Il mancato richiamo all’equita’ da parte dell’articolo 643 puo’ pero’ consentire di affermare che non e’ inibito al giudice della riparazione fare riferimento anche a criteri di natura risarcitoria che possono validamente contribuire a restringere i margini di discrezionalita’ inevitabilmente esistenti nella liquidazione di tipo esclusivamente equitativo. E infatti in dottrina si e’ affermato che “attraverso la procedura di riparazione dell’errore giudiziario, la vittima puo’ in definitiva ottenere la liquidazione dei danni provocati dall’ingiusta condanna”. Piu’ di un autore, d’altra parte, ha ravvisato nella riparazione per l’errore giudiziario una componente indennitaria e una risarcitoria, quasi si trattasse di un tertium genus rispetto alle due forme di ristoro.

E dunque, in tema di riparazione dell’errore giudiziario, il giudice nel procedimento di liquidazione del danno puo’ utilizzare sia il criterio, risarcitorio, con riferimento ai danni patrimoniali e non patrimoniali, sia il criterio equitativo, limitandolo alle voci non esattamente quantificabili.

Alla stregua dei principi esposti, su questo punto, non coglie nel segno il ricorrente laddove ha ritenuto che la Corte Catanzarese in sostanza non ha applicato i su esposti principi giurisprudenziali, negando la possibilita’ di ricorrere anche a criteri risarcitori e non solo a quelli dell’equita’. Infatti la Corte sul punto della liquidazione del danno patrimoniale da errore giudiziario ha motivato che, in assenza di riscontri diretti dai quali desumere gli elementi suddetti (e, percio’ del possibile ricorso alla prova presuntiva) la liquidazione del danno patrimoniale non puo’ che avvenire in via equitativa facendo ricorso al triplo della pensione sociale da corrispondersi al (OMISSIS) anno per anno dal 1992 al 31 maggio 2013.

Dunque e’ necessario verificare la tenuta motivazionale della ordinanza impugnata sul punto della risarcibilita’ del danno patrimoniale solo con criteri equitativi.

La censura e’ fondata.

Non compete certamente al giudice di legittimita’ rivalutare gli elementi di giudizio presi in considerazione dai giudici di merito. In questa sede e’ solo possibile verificare la manifesta illogicita’ della motivazione o la carenza della stessa, come nel caso in esame, non solo perche’ il ricorrente ha fornito elementi di prova (o quanto meno principi di prova, quali perizie di parte che individuano l’an e la fonte del pregiudizio sofferto) del danno patrimoniale subito dalla sentenza di condanna, quanto per la apoditticita’ di alcune affermazione poste a base del ragionamento con cui si e’ negato un danno calcolato con criteri risarcitori.

La Corte ha evidenziato unicamente quali elementi posti a base della richiesta del danno patrimoniale la mancanza di prova che la Societa’ (OMISSIS) S.p.a sia esistita dall’i gennaio 1992 – momento della fuga del (OMISSIS) in Brasile – sino al 31 maggio 2013 – data del giudicato conseguente alla revisione; o che non e’ rimasto provato la natura del contratto di lavoro se a tempo determinato o indeterminato che legava il ricorrente al momento della fuga all’estero.

E’ stato affermato che il forzato trasferimento in Brasile abbia “….migliorato le sue attivita’ lavorative e ricreative, i rapporti affettivi e gli altri rapporti interpersonali….”senza tenere conto, come evidenzia il ricorrente, delle verosimili sofferenze che il (OMISSIS) ha dovuto subire, ovvero quelle di lasciare il proprio Paese, i propri affetti, le proprie cose, i propri amici e soprattutto un lavoro dignitoso e remunerato, per andare dall’altra parte del mondo non conoscendo la lingua, non avendo niente con se’, adattandosi ai lavori piu’ umili e vivendo della carita’ delle organizzazioni religiose italiane.

L’apoditticita’ dell’affermazione della Corte, condividendo il rilievo della difesa, la si rinviene proprio nel fatto che il trasferimento del ricorrente in Brasile non e’ stato volontario ma forzato: gia’ da sola tale circostanza inficia ex se tutto l’illogico ragionamento della Corte della riparazione.

Dunque, a fronte di una dettagliata richiesta, con precisi riferimenti ai danni alla capacita’ lavorativa subiti dal (OMISSIS), sia sotto il profilo del lucro cessante sia sotto quello del danno emergente, delle chances lavorative, il giudice si e’ limitato nella liquidazione a criteri equitativi privi di alcun oggettivo parametro di riferimento, sostanzialmente apodittici ed autoreerenziali.

Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto nei limiti sopra indicati con rinvio alla Corte di appello di Catania per nuovo esame relativamente alla liquidazione del danno non patrimoniale e di quello patrimoniale verificando la possibilita’ di far ricorso anche a criteri di liquidazione risarcitori.

Il Collegio ritiene, in ragione della complessita’ delle questioni in diritto affrontate di compensare le spese di questo giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Ministero dell’Economia e Finanze, che condanna al pagamento delle spese processuali.

In accoglimento del ricorso del (OMISSIS) annulla l’impugnata ordinanza e rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Catania.

Dichiara compensate tra le parti le spese per questo giudizio.

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