marijuana

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 30 giugno 2014, n. 28198

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROMIS Vincenzo – Presidente
Dott. MARINELLI Felicetta – rel. Consigliere
Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere
Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 15/2013 TRIBUNALE di NAPOLI, del 24/09/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI;
lette le conclusioni del PG Dott. VOLPE Giuseppe che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con trasmissione degli atti al Tribunale di Napoli-Nord.

RITENUTO IN FATTO

(OMISSIS), imputato in ordine al reato p.e p. dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, ricorre per cassazione contro la sentenza di applicazione concordata della pena in epigrafe indicata, con la quale veniva determinata la pena di anni uno,mesi quattro di reclusione ed euro 4.500,00 di multa per il delitto di coltivazione di una pianta di marijuana e di detenzione illecita di fogliame della medesima droga, deducendo violazione di legge e difetto di motivazione della medesima in ordine all’insussistenza di una delle “cause di non punibilita’” di cui all’articolo 129 c.p.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso sarebbe inammissibile, ex articolo 606 c.p.p., comma 3, perche’ proposto per motivi manifestamente infondati. Come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis Cass. S.U. 27 settembre 1995, Serafino), l’obbligo della motivazione della sentenza di applicazione concordata della pena va conformato alla particolare natura della medesima e deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorche’ succintamente, ovvero implicitamente, come nella fattispecie di cui e’ processo, di aver proceduto alla delibazione degli elementi positivi richiesti (la sussistenza dell’accordo delle parti, la corretta qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di eventuali circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la congruita’ della pena, la concedibilita’ della sospensione condizionale della pena ove la efficacia della richiesta sia ad essa subordinata) e di quelli negativi (che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129 c.p.p.).

In particolare, il giudizio negativo in ordine alla ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’articolo 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilita’, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione, anche implicita, che e’ stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per una pronuncia di proscioglimento ai sensi della disposizione citata.

Nel procedimento speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudice decide, invero, sulla base degli atti assunti ed e’ tenuto, pertanto, a valutare se sussistano le anzidette cause di proscioglimento soltanto se le stesse preesistano alla richiesta e siano desumibili dagli atti medesimi.

Non e’ consentito, dunque, all’imputato, dopo l’intervenuto e ratificato accordo, proporre questioni in ordine alla mancata applicazione dell’articolo 129 c.p.p., senza precisare per quali specifiche ragioni detta disposizione avrebbe dovuto essere applicata nel momento del giudizio.

Nella fattispecie che ci occupa il giudice non si e’ affatto sottratto all’obbligo motivazionale, avendo fatto riferimento, pur con la sinteticita’ tipica del provvedimento, agli atti acquisiti, di cui aveva preso completa cognizione, tanto da motivare in modo esauriente il ricorrere dell’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5.

Cio’ rilevato il Collegio non puo’ non tener conto che la disposizione di cui al Decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 146 (conv. In Legge 21 febbraio 2014, n. 10) e la recentissima disposizione di cui al Decreto Legge 20 marzo 2014, n. 36 (conv. in Legge 16 marzo 2014, n. 79), nel qualificare il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 quale figura autonoma di reato, hanno rideterminato la pena edittale, la prima, da uno a cinque anni di reclusione ed euro 3.000,00 a 26.000,00 di multa, la seconda da sei mesi a quattro anni di reclusione oltre la multa da 1.032,00 a 10.329,00.

Inoltre la sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, depositata il 25.02.2014, ha dichiarato la illegittimita’ costituzionale della Legge 21 febbraio 2006, n. 49, articolo 4 bis, cioe’ del testo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 nella formulazione di cui alla predetta legge c.d. “Fini-Giovanardi”, determinando, come dalla Corte Costituzionale espressamente affermato, l’applicazione del predetto Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e relative tabelle nella formulazione originaria (Legge c.d. “Iervolino-Vassalli”). La Corte Costituzionale ha definito i limiti oggettivi del proprio intervento in relazione al Decreto Legge n. 146 del 2013, precisando che “trattandosi di ius superveniens che riguarda disposizioni non applicabili nel giudizio a quo lo stesso non poteva esplicare alcuna incidenza sulle questioni oggetto del giudizio della Corte relative a disposizioni diverse da quelle oggetto di modifica normativa e che gli effetti del presente giudizio di legittimita’ costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il Decreto Legge n. 146 del 2013, ….., in quanto stabilita con disposizione successiva a quella censurata e indipendente da quest’ultima”: Ha poi affermato che “rientra nei compiti del giudice comune individuare quali norme, successive a quelle impugnate, non siano piu’ applicabili perche’ divenute prive del loro oggetto (in quanto rinviano a disposizioni caducate) e quali, invece, devono continuare ad avere applicazione in quanto non presuppongono la vigenza degli articoli 4 bis e 4 vicies ter, oggetto della presente decisione”. Ritiene, pero’,il Collegio che la suddetta sentenza, avendo dichiarato l’illegittimita’ costituzionale della Legge n. 49 del 2006, articoli 4 bis e 4 vicies ter, abbia travolto l’intero Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, facendo rivivere, almeno per i reati commessi prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 146 del 2013 anche il precedente testo del comma 5 con la ripartizione del trattamento sanzionatorio previsto tra droghe leggere e droghe pesanti, piu’ favorevole al reo per quel che concerne le droghe leggere, che prevede una pena detentiva da sei mesi a quattro anni di reclusione. Orbene, tornando al caso di specie, stante l’inammissibilita’ del ricorso, occorre domandarsi se possa, cio’ non di meno, risultando alla fattispecie applicabile una pena edittale piu’ mite, ritenere l’illegalita’ dei parametri edittali utilizzati per il patteggiamento e, in sostanza, l’illegalita’ della pena applicata.

Tanto premesso si osserva che la sentenza delle sezioni unite di questa Corte n.23428/2005, Bracale, ha ritenuto che,in presenza di impugnazione inammissibile, vi sia un’unica ipotesi di cognizione possibile: quella dell’intervenuta “abolitio criminis” o della declaratoria di incostituzionalita’ della norma incriminatrice. Pertanto la sentenza impugnata va annullata senza rinvio in quanto le argomentazioni di cui sopra, che incidono sulla pena concordata, determinano la caducazione del patto e gli atti devono essere trasmessi al Tribunale di Napoli-nord per il corso ulteriore.

 

P.Q.M.

 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Napoli – nord per il corso ulteriore.

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