Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza del  23 maggio 2014, n. 21025

Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MILO Nicola – Presidente –
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Consigliere –
Dott. APRILE Ercole – Consigliere –
Dott. BASSI A. – Consigliere –
Dott. PATERNO’ RADDUSA B. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.A. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 245/2012 CORTE APPELLO di POTENZA, del
05/04/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. BENEDETTO PATERNO’ RADDUSA;
Udito il Procuratore Generale, che ha concluso per la
inammissibilità del ricorso;
udito, per la parte civile, Avv. Lopinto Maria Stella sost.proc.
dell’avv. Cassetta, che insiste nei motivi di ricorso.

OSSERVA

M.A., tramite il fiduciario, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Potenza con la quale in parziale riforma della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Potenza, ferma la responsabilità ascritta al ricorrente quanto ai reati di resistenza ex art. 337, lesioni, oltraggio, il primo e l’ultimo in concorso con L.G., è stato ridotto il trattamento sanzionatorio comminato in ragione del riconoscimento delle generiche, denegate dal giudice di prime cure.

2. In fatto, il L. ed il M., il primo alla guida ed il secondo come passeggero in uno ad altri soggetti, venivano fermati dai CC di Muro Lucano per una infrazione stradale. Chiesti i documenti, il primo spintonava e si scagliava contro i carabinieri che stavano procedendo al controllo, il secondo interveniva a favore del L. per opporsi all’atto d’ufficio che i pubblici ufficiali stavano compiendo, colpendo al volto e e spintonando il maresciallo R. e procurando allo stesso le lesioni consistite in un trauma contusivo alla mano sinistra, profferendo al contempo frasi minacciose e integranti l’oltraggio di cui al capo D. La valutazione, doppiamente conforme resa dai giudici del merito, riposa sul contenuto del verbale di arresto confermato altresì dal tenore delle relazioni di servizio di due agenti della Polizia locale intervenuti sul luogo nonchè da alcune affermazioni dell’imputato (in sede di interrogatorio davanti al GIP) e di altro teste presente ai fatti ( P.A.).

3. Due i motivi di ricorso.

3.1 Con il primo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione e violazione di legge avuto riguardo il disposto di all’art. 192 c.p.p. in punto alla valutazione della prova testimoniale.

Si segnala al fine che, secondo il Tribunale(il verbale di arresto troverebbe momento di riscontro nella relazione di servizio dell’agente di polizia locale G.G., che ebbe ad intimare l’alt, su sollecitazione dei carabinieri, all’auto sulla quale viaggiavano il L. ed il M.. Precisato dalla difesa che il detto soggetto fu sempre presente ai fatti, si segnala al contempo come la stessa relazione non contiene alcuna conferma nè dell’aggressione posta in essere dal ricorrente ai danni del maresciallo R. nè della resistenza, potendo costituire da supporto alla sola ipotesi dell’oltraggio.

Si evidenzia altresì, sempre in punto alla valutazione della prova, che la Corte avrebbe assolutamente pretermesso ogni debita considerazione delle ragioni esposte con l’appello volte a confutare il tenore della decisione di primo grado.

3.2 Con il secondo motivo si adduce violazione di legge quanto al disposto di cui all’art. 337 c.p.p..

Anche a voler dare per scontata la presenza della azione violenta e minacciosa, la stessa, quanto al ricorrente, non era comunque finalizzata alla opposizione al compimento dell’atto d’ufficio.
Al suddetto i carabinieri non ebbero a rivolgere la richiesta di esibizione dei documenti; piuttosto il ricorrente ebbe ad intervenire in un alterco ma mancava alcuna volontà di impedire l’azione dei carabinieri. Erano dunque configurabili al più lesioni e oltraggio mentre sia l’azione che la volontà che ebbe a sorreggerla non inerivano assolutamente all’attività d’ufficio posta in essere dai carabinieri nel frangente, dovendosi in conseguenza ritenere insussistenti i profili costitutivi del reato contestato sub B al ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato e merita dunque la declaratoria di inammissibilità.

5. Ferma la incontroversa utilizzabilità per il rito del verbale legato all’arresto del ricorrente, vale subito precisare che lo stesso, quanto alle emergenze in fatto ivi descritte, al pari del resto delle dichiarazioni provenienti dalle persone offese, non necessità indefettibilmente, sul piano probatorio di momenti di conferma esterna, potendo da solo supportare la decisione; ciò salvo che la ricostruzione del fatto per come ivi esplicitata palesi evidenti ed intrinseche incongruenze logiche o, ancora, quando il tenore dei fatti rappresentati risulti contrastato da elementi esterni acquisiti in processo destinati a porre in dubbio la veridicità della ricostruzione operata e riferita attraverso la indicazione di estremi logici e oggettivi utili al fine. E nel caso, nel ricorso non se ne segnalano, risultando la doglianza sottesa al primo motivo integralmente dominata dalla insufficienza probatoria del riscontro, al verbale, ricavabile dalla relazione dell’agente G. come se tale dato fosse di imprescindibile rilevanza per la ricostruzione della vicenda.

Vi è poi che tale relazione di servizio non palesa alcun profilo di contraddittorietà con le annotazioni provenienti dalle persone offese, nel caso non costituite parti civili. Da riscontro, piuttosto, della situazione, di scontro, connotata da atteggiamenti verbali e fisici evidenti tra il L., il M. ed i carabinieri intervenuti nella immediatezza successiva all’alt intimato in ragione della riscontrata infrazione stradale.

E sul punto va subito rimarcato che se è vero, come indicato in ricorso, che in detta relazione, la fase dell’impatto fisico coinvolgente il ricorrente non viene descritta, per altri versi non può non ribadirsi, per come emerge dalla lettura della sentenza impugnata, qui si in distonia evidente con il gravame, che l’autore della detta relazione, subito dopo aver intimato l’alt su sollecitazione dei carabinieri, ebbe ad allontanarsi dalla immediatezza dei luoghi per poi farvi ritorno subito dopo allarmato dal vociare proveniente dalla concitazione; e che ebbe modo di vedere il ricorrente, trattenuto a forza dagli altri compenti dell’autovettura fermata diversi dal L., per evitare che si scagliasse contro i carabinieri intervenuti, segno fattuale questo che finisce per contribuire alla ricostruzione dei fatti contenuta nel verbale di arresto, giacchè momento di conferma logica della connotazione violenta del confronto nell’occasione riscontrato tra i protagonisti della vicenda, vieppiù definitivamente corroborato dalla presenza delle lesioni riportate da uno dei militari, mai altrimenti giustificate sul piano logico dalla difesa in termini diversi da quelli rassegnati nel citato verbale di arresto.

Da qui la manifesta infondatezza del primo motivo di doglianza cui si aggiunge la radicale inammissibilità della stessa laddove si lamenta, in termini di assoluta genericità, un asserito difetto di motivazione rispetto ai rilievi articolati in appello, non meglio precisati nella parte in cui gli stessi risulterebbero pretermessi dal compiuto argomentare della Corte distrettuale.

6. Il secondo motivo di doglianza appare palesemente smentito dalle dichiarazioni dello stesso ricorrente e di altro soggetto presente ai fatti e sentito a sit, richiamate in sentenza e rispetto alle quali il ricorso non mostra di confrontarsi in alcun modo. La causale dell’aggressione, utile sotto entrambi i versanti, oggettivo e soggettivo, del reato contestato, trova infatti definitiva conferma nelle dichiarazioni dello stesso M. (rese al Gip nel corso dell’interrogatorio) nonchè in quelle di P.A. i quali hanno esplicitamente affermato che le ragioni della reazione furono consequenziali alla richiesta di documenti formulata nei confronti del L. nell’ottica della relativa identificazione dello stesso.

Da qui la palese inconducenza del gravame, contraddetto dalla certa consapevolezza del ricorrente di agire a supporto del L. per contrastare, attraverso la reazione oppositiva fisicamente e verbalmente violenta riscontrata, l’azione di ufficio diretta alla identificazione del coimputato.

Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2014

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